Europa sì, Europa no
Chiediamoci, prima di tutto, se esiste l’Europa. Il che per chi la mette in dubbio, come chi scrive queste note, fa pensare alla frase di Klemens von Metternich a proposito dell’Italia: una semplice espressione geografica. Infatti passano gli anni, ma a proposito dell’Europa, non abbiamo ancora chiaro cosa sia e quale ruolo voglia svolgere nel panorama internazionale. Intendiamoci e guardiamo la situazione alla luce del recente Recovery fund. Dopo una lunga trattativa, di fatto si è giocata una gara fra due opposte squadre. Quella meridionale o mediterranea contro quella nordica, rappresentata dai paesi cosiddetti frugali. Per sintetizzare ed utilizzare una espressione calcistica, si è giocata una partita fra Italia e Olanda. Chi ha vinto? E qui nasce il dubbio, var o non var. Diciamo subito che con un arbitro come la Germania, in versione Merkel e un guardia linea come la Francia, rappresentata dal solito amico- nemico, Macron, a me antipatico quanto basta, le cose potevano andare peggio, se non avessimo avuto un centravanti dal nome Conte. Non ho mai nascosto di non avere simpatia per il nostro Presidente del Consiglio, ma nel caso specifico, anche se ai supplementari, bisogna ammettere che il suo goal l’ha fatto. Ed il pareggio se non proprio una vittoria, l’Italia l’ha raggiunto. Ma quanta fatica. Da qui, riconoscere che i miliardi concessi all’Italia, rappresentino una vittoria di tutta l’Europa, mi sembra francamente eccessivo. Un segnale in questo senso è stato forse dato, ma non bisogna illuderci per questo stato di cose, che sia nato( o rinato) uno spirito europeo. Troppe contrapposizione di mentalità e troppi egoismi nazionali, rappresentano, nella loro contraddizione, il più cogente ostacolo al dichiarato spirito europeo. Che di fatto non esiste. Esaminando i fatti, si scopre che ogni paese guarda se stesso e non si cura dei problemi degli altri. Questa è la sintesi della situazione. Le vecchie ruggini fra gli stati, contrassegnate da infinite guerre di potere e di religione, oggi riaffiorano sotto una altra bandiera, rappresentata dall’economia. Un elemento questo che cambia lo stesso criterio di guerra. Non più legata al potere, inteso come conquista di territori, ma solo al conseguimento della forza economica. Comunque sempre di guerra si tratta, tanto che ogni piccola vittoria, come secondo la narrazione sarebbe l’esito di quella che ho definito partita di calcio, non è mai definitiva. Esistono delle regole infatti, che possono cambiare il risultato e fare ripetere la partita. Per abbandonare la terminologia calcistica e tradurre tutto in economia, ci hanno concesso, parlo dell’unione europea, circa 210 miliardi di cui 81 a fondo perduto e gli altri circa 127 a debito. Ma poiché sotto il sasso spesso c’è il gambero, la vittoria definitiva per ritornare al gergo calcistico, si definirà nella seconda metà del prossimo anno. Quindi nel 2021 per ultimare il quadro della presunta elargizione di denaro nel 2023. E nel frattempo cosa fa l’Italia ora che la pandemia virale ha lasciato il posto alla crisi economica? Si prevede per il prossimo autunno disoccupazioni a raffica, causa la chiusura di fabbriche e di molti esercizi commerciali. Con questo non vogliamo fare la Cassandra di turno, ma nemmeno desideriamo affidarci al famoso stellone italico, grazie al quale, come mezzo per salvarci da ogni indebitamento, se l’intendeva la vecchia classe dirigente con a capo Andreotti. Un politico che come tanti altri non ha mai praticato una vera politica di rigore nel senso di controllo della spesa pubblica. Troppo rischioso per il sostegno elettorale, preferendo pensare che prima o poi, oltre alla Provvidenza (era infatti cattolico), qualcuno ci avrebbe dato una mano. Ed arriviamo allora a questa Europa pensata dai padri fondatori, di cui ricordiamo De Gasperi, Adenauer e Schuman, come una forma utopica in grado di modificare la realtà storica col mettere insieme antiche rivalità, lotte e lutti. L’intento, quello di dimenticare il passato e costruire un nuovo futuro. Ma come? Facendo esattamente l’opposto di un vero processo di unificazione, per quanto da considerarsi, come detto, utopico. La strategia da seguire, per realizzare l’ avventura impossibile, quella di costruire prima alleanze di popoli, cementati da una banca centrale, quindi agire attraverso una politica fiscale comune, infine prendere importanza e rappresentatività da una forza militare integrata. E solo alla fine, garantire l’uguaglianza attraverso una stessa moneta. Invece è successo tutto il contrario, tanto che l’utopia si è realizzata sovvertendo strategia e logica. Prima la moneta unica e poi tutto il resto che di fatto ha creato diseguaglianze e contraccolpi. Così fra incomprensioni varie si è ritrovata l’Italia, la quale, anche se ci ha messo del suo, è diventata dopo la Grecia, il calimero, vale a dire il pulcino piccolo e nero dell’Unione . Sappiamo infatti come la moneta unica sia stata interpretata secondo le convenienze che sarebbe meglio chiamare egoismi, da parte dei vari stati. Con i più solidi economicamente che ne hanno tratto vantaggio ed i più deboli che hanno invece subito un cambio penalizzante. Senza nemmeno poter ricorrere a quelle misure economiche di salvaguardia , tipo fabbricare moneta e svalutare, che da sempre rappresentano il mezzo per tentare di salvare una economia debole nei confronti di quelle considerate forti. Cosicchè per non farci dimenticare niente, a proposito di una mancata politica fiscale comune, non siamo nemmeno stati in grado di eliminare i cosiddetti paradisi fiscali, in grado di attrarre aziende e capitali a vantaggio di pochi, ma a scapito di molti. La lista è lunga e comprende alcuni paesi frugali, quelli per intenderci che , per essersi dichiarati virtuosi, si impancano a darci lezione di economia e di buon comportamento. E mi riferisco all’ Olanda, al Lussemburgo e all’ Irlanda, senza però dimenticare Cipro, Malta ed Ungheria. In questo modo la cosiddetta Unione, crea più danni che benefici e poiché le disuguaglianze aumentano a favore dei paesi più ricchi, si trasforma in una vera dis-Unione. Le statistiche infatti dimostrano che i più ricchi cittadini tedeschi sono fra i più beneficiati dalla fuga dei capitali, avendo stoccato 331 miliardi di euro. Seguiti dai francesi e dai britannici, ora non più in unione. Trattasi insomma di una emorragia di risorse nei bilanci statali, causa anche il trasferimento, in quei paradisi con poche pretese in fatto di tasse, di rappresentanze legali e fiscali legate a multinazionali, fra cui ricordiamo, per quanto riguarda il nostro paese, l’ industria automobilistica, FCA. Questo in economia. Ed in politica estera? La mancanza di strategia, rappresenta il suo più autentico connotato. Fra la via della seta e quella della vecchia alleanza atlantica, oggi in forse, causa il Presidente Trump, contestato dai black lives matter, non si può dire da che parte l’Europa voglia stare. Possiamo dire nel mezzo, ma è un mezzo che sa di non poter o voler decidere, per la mancanza di idee chiare e di una forza militare autonoma. Trattasi insomma di uno sterile compromesso, per l’ incapacità di assumere un ruolo guida. Ritornando allora al titolo con l’intento di voler esprimere un sì o un no nei confronti di questa Europa, meglio astenersi da ogni giudizio. Il motivo? La mancanza dell’oggetto di riferimento. Infatti l’Europa non esiste.