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Venerdì, 26 Aprile 2024

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L’economia siamo noi: ripartiamo dall’economia reale

Di questi tempi l'economia è entrata nella vita quotidiana di ognuno e anche l'esoterico linguaggio degli economisti può e deve essere reso comprensibile a tutti. Perché l'economia riguarda tutti. Lo scopo di questo nostro appuntamento settimanale con l'economia sarà quello di affrontare insieme i nodi che affliggono l'economia italiana in questi tempi, con un occhio di attenzione per i nostri territori

Nel numero iniziale di una nuova rubrica di economia, un saluto iniziale ai lettori è doveroso. Di questi tempi l’economia è entrata nella vita quotidiana di ognuno e anche l’esoterico linguaggio degli economisti può e deve essere reso comprensibile a tutti. Perché l’economia riguarda tutti. Lo scopo di questo nostro appuntamento settimanale con l’economia sarà quello di affrontare insieme (e la formula del giornale on-line con la possibilità per i lettori di commentare si presta particolarmente a questo scopo) i nodi che affliggono l’economia italiana in questi tempi, con un occhio di attenzione per i nostri territori.

Per farlo sarà necessario, a volte, spendere qualche parola per comprendere in modo semplice i termini del dibattito tra le diverse scuole di pensiero contemporanee dell’economia. Parleremo spesso di mercati, di globalizzazione, di competitività, di disoccupazione di lavoro. Ma che cosa sono i mercati? Non un’entità metafisica, ma la semplice risultante del comportamento umano collettivo. 

Vorrei iniziare queste riflessioni partendo da un tema che mi sta particolarmente a cuore: l’appello a “ripartire dall’economia reale” che fu fatto qualche mese fa dal presidente di Confindustria Piacenza, Emilio Bolzoni. Dopo gli anni di infatuazione per i miraggi di facili guadagni della finanza (in cui troppo facilmente si è persa la distinzione tra investimenti di lungo periodo e comportamenti speculativi), dopo un’enfasi forse un po’ disordinata verso il settore dei servizi (tra l’altro caratterizzato da un’occupazione precaria e da statistiche altalenanti sulla natimortalità delle imprese), era tempo di riflettere su alcuni elementari fatti economici, spesso dimenticati. Primo: dietro i titoli e gli strumenti finanziari ad alto rendimento (siano essi titoli di proprietà come le azioni, titoli di debito come le obbligazioni, oppure strumenti derivati, che danno il diritto di acquistare o vendere ad una data futura, un altro titolo ad un prezzo prefissato) c’è sempre un’impresa o qualche produttore, o un sistema di produttori.

In un’economia sana il legame tra chi produce e chi investe i propri risparmi deve essere trasparente, chiaro e ben visibile. Quando questo non avviene (come nel caso della recente crisi finanziaria, causata dalla deregulation finanziaria ultraliberista) si possono generare disastri. Soprattutto, quando i produttori non godono di buona salute, alla lunga, i titoli non possono essere redditizi. Secondo: una quota estremamente rilevante dei servizi (quelli commerciali, distributivi, ma anche molti altri) dipende direttamente dall’attività dei produttori. Se, ad esempio, le imprese manifatturiere vanno male e generano poca occupazione, i distributori commerciali non hanno molto da distribuire e, per di più, fronteggiano una scarsa domanda. Terzo: il settore dei servizi, preso individualmente e separatamente dal settore manifatturiero, per essere un motore di sviluppo, deve raggiunge standard di eccellenza e dimensioni elevate. Questo si può perseguire solo attraverso un forte impegno nell’attività di ricerca e di innovazione, che significa lanciare nuovi prodotti, inventare nuova tecnologia o processi produttivi oppure ancora, nuovo design. Per fare questo non si può prescindere dall’investire in cultura, educazione, istruzione ed università.

Un economista assolutamente ortodosso e al di sopra di ogni sospetto come lo statunitense William Baumol, fin dagli Anni Cinquanta evidenziò come la cultura, l’istruzione avanzata e di livello universitario sono indissolubilmente legate allo sviluppo economico. La scuola, la cultura, l’istruzione e la ricerca devono uscire dagli anni bui di mortificazioni, tagli (per non parlare di sbeffeggiamenti) a cui sono state soggette.. Nel territorio piacentino esistono certamente realtà molto floride nel settore dei servizi (ad esempio nella logistica), ma, forse, non hanno caratteristiche e dimensioni tali da sostenere l’intero sviluppo economico territoriale.

E’ dunque importante creare le condizioni per un’adeguata redditività e sviluppo nel settore manifatturiero. Questo può e deve essere fatto con il dialogo e il contributo di tutte le parti sociali e con politiche economiche adeguate, sia a livello locale che, soprattutto, a livello nazionale. Gli operatori economici non vivono in isolamento: l’agire economico è fatto di interazione tra individui. Sotto questo punto di vista, l’esperienza storica di Paesi come la Germania la Francia e del Nord Europa può e deve essere di esempio: il successo vero e duraturo di tante organizzazioni, ma anche di tanti Paesi è legato alla creazione di regole organizzative efficienti (quindi non piegando le regole ai propri interessi, né delegittimando le istituzioni), al coinvolgimento di tutti e alla creazione di incentivi per il raggiungimento di obiettivi comuni. In nessun caso questo si ottiene con il precariato, con lavori poco specializzati e sottopagati.

Il Nord Europa, la Germania e tutti i Paesi caratterizzati da forte innovazione e crescita economica, da sempre hanno sperimentato nelle industrie più floride ed avanzate il principio della “co-gestione” che vede la partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori nei consigli di amministrazione. I lavoratori vengono formati ed istruiti dall’impresa e, in questo modo, ne condividono gli obiettivi, sentendosene parte. Questa pratica gestionale, prevista dalla legge in Germania e in Nord Europa fin dagli Anni Quaranta, sembra lontana anni luce dalla mentalità imprenditoriale del nostro Paese. Ed è molto lontana dalla mentalità speculativa, di chi vive il mondo degli affari come una rincorsa al profitto finanziario immediato, quanto rischioso e precario. E’ invece vicino ad una cultura imprenditoriale che enfatizza i rapporti di lungo periodo tra impresa, lavoratori e territorio. Meriterebbe certamente qualche riflessione. Pacata però.

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