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Anticaglie

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A cura di Carlo Giarelli

Essere o non essere

Ho citato il famoso detto di Amleto, a proposito del nostro Presidente del Consiglio, l’avvocato Giuseppe Conte.  Chi è costui, si chiederebbe, Don Abbondio, per fare un’altra citazione?  I pareri, come sempre quando bisogna valutare un politico, sono spesso discordi. Ma prima ancora di questi pareri, bisognerebbe saper valutare se Conte è o no un politico. La domanda è lecita. Infatti non risultando eletto da nessuno, è approdato al governo tramite una operazione di palazzo, commissionata dai 5 Stelle. Formazione politica quest’ultima, che ha preferito proporre un estraneo alla politica, piuttosto che uno troppo ammanicato al potere. Oppure troppo compromesso ideologicamente, il che avrebbe suscitato diffidenze e reazioni ostili da parte dell’altro schieramento politico, la Lega, la quale non avrebbe tollerato un uomo di parte. Per la verità di parte lo era lo stesso Conte presentato come si diceva dai 5 Stelle, ma con quel suo passato vergine in politica, faceva le veci di un estraneo al palazzo. Per cui data la sua poca dimestichezza con i compromessi della politica, poteva andare bene per tutti i gusti. Insomma anche coloro che non l’avevano proposto, si devono aver detto: meglio una comparsa che un attore protagonista in quel gran teatro della politica, dove per essere accettati da tutti bisogna non disturbare nessuno e non avere atteggiamenti da leader.  Queste le premesse. Ma come era facile immaginare il potere non solo logora chi non ce l’ha, come disse Andreotti, ma rappresenta una droga per chi lo assapora, pur non essendone abituato. Anzi proprio l’astinenza ne condiziona, sempre a proposito di droga, sia l’uso che a volte l’abuso. Cosicché il tranquillo, estraneo, remissivo, Conte, piano piano ha scoperto l’attrazione irresistibile di quella droga che si chiama potere.  Per prima cosa, col dimostrare di avere anche lui il dono della voce che per quanto sommessa, era stata fino a quel momento tenuta in disparte.  L’occasione si presentò durante il suo viaggio a Bruxelles, offerta dai grandi commis dell’unione europea per mettere freno a quello che sembrava lo strapotere dei due viceministri: Di Maio e Salvini.  Mettere i primi paletti di dissenso in casa propria e di assenso in quella ospite europea, fu l’opportunità giusta, per dimostrare che lui in fondo era il primo ministro e non solo di nome. Poi venne il seguito, quando il governo, per le dimissioni volontarie di Salvini, cambiò colore e da giallo verde, divenne giallo rosso. Un nuovo governo di cambiamento o di rottura col precedente, venne dichiarato al mondo intero, ma stranamente mantenendo intatto il suo vertice. Sempre lui, l’apparente remissivo avvocato Conte, che da primitivo intruso, si era talmente acclimatato da riguadagnarsi il titolo di nuovo Presidente del Consiglio. Governo si diceva del cambiamento. Infatti almeno uno scopo l’aveva raggiunto. Quello di cambiare l’uomo di cui si sta parlando, senza di fatto sostituirlo di posto. Ed in effetti la trasformazione c’è stata. Da silenzioso è diventato loquace. Da timido e riservato, si è trasformato in uomo pubblico avvezzo ai microfoni e alle dichiarazioni. Infine da personaggio, definito come esponente politico dei 5 Stelle ad esponente-attore indefinito, causa la presa di distanza nei confronti dei grillini in netta difficoltà di consenso. Il risultato raggiunto: l’avvicinamento al nuovo partito di governo. Quello che lo colora di rosso, il sempre attivo Pd, specie quando sente odore di potere, nei confronti del quale se non un dichiarato appoggio di subordinazione, ha manifestato una prudente ed ipocrita equidistanza.  A sua volta intrisa di calcolati e riconosciute benemerenze. L’esito? La trasformazione di un non politico, in un subitaneo politico di razza. Quella italica, sempre disposta a stare dalla parte del vincitore. Che dire allora del personaggio Conte? Essere o non essere? In altri termini è una nuvola di fumo destinata, secondo i detrattori, a dissolversi, oppure per i nuovi estimatori, una figura che ricorda un grande statista del passato. E qui i nomi si sprecano e da Andreotti si passa addirittura a Giolitti. Entrambi gli esempi sembrano delle esagerazioni, ma tralasciando la figura di Andreotti che ricordiamo nella memoria come uno statista di spessore anche se discutibile, non potendo viceversa ricordare quella di Giolitti, questo ci consente di  giocare un po’ con la storia e di fare qualche ripasso  per rimarcare qualche similitudine e le molte differenze con il nostro uomo.  Pur sapendo di commettere un errore di comparazione al limite dell’assurdità. Comunque poiché, come detto, trattasi di un gioco,  cominciamo ad evidenziare le poche analogie. Entrambi laureati in legge, hanno una parlata poco fluida ed opaca, unita ad una certa ritrosia per la platea, intesa come vita sociale  pubblica di tipo culturale. Altra similitudine, sta forse in un certo comune trasformismo, per il quale non devono esistere posizioni di principio inderogabili da sostenere ad oltranza, se non si verificano le condizioni politiche per poterle poi  realizzarle. E’ questo un elemento che si ritrova nella nuova alleanza di governo da parte di Conte, mentre nel caso di Giolitti è ben espresso in una sua citazione a proposito del sarto che deve confezionare l’abito per un gobbo, il quale abito deve adattarsi alla gobba e non far finta che non ci sia. Ebbene detto questo, per le poche analogie, diamo  spazio ora alle  diversità che  sono abissali. Infatti a differenza di Conte, Giolitti non è stato il frutto di una manovra di palazzo, essendo stato  sempre eletto dalla popolazione di Dronero. Tanto che la sua elezione, non fu solo un episodio, ma una vittoria elettorale a vita in quanto il suo elettorato gli rimase fedele fino alla morte, cioè per quasi mezzo secolo. Inoltre , altra differenza, Giolitti si intendeva di economia e finanze, avendo fatto parte, all’inizio della sua carriera politica, della Commissione del Bilancio e ,si dice, fosse l’unico che sapeva, il bilancio, sia leggerlo che interpretarlo.  Inoltre pur non estraneo ad un certo populismo, oltre a uomo di stato, è stato anche uomo di potere, per essere stato  promotore di Prefetti , diventati puntello della lunga   carriera politica  .Altra sua caratteristica, quella di non  aveva nemici per i quali trovava sempre  l’occasione di andare d’accordo. Ma nemmeno di amici con i quali dividere gli aspetti confidenziali della vita. Insomma per concludere, la sua capacità sostanzialmente antiretorica di statista, non era quella di cambiare il mondo, ma di saperlo interpretare al fine di rendere possibile l’approvazione delle proprie convinzioni, non avendo grande fiducia nelle capacità dell’uomo di poterle risolvere. Insomma Giolitti, pur nello stile tutto italiano di non compromettersi con i grandi ideali, fu uomo il cui potere non gli sfuggi mai di mano, non per vincere grandi battaglie di principio, ma  con l’arte di trasformare quegli stessi principi da assoluti a possibili.  Onde  essere  fruibili  da tutti, tramite la indiscussa capacità di rendere semplici i problemi complessi.  Ed ora con un salto mortale cui, per la verità, la storia non ci ha abituati, ritorniamo a Conte.  E fra il suo essere uno statista ed il non essere che una  sbiadita controfigura, la mia convinzione va per la seconda ipotesi. Quella di rappresentare un fantasma fra le due personalità che oggi la storia ci propone. E che sono Salvini e Renzi. Due capipopolo che emergono nel panorama  modesto della nostra attuale vita politica. Fra uno Zingaretti  eletto segretario senza convinzione e Di Maio in caduta libera. E  con  Berlusconi, che  data l’età, sembra l’ombra di se stesso. Resiste è vero, fra  i big,  la Meloni,che sarà la terza incomoda nel duello fra le due personalità che la storia si diverte a metterci davanti. L’uno con il consenso del popolo, l’altro con il consenso del proprio spirito di potenza che spesso diventa prepotenza. Chi vincerà fra i due? Non certo Conte la cui nuvola di fumo verrà spazzata via dalle folate dei due contendenti, pronti ad incrociare, a colpi di violenti tempeste i loro destini  ed il cui esito sarà  affidato alla storia.

Essere o non essere

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