rotate-mobile
Anticaglie

Anticaglie

A cura di Carlo Giarelli

Il rischio e la vita al tempo del Coronavirus

Questo titolo potremmo anche cambiarlo e renderlo ancora più diretto e categorico nel suo significato, dicendo che la vita stessa è un rischio. Infatti si rischia sempre e dovunque siamo o andiamo. Il bambino che nasce già da subito, prima del famoso urlo che lo pone di fronte ad un mondo nuovo a lui ancora sconosciuto, dopo aver superato il primo rischio di stare acquattato e nutrito all’interno dell’organo protettivo per eccellenza, l’utero, ne   affronta un  altro di rischi. Quello di doversi adattare ad una nuova realtà, senza sapere cosa sia. E così gli capiterà via via che cresce. Con questo non voglio fare professione di pessimismo, in merito al rischio, tutt’altro, ma solo constatare con semplice realismo, quello che a noi tutti capita.  Cerchiamo di chiarire e tralasciando le guerre in cui il rischio è connesso alla natura stessa dell’evento bellico ed in cui nulla si può fare se non sperare che la bomba o la pallottola cadano un po’ più in là di dove ti trovi, per il restante corso della vita qualcosa si può fare per contrastare il rischio. L’occasione ce la offre l’attuale pandemia che in fatto di contagi che vengono ad ondate, siamo alla seconda, ci deve indurre a non cedere di fronte al pessimismo.  Infatti la soluzione c’è. Quella di non abbandonarsi alla passività, onde   cedere di fronte ad un evento che in fatto di rischio non è poi così devastante, come viene descritto, nella vulgata dei vari virologi e compagnia bella. Intendo la voglia di reagire, prima ancora che con i mezzi di prevenzione, con quello spirito di avventura che da sempre ha contrassegnato il destino degli uomini vincenti. Il virus in altri termini non è l’equivalente di una guerra, in cui l’idea di sottrarti al pericolo è del tutto immaginaria e priva di comportamenti concreti da dover prendere. Ma se così è, anche in questi casi non va esagerato il rischio, come vero  autentico pericolo. Infatti è sempre meglio combattere la lotta che non lasciarsi vincere nell’illusione di esserne risparmiato. Quello che voglio dire è che ogni lotta anche quella più tragica, quale una guerra che nel nostro caso è di tipo biologico, diventa una opportunità da cogliere attraverso un atteggiamento che ben si esprime nel detto: se ti sottrai sei perduto. Parliamo allora del virus che appunto perché non si combatte con le armi da fuoco, consente a tutti noi di affrontarlo per quello che è, ricorrendo alle nostre forze di reazione di tipo psicologico e morale. Dunque se è doveroso mettere in atto tutte quelle manovre di cui, i cosiddetti esperti, ormai ci hanno riempito la testa fino alla nausea e che riguardano la tutela contro la diffusione del contagio, non lasciamoci convincere o ancora meglio farci illudere che solo l’isolamento individuale sia l’unica soluzione. La battaglia è battaglia anche se i mezzi di offesa sono diversi.  Ma nello stesso tempo sono variabili e soggettivi anche i mezzi di difesa che si esprimono nell’affrontare il rischio a cominciare dalla necessità di non sopravvalutarlo. Questo fatto ci rimanda alla tecnica della comunicazione, che per gran parte improntata alla paura, diffonde a sua volta paura e in base a questa all’esasperazione del pericolo. A questo proposito basta citare le grandi epidemie della storia quali la peste di manzoniana memoria e prima ancora quelle che si ricordano dall’antica Grecia. Oppure il periodico accendersi, anche in tempi recenti, del colera che in effetti lasciarono la popolazione mondiale orfana di diverse generazioni di uomini e donne.  In questi giorni poi è invalso l’uso di fare riferimenti all’inizio del secolo scorso, quasi per constatare una analogia con il contagio che stiamo vivendo. Ecco allora rifiorire nel ricordo l’epidemia spagnola, come se fosse una antica edizione del covid 19. Ma come spesso capita, i ricordi appaiono confusi   e non veritieri riguardo alla presunta analogia. Parlano infatti ad abundantiam le cifre.  La epidemia spagnola nel 1918 provocò oltre 100 milioni di vittime mentre per il covid19 tocchiamo al massimo la cifra di un milione o poco più. Se quindi il paragone non tiene a tutto nostro vantaggio, questo non vuol dire che il rischio attuale non esista.  Ma nemmeno vuol dire che non abbiamo, in attesa del vaccino, gli strumenti per combatterlo. Ed il primo fra questi, come ho già detto, è il non lasciarsi prendere dallo sconforto al fine di non correre un rischio peggiore. Quello-lo ripeto- di essere dominati dalla paura.  Come fare allora? Semplice, uscire di casa, praticare attività fisica all’aperto, incontrare amici anche se tutti con mascherina d’obbligo e poi auspicare di poter frequentare il prima possibile, teatri e musei. Per le funzioni religiose lascio libertà di culto per tutti coloro che hanno fede e che non si fanno illudere dalla laica equazione salute - salvezza.  Insomma, la soluzione possibile, riguarda il desiderio di dimostrare quella vocazione organica e mentale che antepone il desiderio di vita alla paura di morte. La quale prima ancora del suo compiersi, se proprio va male, comincia a materializzarsi dapprima nella fuga illusoria verso l’isolamento personale. Lontano dagli altri e lontano dal cuore, come corpo estraneo alla voglia di continuare a credere nella vita. Una condizione quest’ultima, che qualunque cosa capiti, non conosce pausa, continuando a correre e scorrere  con tutti i suoi alti e bassi. Che la vita sia allora una battaglia continua contro ogni genere di rischio, è un dato di fatto, ma appunto per questo, ogni battaglia vinta attraverso il rafforzamento dello spirito personale e collettivo, potrebbe diventare una occasione per generare una nuova società. Per ricostruire un nuovo modello di sviluppo e di potenziamento della condizione umana basato sulla riscoperta del valore della solidarietà e di una rinnovata umanità. Allor quando allo scontro aperto contro il rischio, preferiamo nasconderci dietro il silenzio e la fuga nell’isolamento. La storia ci insegna come dopo ogni guerra si generano nuove forze in grado di superare i danni compiuti, per ricostruire una umanità desiderosa di recuperare il tempo perduto con il proposito, anche se spesso sarà di nuovo tradito, di non commettere gli errori passati.  Guardiamo allora la nostra situazione attuale. La paura del virus ha generato con il lock down una nuova paura, quella economica. La gente più del contagio rischia di morire di fame. La caduta di ogni attività produttiva apre la strada a futuri disordini. Le prime avvisaglie già si notano. La piazza intesa come popolo che protesta e minaccia, per ora è ancora contenuta. Ma per il domani, nessuno può dire dove ci si incammina. Non è questo il modo per combattere la battaglia del virus. Una democrazia che rischia di diventare una oclocrazia, vale a dire, una forma di stato costituito da un popolo inferocito e stremato causa indigenza è il vero rischio che potremmo correre, ma che non ci possiamo permettere. La verità infatti coincide con la lotta per la vita non con il suo opposto. Prendiamone atto e ritorniamo a vivere, abbandonando l’isolamento illusorio e pericoloso. La vita è spesso un problema, è vero, ma non meno problematico è il nostro sistema immunitario, che si pone il compito di difenderci. Ma con questa inflessibile e strana regola: più noi ci isoliamo e più lui si indebolisce. L’uomo, animale sociale, ha bisogno di confrontarsi con gli altri, suoi simili. Diversamente rischia di morire prima di paura che di malattie, virus inclusi. Ma non è ancora tutto. Superata la paura ed il contagio che prima o poi sarà vinto mediante il vaccino ed in attesa di nuovi pericoli che si affacceranno nella vita di ognuno, per chi non ha animo di combattere, rimarrà nel frattempo solo la noia. Un nemico ben più subdolo del contagio in quanto con essa si muore vivendo.       

Il rischio e la vita al tempo del Coronavirus

IlPiacenza è in caricamento