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Salute e medicina on line

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A cura di dottoressa Rosanna Cesena

Covid-19, quei drammatici giorni a Piacenza

L'incontro al chiostro della chiesa di Sant'Antonino dove si svolge la prima di una interessante appendice di tre conferenze, alla Mostra "Antonino d'oro e dintorni" organizzata da ben 22 anni, dal dottor Carlo Mistraletti

È ancora coinvolto dall'emozione il professor Luigi Cavanna, mentre racconta la sua esperienza medica ed umanitaria durante la fase più drammatica della pandemia di Covid-19. Ci troviamo nel chiostro della Chiesa dove si svolge la prima di una interessante appendice di tre conferenze, alla Mostra "Antonino d'oro e dintorni" organizzata da ben 22 anni, dal dottor Carlo Mistraletti Della Lucia, in occasione della festa del patrono della nostra città.

Primario di medicina e di oncologia, ricercatore con numerose pubblicazioni scientifiche, a livello nazionale ed internazionale, il professor Cavanna è un medico clinico stimato e benvoluto dai pazienti anche per la sua cortese disponibilità ed umanità; in questo posto dal classico sapore di antico, di eremitico, tra piante aromatiche ed ortensie azzurre fiorite, dove si può parlare sinceramente e che induce all'ascolto, alla meditazione il medico, con molta semplicità e toni pacati, si rivolge alle molte persone che con interesse sono venute ad ascoltarlo, ripercorre la drammatica storia della nostra città, della sua Piacenza, che vorrebbe compendiare in una pubblicazione, a testimonianza di un evento insolito inaspettato e tragico, che ci ha duramente colpiti per evidenziare cosa veramente è successo: dalle diagnosi, al decorso clinico, le terapie somministrate, gli esiti positivi, ma anche spesso, inspiegabilmente infausti.

Inizialmente - esordisce il professore - si era sentito parlare di una forma influenzale “poco più di una influenza” e poi “ci sono persone decedute, ma si tratta di anziani, con patologie concomitanti”, dicevano gli esperti, in modo tranquillizzante. Venerdì 21 febbraio sento alla radio del primo caso a Codogno e a tutti noi sembrava di scarso interesse. Il lunedì successivo eravamo in un teatro di guerra: tutti i giorni, arrivavano in ospedale centinaia di malati, molti anche dal lodigiano prima che chiudessero. Avevamo pazienti attaccati all’ossigeno pure nei ripostigli. In poco tempo, diverse persone, dopo circa dieci giorni di sintomi simil-influenzali, iniziavano ad accusare dispnea ed ecco la necessità di ricovero ospedaliero e nei casi più gravi in terapia intensiva per insufficienza respiratoria da polmonite interstiziale bilaterale. La velocità con la quale la malattia colpiva, spesso, non lasciava scampo: le persone morivano senza la possibilità di avere accanto un loro caro e noi si cercava, come era possibile, di dare loro affetto, sostegno, vicinanza.

In quaranta anni di professione – ha proseguito il medico anche in dialogo con il dottor Mistraletti - nonostante il mio ambito professionale sia difficile e a volte molto doloroso (oncologico), non ho mai assistito ad una situazione tanto grave e preoccupante; le terapie somministrate erano molto semplici: Idrossiclorochina (Plaquenil), antivirali (antiretrovirali contro Hiv Lopinavir/Ritonavir) ed anche immunosoppressori (Tocilizumab), cortisonici (desametasone) e ossigenoterapia. Gli antivirali impediscono la replicazione del virus, gli antinfiammatori ed immunosoppressori diminuiscono le reazioni immunitarie eccessive che possono portare alla autoimmunità in grado di determinare una alterazione funzionale o anatomica polmonare, ma anche di altri organi.

Nell prima settimana di marzo in ospedale i posti letto cominciavano ad esaurirsi e consapevole del fatto che il Covid non è una malattia iperacuta come l’ictus o l’infarto, ho pensato di intervenire sul territorio, facendo sì che il ricorso al pronto soccorso fosse la soluzione ultima. Così ho organizzato una equipe infermieristica che vestita come degli astronauti, è andata nelle case dove alla anamnesi e dai sintomi abbiamo potuto orientarci verso la Covid, anche senza l'esito del tampone. Il 10 marzo ho iniziato a andare casa per casa, portandoci dietro un ecografo per vedere i polmoni, l’ossimetro per verificare l’ossigenazione dei paziente. E i farmaci. Quando serviva chiedevo l’ossigeno. Ed è arrivato sempre. Abbiamo avuto un’organizzazione sanitaria che non ha mai fatto mancare le forniture necessarie. Questa esperienza insegna che le cure a domicilio con monitoraggio costante si possono allargare anche per altre patologie.

Purtroppo, ha confidato il professore, “ho assistito a situazioni strazianti che non dimenticherò mai: gli ammalati sapevano di morire, ci consegnavano le loro fedi. La Covid, ci ha lasciato un senso di paura, l'angoscia di rivivere l'accaduto, ha cambiato il mondo, il nostro modo di vivere, di pensare, di confrontarci. Sono momenti indimenticabili che non avresti mai immaginato di vivere. Ci accomuna la sorte di tutte le persone che sono guarite, ma anche il dolore di chi ha sofferto, e che, in silenzio, ci ha lasciato per sempre".

Covid-19, quei drammatici giorni a Piacenza

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