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Anticaglie

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A cura di Carlo Giarelli

Cade o non cade?

L’interrogativo si riferisce a Italia Viva, che tramite Il suo segretario Renzi in questi giorni ha contestato il governo Conte. Difficile prevedere quello che succederà, perché quando si mette in gioco Renzi, pochi hanno fiducia della sincerità della sua azione. Fin da quando col suo “stai sereno” rivolto a Letta, allora premier, lo ha poi tranquillamente tradito facendosi eleggere al suo posto. In politica o meglio fra politicanti capita. Ora lasciamo per un attimo stare il senatore semplice per avanzare qualche considerazione. E parliamo di Conte, il cosiddetto avvocato del popolo. La sua parabola comincia da avvocato e si sta a mio avviso concludendo, a cominciare da quando si è dovuto trasformare in politico. Intendiamoci, la sua capacità di mediazione, per essendo digiuno delle cose del palazzo, almeno all’inizio l’ha dimostrata. L’impressione è che stesse imitando l’epopea di andreottiana memoria. Con un ruolo politico posto a metà strada fra i 5 stelle ed il partito democratico, senza essere totalmente ben accetto e dagli uni e dagli altri. Per non parlare dei partiti dell’opposizione con Salvini in testa, che indipendentemente dai fatti personali arrivati con Conte alle offese da trivio, ha improntato, parlo sempre di Salvini, tutta la sua politica più sullo scontro che sul confronto. Sostenendo di non essere mai stato ascoltato  dalla maggioranza, dopo le raffiche di emendamenti presentati. E poichè questo continuo ritornello è stato troppo a lungo presentato come un mantra presso l’opinione pubblica, ha finito per stancare un po’ tutti a cominciare dagli stessi aficionados. Infatti atteggiarsi a vittima in politica non paga e la caduta nei sondaggi ne è la prova. Ma ritorniamo a Conte e alla sua parabola, il cui inizio è cominciato con la comparsa del Covid19 e la conseguente pandemia. L’occasione della verità è stata dunque proprio la pandemia per rivelare la sua vera natura. Dapprima auto  elogiandosi sostenendo con imprudenza e vanità ,che  il paese era pronto a  contenere senza alcuna difficoltà qualsiasi emergenza sanitaria, epidemie incluse.  Quel che è successo poi, ce lo ricordiamo tutti  per essere passati dalla negazione del problema ad una sua accettazione causa  necessità, non potendo o sapendo, il nostro uomo, fare altro.  Questa la sintesi. Abolizione di fatto del Parlamento e provvedimenti tipici dell’uomo solo al comando. Quali, comparsate televisive sempre nelle ore canoniche serali per garantirsi la massima popolarità e successivi e continui dpcm , spesso in contrasto fra loro.  Il risultato? Un primo lock down diffuso a tutto il paese in occasione della prima ondata, per poi durante l’estate aprire tutto o quasi alla vita pubblica sperando nello stellone, sempre di  andreottiana memoria, che tradotto  in pratica, voleva dire non credere  alla seconda ondata. Tralascio, per non allungare troppo il discorso, ogni riferimento alle mascherine  o alla proposta di soluzione della didattica scolastica. Da realizzare secondo le intenzioni  degli eccelsi politici, con la ministra Azzolina in capo, attraverso il ricorso ai banchi monouso e per giunta dotati di rotelle.  In quel periodo la cifra di Conte si condensava con un piano tutto proteso a smussare, condensare, accorpare. Poi altre cose sono successe. Prima l’approvazione del Mes, meccanismo europeo di stabilità detto anche Fondo salva stati, con i soliti 5 stelle che come già era successo con la Tav e la Tap, inteso quest’ultimo  come gasdotto transatlantico, hanno dovuto trangugiare amaro i loro iniziali divieti  in materia,  per finire in modo utilitaristico a condividere la posizione del Pd. Perdendo in questo modo dignità  e affidabilità politica. Intanto frizioni nella maggioranza non  sono mancate fra due alleati di governo spesso in conflitto di  idee e interessi.  Andando avanti, sempre  a spanna, al Mes si è ora aggiunto i Recovery fund. Qualcosa come 209 miliardi  concessi fra prestiti e sussidi dall’Europa all’Italia. La condizione per avere questi fondi? Presentare un piano di riforma o rilancio economico  del nostro paese, che  in base alle prime valutazioni, riguarderebbero interventi di innovazione alle infrastrutture, per continuare con la politica dell’istruzione, l’ equità,  la salute e  la rivoluzione verde.   Un programma che, per essere puntigliosi, si perde nella genericità delle proposte che sembrano cose sentite e dette migliaia di volte in convegni ed interviste. Infatti mancano cifre, budget, dati a tabelle e l’impressione è che vengano polverizzati in una serie di iniziative atte a soddisfare i vari partiti politici preoccupati solo del consenso degli elettori. A differenza di quello che succede in Francia. Dove il piano di rilancio economico  prevede la realizzazione di tre macro aree, ognuna con un proprio budget e  che sono l’ ecologia, la competitività industriale ed infine la coesione sociale e territoriale. Tutte  iniziative, come detto, suddivise in singole voci di spesa. Ma ritorniamo a Renzi e chiediamoci quali siano le sue intenzioni. Un bluff, come molti sostengono, per ottenere qualche poltrona in più? Oppure che voglia  fare, una volta tanto, sul serio per giungere a mettere in minoranza Conte. Approfittando  furbescamente di una certo raffreddamento subentrato nella maggioranza ed in questo modo sostituendosi al ruolo del Pd.  Che  in questo momento non sembra ancora in grado, nonostante le incomprensioni sempre più marcate  con i 5 stelle, di togliere il disturbo di un’alleanza litigiosa, onde affossare il governo. Quel che succederà non è mai prevedibile specie nel nostro paese mai votato a prendere in merito decisioni chiare, schiette, precise.  In quanto ogni contrapposizione politica  in fatto di governo,   è sempre  stata più orientata sulla strategia del rimpasto che ad una vera rottura con tanto di dimissioni e cambiamento di maggioranza. La vecchia mentalità Dc, arrivata fino all’assurdo delle convergenze parallele, pur di non perdere il potere, ha lasciato degli eredi. E soprattutto ha condizionato un modo di fare improntato alla mediazione, pur di non rinunciare al potere.  Se questo è vero, Renzi, oggi suo malgrado, si trova ad un bivio pericoloso. Infatti abbandonare il progetto della scomunica ai danni di Conte per accontentarsi di qualche poltrona in più, come molti sospettano, lo inchioda nella posizione di perdere la faccia e con la faccia anche il suo orizzonte politico.   E perdere ogni residuo di credibilità, in politica ti fa precipitare nell’inconsistenza. Viceversa, l’altra soluzione, sarebbe quella di portare all’estremo il suo proposito di rottura. In questo caso la cosa si fa pericolosa. Infatti un  semplice rimpasto, come da tradizione, al punto di come si sono svolti i fatti, in questo momento non soddisferebbe nessuno, col rischio di cadere in quel  passato che tutti a parole detestano. C’è però un particolare che riguarda un Presidente della repubblica ex democristiano che nelle sue incertezze di moderato ad oltranza, di mediatore non aduso a soluzioni drastiche, non sembra disposto a prendere atto della nuova situazione e reagire in modo contrario alla sua natura. In sostanza, sciogliendo le camere e indicendo nuove elezioni. Con la eventualità  ed il rischio che non deve mai essere sottovalutato da un politico di vecchia data e per giunta un po’ sinistrorso, di una vittoria del centro destra.  E di conseguenza con   l’elezione di un nuovo Presidente non in linea con quanto finora avvenuto nel previlegiare un uomo di centro sinistra. Staremo a vedere. Quel che mi sembra probabile, riguarda la fine della citata parabola di Conte. Un uomo che fin che è stato nel suo ruolo di avvocato si è barcamenato nella gestione politica con sufficienza, utilizzando l’arte  dialettica del convincimento popolare, in linea col  suo ruolo avvocatizio,  di  essersi  cioè autoproclamato difensore del popolo.  Viceversa quando  gli avvenimenti si sono complicati soprattutto con la pandemia,  ha dovuto cambiare strategia diventando un politico. E qualsiasi politico, ce lo dice il nostro passato, non dura mai a lungo. Prima o poi, anche se fa bene, ma non è il caso di Conte, per invidia deve lasciare il posto a qualcun altro. L’ambizione in politica infatti è una caratteristica o  una dote  che non può reggere al  gioco delle rivalità. Le carte prima o poi devono cambiare, di valore e di posto. Le premesse allora, per un cambiamento di mano, ci sono tutte.           

Cade o non cade?

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