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Micro e nanoplastiche mettono a rischio la fertilità del suolo

Scienziati della Facoltà di Scienze Agrarie, Alimentari ed Ambientali dell’Università Cattolica di Piacenza presentano i risultati di una ricerca condotta nell’ambito del Progetto Europeo Minagris

Le micro e nanoplastiche che si depositano sui suoli agricoli potrebbero ridurne la fertilità, influenzando l’azione dei microrganismi del suolo che aiutano le piante ad assorbire i nutrienti fondamentali. È quanto riferito dal professor Edoardo Puglisi, docente della Facoltà di Scienze Agrarie, Alimentari ed Ambientali dell’Università Cattolica, campus di Piacenza che con il suo gruppo di ricerca ha presentato uno studio sulle plastiche nel suolo nel corso di Agrifoodplast, la prima conferenza internazionale sulle micro- e nano-plastiche nelle catene agroalimentari in corso nella sede piacentina dell’Ateneo. Organizzato con il contributo di Fao e Efsa e coordinato dal professor Puglisi, il convegno ospita più di 130 delegati da tutto il mondo.

«Come microbiologi agrari dell’Università Cattolica – spiega Puglisi - svolgiamo da diversi anni attività di ricerca sulla plastisfera, ovvero sull’ecosistema creato dall’uomo per rilascio di plastica nell’ambiente, concretizzatasi negli ultimi anni nel coordinamento del convegno Agrifoodplast e nella partecipazione all’ampio progetto europeo Minagris della durata di 5 anni e della dotazione finanziaria totale di 7 milioni di euro». Nel progetto Minagris l’Università Cattolica è coinvolta in attività legate all’impatto delle micro e nanoplastiche presenti nei suoli agricoli su piante, insetti e microorganismi. «In questo ultimo ambito – precisa l’esperto - stiamo studiando gli effetti delle plastiche sulla funzionalità ecologica del suolo, con alcuni primi dati che mostrano una riduzione di alcuni parametri legati alla fertilità del terreno. Stiamo però già lavorando a possibili soluzioni – anticipa il professor Puglisi - in particolare per le sempre più diffuse bioplastiche in realtà degradabili solo ad alcune specifiche condizioni e non quando vengono rilasciate in modo improprio nell’ambiente. Lavorando appunto sulla plastisfera abbiamo isolato e caratterizzato diversi batteri e funghi che possono migliorare e accelerare i processi di degradazione, riducendo quindi l’impatto delle plastiche».

«Nel nostro studio – racconta Puglisi - abbiamo quantificato in 3 diversi suoli agricoli degli indicatori (enzimi) che misurano la capacità dei microorganismi del suolo di rendere disponibili per la pianta i principali nutrienti, azoto, fosforo e potassio. Come plastiche abbiamo studiato il polietilene e due bioplastiche, polibutirrato e bioplastiche a base di amido», che erroneamente i consumatori talvolta disperdono nell’ambiente ingannati dal fatto che sono compostabili. “Nel caso del polietilene – continua il professor Puglisi - abbiamo misurato una riduzione significativa del quantitativo degli enzimi, il che indica una riduzione della fertilità del terreno”. Questo dato è coerente con altri studi, svolti anche nel progetto europeo Minagris, che indicano una riduzione nella biomassa di piante coltivate.

Lo studio è importante perché il quantitativo di plastiche presente nei suoli è considerevole e non si tratta purtroppo di materiale inerte, ma di sostanze che mostrano sempre di più i loro effetti negativi sulla fertilità dei terreni agrari», conclude il professor Puglisi.

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