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Vagabondi in Appennino

Vagabondi in Appennino

A cura di Pietro Nigelli

Non solo Trekking, l'ultima giornata a Bobbio

Quest’ultima giornata la vogliamo dedicare a Bobbio ed alla Trebbia!
Con il “magone” i ragazzi alla buon’ora smontano il campo attendato predisposto nell’area verde dell’agriturismo Il Carlone e, consumata una doverosa colazione agreste, c’incamminiamo alla volta della città di Bobbio che ci accoglie con il mercato settimanale.
Visitiamo velocemente i luoghi d’arte - il Duomo e la sua piazza oggi invasa dalle bancherelle degli ambulanti dalle quali sprigionano e si diffondono nell’aria i profumi dei prodotti locali (formaggi, salumi, frutta e verdura di stagione) sapientemente esposti da abili mani, piazza Santa Fara con i portici e la parte del mercato riservata al vestiario, scarpe, borse e cinture, cappelli di ogni natura e genere, tende, lenzuola e biancheria intima (stuoli di signore s’aggirano interessate a “far affare”) , l’abbazia di San Colombano nella quale ti senti immerso nella mistica atmosfera del passato, il quartiere del Castellaro con i portici millenari e da qui seguendo vicoli e vicoletti ecco il ponte Vecchio detto “gobbo”.
Ci concediamo una sosta al bar Il Duomo Cafè dove, a sorpresa, i giovani trekker vengono premiati con un attestato ed alla fine tutti alla Trebbia per un bagno nelle cristalline e fresche acque.
Termina così questa “Avventura dietro l’Angolo”; ora resta il viaggio in corriera sino a Piacenza ed il rientro a casa con il treno; siamo certi che nell’animo resteranno i ricordi, le emozioni, le fatiche e le gioie di questi giorni passati tra valli e borgate, tra monti ed incolti, tra borghi e casolari sparsi ed il tutto darà vita negli anni a venire, osservando i consunti scarponi, a nostalgici ricordi.
Doveroso un grande grande grazie a quanti hanno permesso che il sogno potesse diventare realtà: enti pubblici che hanno creduto  nel progetto (Regione Emilia-Romagna, Unione Montana Valli Trebbia e Luretta, Comuni del Brallo e Zerba), esercizi privati che ci sono venuti incontro con costi e prezzi (Albergo Capannette di Pej, Agriturismo Il Carlone, bar Il Duomo Cafè), Il Piacenza che ci ha dato la possibilità di condividere con il suoi lettori l’iniziativa, i volontari delle Associazioni Appennino Trekking e Pietra Verde senza i quali non avremmo potuto superare i problemi della logistica e, non certo da ultimo, Pier Luigi Casanova per le sue inedite immagini.

Ed io, redattore di queste semplici note, che posso dire … semplicemente: 
“La tecnologia con tutti i suoi pregi e difetti ha mutato la percezione della dimensione del mondo in cui viviamo. 
Il messaggio mediatico ci trasporta dalla poltrona di casa nei più remoti luoghi del pianeta facendoci toccare quasi con mano quel senso di Avventura che istintivamente ed inconsciamente colleghiamo a qualcosa di esotico e di lontano dalla nostranità dei luoghi. 
Tutto questo spaziare al di là del nostro orizzonte ci porta a credere che l’Avventura sia legata al raggiungimento di un traguardo culturalmente e topologicamente distante da noi una iconografia di un’isola del pacifico, di una cascata amazzonica o di un villaggio africano. 
Tutte esperienze che nella maggior parte dei casi si avvicinano molto superficialmente alla realtà dei luoghi che veramente incrociamo.
Parliamo di Avventura ma si tratta spesso solo di un fugace e poco approfondito contatto che ci ha lasciato, come trofeo, una foto ricordo.
Il desiderio innato dell’uomo di mettersi alla prova superando i propri limiti si è ridotto ad uno slogan commerciale, sfruttato economicamente dalla società, per stimolare un business.
Ma l’Avventura è qualcosa di diverso. 
È raggiungere un proprio limite. 
E non parlo della cima più alta o dell’isola più lontana, ma di ciò che è dentro di noi.
Il disorientamento generato dal vivere esperienze in un ambiente lontanissimo dalla routine quotidiana ci porta ad un limite che solo allora sapremo se saremo in grado di superarlo.
Questo è l’essenza dell’Avventura!”

Bobbio - “Bobì”
La città di Bobbio, storica capitale della val Trebbia, nota come la “Montecassino del nord Italia” per l’importante opera di civiltà svolta nell’alto medioevo dai monaci dell’abbazia fondata da San Colombano d’Irlanda nel 614, giace accovacciata a 272 metri in un’ampia conca circondata dai monti Penice, Pradegna e Tre Abati.
Raramente il Medioevo e l’Ottocento sono fusi come a Bobbio;  camminando per il borgo, s’avverte l’esatta sensazione d’un altra età, si scoprono bellezze impensate, dolci e malinconiche, che proiettano il visitatore in un altro tempo, in un’altra vita; con i suoi millenni di storia sulle spalle e le sue curiose particolarità offre pittoreschi quadri ricchi d’interesse: il parco giardino e piazza S. Francesco, viuzze, vecchie chiese, il castello, portici ed il Ponte Vecchio, che serpeggia attraverso il fiume Trebbia, 
Ricordiamo di queste strette vie, che fanno pensare all’epoca dei landò e dei fanali a gas, via Fringuella, poetico nome evocante frulli d’ali, saltelli, rapidi voli, con case precedute da portici oscuri, freschi d’estate, con rose striscianti su muri sbrecciati e pendenti verso le piccole finestre delle stanze al primo piano.
Una rapida visita permette d’ammirare piazza Duomo con i portici bassi ed irregolari dai pilastri rozzi con capitelli liguri - una di queste case era la residenza estiva di Maria Luigia d’Austria duchessa di Parma Piacenza e Guastalla - e la Cattedrale, facciata del 400 con elementi barocchi ed ai lati due torri romaniche nella loro parte infera e barocche in quella supera - una dedicata agli usi civici ed una agli usi religiosi -; dalla piazza si raggiunge il centro nevralgico di Bobbio, piazza Santa Fara sulla quale s’affaccia l’abside della basilica di San Colombano fiancheggiata da una loggia di colonne.
In alto, dominante l’ingresso della monumentale chiesa, il castello dei Malaspina /Dal Verme - iniziato nel 1315 e mai completato -.
Via Pontevecchio porta alla vecchia circonvallazione seguente la sommità delle mura medioevali; ampia vista sul fiume Trebbia e sul Ponte Vecchio, detto anche “Gobbo” o “del Diavolo”, dal caratteristico andamento tortuoso ed ondeggiante; edificato in ’epoca romana dopo varie distruzioni e rifacimenti assunse l’odierna forma nel 1847.
Da non dimenticare le trattorie di Bobbio, quelle più familiari, vecchiotte, con la cucina all’antica, senza pretese nelle quali, ancora, è possibile entrare in cucina per vedere cosa “bolle in pentola” sotto l’affettuoso sguardo della padrona-cuoca.
Bobbio, in dialetto Bobì, appare per la prima volta nella vita di San Colombano, scritta da Giona, significa “passaggio di buoi a guado”; la zona, abitata e frequentata in tempi remoti, è legata a San Colombano d’Irlanda giunto a Bobbio nel 614; umanista, scrittore di testi ricchi di sapienza, buon senso, equilibrio e delicatezza, il santo vedeva in Bobbio, con immense foreste, silenzioso, immerso nel mondo del naturale, il luogo ideale per la propria concezione monastica; grazie al re longobardo Agigulfo, costruì l’abbazia ed il convento sulle rovine del pre-esistente tempio dedicato a S. Pietro; intorno all’abbazia, che nella seconda metà del VII° secolo contava 150 monaci, sorsero le case in pietra dei primi cittadini bobbiesi.

Tra i tanti caratteristici personaggi di Bobbio è da ricordare Natale Zerbarini, chiamato affettuosamente “Black”; sembrava uno dei profeti dipinti da Michelangelo nella Cappella Sistina; viveva in una capanna, costruita con le proprie mani, sulla riva del Trebbia e come i nobili e puri pastori arii anche lui credeva in un dio del Bene e del Male che identificava nel sole; in val Trebbia trecento e più anni prima che arrivasse San Colombano s’adorava, come dimostrano le steli votive trovate sulle cime dei monti Penice ed Alfeo, il dio Sole e “Black” forse era l’ultimo degli adoratori di questo dio pagano.

Il senso dell’avventura
Come educatore ma, ancor più come genitore, ho notato che nei ragazzi d’oggi, specie in quelli che vivono le realtà metropolitane, è indispensabile un contatto il più frequente possibile con l’ambiente naturale.
È un’esigenza profonda, una valvola di sfogo per un buon equilibrio psicologico, purtroppo spesso compromesso e soffocato dalle abitudini di vita che ci impone la quotidianità: ritmi stressanti per i genitori che, spesso, si ripercuotono sui figli e sul loro desiderio di crescere.
Molte volte certi disagi scolastici, certe difficoltà nei rapporti con i coetanei possono dipendere anche al fatto che i luoghi di vita dei giovani non corrispondono del tutto o, al limite, per nulla, alle loro esigenze, che non si possono assolutamente pensare soddisfatte solo dalla discoteca o dalle sale gioco.
Occorre posizionare l’appagamento anche, se non principalmente, nel recupero di un rapporto assolutamente spontaneo ed istintivo con la madre terra, con l’osservazione dei suoi ritmi e delle sue leggi: un viaggio complesso e caleidoscopico che porta alla scoperta dei suoi segreti.
Per i giovani di qualunque età l’incontro con il mondo del naturale diviene contatto con una realtà a dimensione più umana, la possibilità di stimolare e soddisfare le loro innate curiosità, la loro voglia di conoscere, di costruire l’avventura, insomma, di liberare quel “Robinson Crusoe” o “Peter Pan” che ciascuno di noi, da piccolo ha portato e porta dentro e che solo per necessità sociale tende, una volta adulto, a nascondere.
A Voi, specie se genitori, voglio ricordare che le strade da far percorrere ai nostri ragazzi non sono quelle cittadine né quelle delle autostrade; sforziamoci e, anche se ci costa sacrificio, se sottrae tempo alle nostre attività d’adulti, dedichiamo qualche fine settimana all’andar per monti.
Basta, in fondo, molto poco: è sufficiente un bosco non tanto lontano dalla città per dar vita ad un’esperienza magica e vederla crescere negli occhi e nei gesti dei bimbi.
Ha dell’incredibile ascoltare i racconti dei ragazzi su questi attimi di vita al naturale con i loro coetanei o con i propri genitori; le parole ma ancor più gli occhi sprizzano di tanto entusiasmo e dai gesti emerge la consapevolezza di aver maturato qualche sicurezza in più.
Si sentono giovani trappers, ognuno ha scoperto ed esplorato qualcosa di nuovo nel mondo circostante ed anche in se stesso; l’avventura ambientale, dunque, come gioco per crescere, per sentirsi forti, imparare a sfruttare le risorse naturali e vincere, alla fine, le paure di tutti i giorni.
I giovani nutrono la loro fantasia sognando una realtà dai confini più ampi e molto più stimolante di quella che vivono quotidianamente specie se metropolitana; perché non far loro vivere, concretamente, una vacanza avventurosa, un fine settimana insolito fuori dagli schemi tradizionali, in gruppo o, anche, con i genitori e… si tranquillizzino nonni, mamme e papà apprensivi: non si tratta di avventura spericolata ma, piuttosto, di un’esperienza di gruppo, guidata e sorvegliata discretamente, da lontano, da personale esperto (genitori od accompagnatori).

Ed a chi fa notare che la quotidianità della vita è già una giungla rispondo, sereno, che proprio per questo è necessaria un’esperienza di questo tipo: da un lato i comfort della vita moderna hanno fatto dimenticare o non conoscere od indebolire le ataviche caratteristiche possibilità dell’uomo, dall’altro perché la giungla urbana non presenta certo le stesse difficoltà dell’ambiente naturale che, attenzione, non è da considerarsi ostile, da combattere ma, questo è importante specie per i giovani, quello più confacente alle capacità dell’uomo.
Con l’attraversamento di un corso d’acqua, l’affrontare una salita, il camminare sotto la pioggia o la neve, il pernottare alla bella stella, i ragazzi possono acquistare fiducia in se stessi, si trovano a valutare realisticamente i propri limiti e le loro possibilità, imparano a superare i primi ed a sfruttare ed ampliare le seconde; la paura di non farcela viene vinta e lascia il posto ad una sempre maggior sicurezza in se stessi.
Il gioco dell’avventura, il trek come divertimento sono, certo, attività da tempo libero ma, proprio come tutti i giochi positivi, aiutano a crescere e conoscere meglio se stessi.
Se poi il contesto del gioco è l’ambiente naturale, un ambiente amico seppur severo ed ancora incontaminato, non assoggettato alla tecnologia dell’uomo, il gioco diventa anche momento d’apprendimento delle scienze ambientali.
Altro aspetto importantissimo è la vita comunitaria: ognuno è parte integrante di un gruppo nel quale ciascuno deve dare il proprio apporto, realizzare un suo ruolo attivo per il raggiungimento degli obiettivi comuni.
In gruppo si è più forti ma la responsabilità del singolo è determinante per la sicurezza di tutti; ecco che, allora, il dormire nel bosco accanto al fuoco non mette più paura: chi dorme sa di avere una sentinella e chi veglia si sente responsabile dei compagni.
Ognuno viene stimolato ad emergere dando il meglio di sé, proprio per assumere un’identità nel gruppo e contemporaneamente a collaborare perché solo nell’affiatamento totale le forze di ognuno e dell’insieme si moltiplicano.
Ed allora torniamo anche noi genitori bambini: afferriamo l’occasione, tiriamo fuori dagli armadi pantaloni di fustagno, camicie di flanella, maglioni e calzettoni di lana, scarponi e zaino e con essi indossiamo lo spirito innato della bella età; approfittiamo dello scorcio di fine anno per andare con i figli a cercar muschi e licheni, pigne e sassi necessari all’allestimento del presepe, oppure, di una calda serata di mezza estate per una camminata notturna in cerca di fate e folletti  o, con il naso all’insù, di stelle cadenti.
Al rientro nel guscio civile non spaventiamoci del fango, dei fili d’erba sui pavimenti tirati a lucido ma, osserviamo la diversa luce negli occhi dei nostri ragazzi, l’eccitazione nei ricordi, la stanchezza rilassante dei loro gesti, l’appagamento di aver, tutti insieme, riscoperto suoni, odori e colori d’un tempo che fu e che, forse, la nostra civiltà sta seppellendo per sempre.

Non solo Trekking, l'ultima giornata a Bobbio

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