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Piacenza, una storia per volta

Piacenza, una storia per volta

A cura di Giuseppe Romagnoli

Centro Storico

La doppia vita dell’oste con il contrabbasso

Tra le numerosissime osterie che oltre ottant’anni fa costellavano il variopinto ed animato proscenio popolaresco cittadino, va ricordata la trattoria del “Monte di Pietà” all’angolo tra via Re Umberto (Calzolai) e via Poggiali, meglio conosciuta come l’osteria “’d Gismond”

Tra le numerosissime osterie che oltre ottant’anni fa costellavano il variopinto ed animato proscenio popolaresco cittadino, va ricordata la trattoria del “Monte di Pietà” all’angolo tra via Re Umberto (Calzolai) e via Poggiali, meglio conosciuta come l’osteria “’d Gismond”, dal nome del proprietario, come sovente venivano nominate questi locande. Questo locale nella sua disposizione non differiva da tanti altri similari (era famoso per le squisite pìccule ‘d caval a 0,50 cent. e per lo stufato), ma era assai noto nella città perché chi lo gestiva (almeno per 10 anni), fu uno dei più valenti ed apprezzati suonatori di contrabbasso che i piacentini ricordavano, un uomo (come lo definì il cronista di inizio secolo Umberto Rebecchi), “caratterizzato da un’eleganza mite, senz’enfasi, accoppiata ad una gentilezza d’animo assorbita al contatto con le scene liriche”.

gismòndCanepari-2Alfredo Canepari oste lo fu per caso (come il padre Sigismondo prima in via Sopramuro al “Cavallo d’oro”, poi nella sede situata vicino al Monte di Pietà) e per un periodo limitato, ma fu soprattutto un musicista appassionato e valente per tutta la vita, un amore che trasmise ai figli Sigismondo, apprezzato batterista e Cesare professore di violino e concertista.

La biografia di Alfredo è intensa di avvenimenti lirici e tutta imperniata su una pratica esecutiva non comune. Aveva studiato al Nicolini sotto la guida del maestro Gobbi ed appena diplomato aveva iniziato le sue tournée concertistiche un po’ in tutte le città d’Italia: a Bergamo, Milano, a Verona, Cremona e nella vicina Salasomaggiore.

Il maestro Calmi, primo contrabbasso alla Scala, l’aveva subito talmente apprezzato che gli aveva proposto di trasferirsi nella metropoli lombarda, ma Alfredo, rivelando fin da allora uno sviscerato amore verso la propria città d’origine, non aveva accettato di traslocare. Subiva le fatiche delle trasferte consapevole però che alla fine sarebbe ritornato sul suo “sass”, in trattoria, tra gli amici che parlavano lo stretto e schietto vernacolo piacentino.

Quando non era impegnato nelle stagioni concertistiche, non disdegnava di aiutare i genitori nella gestione della locanda, impratichendosi così in quel mestiere che avrebbe esercitato per una decina d’anni, alternandolo con quello di apprezzato e duttile esecutore. Tanto eclettico che passava con sicurezza dal repertorio classico, ai valzer, alle mazurche, alle polke.

Così oltre a Verdi (Otello, Aida, Rigoletto), a Puccini (Tosca, Boheme, Madame Butterfly) a Mascagni, Ponchielli, Leoncavallo, Boito, Rossini, suonati in prestigiosi teatri italiani e con celebri direttori d’orchestra (Mugnone, Panizza, Del Campo, Paolo, Guarnieri), alternava più “frivole”musiche ed in ritrovi mondani, come al Kursal di Rapallo dove si esibì per tre anni.

E come se non bastasse si prestò, al tempo del cinema muto, agli accompagnamenti orchestrali degli spettacoli. Suonò al cinema Roma, Garibaldi, Verdi, all’Italia, i nostri cinema cittadini. (ne tratteremo ndr.)

Il giorno prima dello spettacolo, gli orchestrali (di solito due violini, un violoncello, un contrabbasso, il clarino, la tromba ed il pianoforte) si ritrovavano nella sala di proiezione e visionando la pellicola, decidevano i vari tipi di musica da eseguire in base alle varie situazioni filmiche. Naturalmente si passava dalle musiche impegnative della Traviata o del Rigoletto, ai più celebrati e conosciuti brani di operetta.

L’amore per Piacenza, per la sua famiglia, gli ha sempre impedito di recarsi all’estero rifiutando ottime offerte e perciò, come ribadito, non disdegnò di proseguire il mestiere paterno continuando la conduzione in via Calzolai e poi, per qualche anno alla Zocca in via Illica, fino al ’40, anno in cui terminò tale attività per dedicarsi completamente alla professione di musicista, un ruolo che svolse sempre con estrema passione, con grande sensibilità quale richiede appunto uno strumento siffatto (anche se sapeva suonare pure quelli a fiato), ma con estrema riservatezza, quasi tenendosi appartato nell’ombra, con un atteggiamento scevro da ogni ambizione, nonostante la sua figura mite e poco appariscente abbia caratterizzato quarant’anni di musica piacentina.

Egli infatti, oltre all’attività concertistica, si dedicava (la famiglia erra numerosa e gli orchestrali non erano particolarmente remunerati), a quella “leggera”: con quel suo caratteristico strumento, con il maestro Tinti, si esibiva nelle orchestre dei festival, nei veglioni, persino nelle balere. Gli anziani piacentini lo ricordavano al fianco di Tassi (violino), Iselli (mandolino) sul palcoscenico della celeberrima “balera ‘d Gilè”, quella di Piazza Cittadella gestito da Gilè Caminati (di cui abbiamo già trattato), nella quale si sono divertite intere generazioni delle nostre borgate popolaresche.

L’attività musicale dei complessi piacentini raggiungeva il suo apice a Carnevale quando per un’intera settimana la città bloccava ogni attività e la gente veniva coinvolta in una sorta di pazzia collettiva che coinvolgeva tutti i ceti. Allora le feste, i raduni, i veglioni non si contavano e Canepari, con tutti gli orchestrali, era sottoposto ad un autentico “tour de force” che metteva a dura prova la sua proverbiale, quasi mitica, capacità di resistenza.

E con il mutar dei tempi, dove l’epoca dei walzer e delle mazurke, Alfredo seppe adattarsi alle nuove esigenze ed ai nuovi ritmi, facendo vibrare sulla corda del suo contrabbasso, musiche dagli inusitati nomi esotici: sambe, boogie-woogie, rapse ecc. Poi l’avvento della radio, il livellamento di tanti valori, i nuovi nomi e le mode, ma Canepari continuò la sua attività, anche se in modo ridotto, trascorrendo il rimanente tempo con gli amici a giocare alle carte presso l’osteria del Tram, quella collocata tra le vie Roma e Cavour, condotta dal popolare oste Armenia o a rievocare, con bonaria nostalgia, i suoi bei tempi, le glorie del teatro di cui era ottimo conoscitore.

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Un uomo che dalla vita e dalle musica aveva tratto un’umile saggezza, uno stile garbato ed indulgente che rimase vivo nella memoria delle generazioni più anziane.

Tuttavia, nonostante l’età, Alfredo Canepari suonò ancora in concerti, lieto sempre, all’occorrenza, di faticare sul suo poderoso strumento quando il figlio Cesare, valente violinista, lo invitava ad esibirsi con lui per qualche ricorrenza, perché sapeva che il padre, con la sua esperienza, poteva essere una guida per tutti, lui che con il suo strumento sapeva accompagnare e sostenere anche 25 elementi, lui che grazie alla sua sensibilità musicale sapeva trasmettere, sulle note quasi gravi del contrabbasso, la gioia di suonare e farsi ascoltare.

Canepari che aveva vissuto per tutta la vita le luci della ribalta se ne andò in silenzio nei primi anni Sessanta e con lui se ne andò via un mondo di trascorsa piacentinità, gente che sapeva divertirsi con poco e che le note “pizzicate” di “Gismònd” per tanto tempo hanno accompagnato nelle vorticose danze della balera, quasi che il loro ballo fosse simile alla vita e come il ritmo, anche il tempo, scorresse via velocemente.

La doppia vita dell’oste con il contrabbasso

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