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«Impossibile conciliare il lavoro con l'essere madre»: boom di richieste di aiuto all'Ugl

Irregolarità o poca disponibilità: quattro i casi segnalati all'Ugl. De Rosa: «Al di là di tutti i buoni propositi e tutte le cose buone cose che sentiamo e che ci raccontano, la verità è un'altra»

«Una donna deve essere libera, se vuole, di diventare madre e non per questo rinunciare al proprio posto o avere enormi difficoltà. Al di là di tutti i buoni propositi e tutte le cose buone cose che sentiamo e che ci raccontano, la verità è un'altra. Oggi abbiamo deciso di far conoscere quattro casi che riguardano donne e madri che erano occupate in quattro settori diversi e molto importanti per il Piacentino (agroalimentare, logistica, cooperazione sociale e commercio) e che si sono scontrate con vere e proprie irregolarità contrattuali o pochissima disponibilità aziendale». Lo ha reso noto Pino De Rosa, segretario provinciale del sindacato Ugl. A lui le donne si sono rivolte per cercare aiuto.

«Siamo di fronte  - dice - a donne che devono scegliere, se fare le madri o lavorare, entrambe le cose diventano inconciliabili. Ciò che accomuna i quattro casi è che c’è un problema sociale che deve essere affrontato nella sua concretezza e non per stereotipi  o per visibilità». «Parlando di aziende che impediscono una madre di lavorare serenamente, emerge che spesso i titolari, i proprietari o i datori di lavoro di queste ditte sono esse stesse donne. Anche nei casi dove la legge viene rispettata, spesso – ha spiegato - la parte datoriale sceglie di non andare incontro ai bisogni delle lavoratrici. Verrebbe da pensare che la mancanza di rispetto nei confronti delle donne non centri col genere, ma con il fatto di avere o meno potere».

Per tre ragazze-madri e quindi sole nell’accudimento dei figli si va dalla mancata programmazione dei turni di lavoro part-time e la loro conseguente comunicazione un giorno per l’altro, contravvenendo a quanto previsto per legge, alle missioni in un’altra città che rendono impossibile occuparsi dei piccoli se si è soli. Si parla poi di turni durante l’allattamento “spezzati” e ore buche che tengono la donna lontana da casa fino a sera. In un altro caso la donna protagonista è sposata e ha una figlia piccola, al rientro dopo l’allattamento (fino al compimento di un anno del figlio un genitore può lavorare sei ore per averne retribuite 8, due dall’Inps. Al termine o si continua a lavorare o ci si può dimettere avendo diritto alla Naspi per due anni) l’azienda ha proposto un adeguamento orario di alcuni mesi ma già retroattivo con la promessa di rinnovo. La donna ha quindi scelto la sicurezza della Naspi a fronte di una insicurezza lavorativa avendo pochi giorni a disposizione per decidere.

«Gli ostacoli principali messi davanti dalle aziende? L’organizzazione del lavoro, cioà il fatto che i turni di lavoro fossero preminenti rispetto alle esigenze delle persone. Ora, è vero - dice - che l’organizzazione del lavoro sta in capo all’azienda in linea generale ma è anche è vero che stiamo parlando di realtà con un numero notevole di dipendenti nello stesso magazzino o stabilimento, e noi crediamo che si sia trattato più di una questione di principio il non voler accettare le richieste che una questione sostanziale. In ogni caso le aziende non hanno voluto esaminare con il sindacato l’organizzazione del lavoro per trovare una soluzione e questo è fuori dalla logica contrattuale».

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