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Venerdì, 26 Aprile 2024
Anticaglie

Anticaglie

A cura di Carlo Giarelli

La cronaca del secondo giorno del festival della cultura della libertà

Si comincia subito alle ore 9. Il tema: proprietà privata e razionalità editoriale. In cattedra, siedono due dei tre oratori previsti in programma, con al centro il giornalista  piacentino, Triscornia. Un personaggio corpulento questo, ma attendo a presentare gli ospiti con garbo e competenza e poi sempre pronto ad interloquire con loro per rendere l’incontro più vario e interessante. Comunque dopo i preliminari ecco il primo relatore. Trattasi di Guglielmo Piombini, editore e saggista. Pacato nei modi e nella oratoria, per la verità dai toni sempre uguali, dunque senza sprazzi emotivi, precisa subito il suo pensiero attraverso alcune definizioni apodittiche. Queste. L’imprenditore è il motore del sistema economico e la forza dirompente dell’economia. Poi la seconda frase: l’imprenditore è la persona che per prima scopre la novità del profitto, perché in grado di mettersi sempre in sintonia con i cittadini. Quindi continua con un affondo politico: l’opposto dell’imprenditoria è il socialismo. Infine per completare il suo canto verso l’impresa, aggiunge questa ultima riflessione. Se è vero che l’errore per ogni imprenditore è sempre dietro l’angolo, è anche vero che da questi stessi errori trova giovamento tutta la società. Ed oggi come sta- si chiede- l’imprenditoria? Male la risposta. Infatti la cultura da parte della scuola, crea una dipendenza nei confronti dello stato, tanto che i millennials sembrano più orientati al socialismo. Il risultato è che l’Italia negli anni’80, veniva considerata al quinto posto fra le potenze mondiali, mentre oggi non è certo che arrivi al quinto, superata da Israele che invece è diventato il paese più vivace nello sviluppo imprenditoriale, soprattutto nel campo delle tecnologie innovative. L’intervento finisce con questa frase che sa di pessimismo: un delirio tecnologico si è scaricato sulla imprenditoria. Se quanto detto in questa relazione lascia poche speranze per il futuro, ancora meno le lasciano le parole del secondo relatore, Adriano Teso, un imprenditore bergamasco nel settore delle vernici. Alto, elegante, con viso da attore cinematografico e sormontato da una capigliatura folta e bianca, pettinata con cura all’indietro, nonostante questa simpatia della figura, preferisce, nell’esporre le sue idee, optare per l’antipatia di una cassandra. Infatti per lui, non ci sono soluzioni per il futuro del nostro paese. Troppe le contraddizioni. Prima di tutto la classe politica inadeguata, quindi l’aumento della vita media col risultato dell’aumento della spesa pensionistica. Per giunta altro elemento negativo, la scarsa attenzione che i nostri governanti rivolgono al problema della produttività.   Cosicchè, i giovani che dovrebbero entrare nel mondo del lavoro, preferiscono migrare all’estero dove le paghe e le opportunità di carriera sono migliori. Infine, per completare il quadro fosco,  pone il problema dell’etica, oggi  in fase nettamente calante, che invece di separare il bene dal male, autorizza ognuno a ritenere giusto quello che per lui è più comodo. In questo contesto dove nonostante tutto, la nostra gente vive con un tenore di vita fra i più alti al mondo e con un debito pubblico altrettanto grande, non esiste speranza di evitare il crollo economico che potrebbe avvenire anche domani. Un pessimismo così marcato, lascia tracce di perplessità e qualche dissenso fra il pubblico. Troppo preso in contropiede da  una simile visione dantesca, quasi infernale del nostro futuro. Per uscire da questa plaga, ci prova il moderatore a porre la domanda a proposito del reddito di cittadinanza. Ma mettere benzina al posto dell’acqua, suscita l’effetto di rabbuiare ancora di più il viso e il pessimismo delle parole del nostro personaggio. Come pure, suscita analoga impressione, chiedergli se e come si possa creare una degna classe di imprenditori.  Il fuoco delle risposte, per la verità sembra per un attimo acquetarsi, diventando fatuo,  ma non smette di bruciare ogni ipotesi legate a possibili vaghezze ottimistiche. L’Italia è la risposta  del relatore, ha 250 mila leggi e un numero di avvocati che nella sola Milano eguagliano  quelli di tutta la Francia. Alle leggi, si aggiungono  poi le leggine fatte per e dagli amici e poi va considerata la mancanza di una programmazione che riguarda il dove vogliamo andare economicamente. Cosicchè se noi non lo sappiamo, il problema è invece  ben conosciuto in Cina, descritta  finemente dal giornalista  Federico Rampini nel suo ultimo libro: La seconda guerra fredda. Trattasi di un paese in perenne crescita economica , che si prende buona parte delle nostre industrie e palazzi specie quelli storici e di prestigio( nella sola Milano quasi la metà di questi palazzi  è di proprietà cinese). Ed a proposito delle guerre, oggi per gran parte solo economiche, volute dai grandi poteri finanziari, che dire? E’ utile, mandare i nostri soldati in giro per il mondo senza sapere cosa devono fare? Per alimentare il fuoco che a proposito della guerra ha ripreso ora  vigore, ci pensa ancora l’attento e curioso moderatore a porre l’ultima domanda che riguarda la concorrenza delle piattaforma on line tipo Amazon. Stranamente la risposta mette un po’ di acqua in quello che prima ho  definito l’inferno pessimistico. Ecco allora la risposta che abbassa un po’ la temperatura. Questa la risposta. Il mondo cambia e se si realizzano gli obiettivi di tutela del servizio, della qualità e del costo, tutto diventa possibile, tanto che si può realizzare una azienda, senza operai né impiegati, utilizzando solo un computer o  come succederà nel prossimo futuro  ricorrendo alla robotica. Ora dopo aver toccato il fuoco e poi l’acqua dei quattro elementi della filosofia presocratica, rimane il cielo e la terra. E’ allora proprio quest’ultima che viene evocata, senza tanti voli pindarici, dal primo relatore Guglielmo Piombini che essendo editore, ritorna in campo perchè  toccato dalla domanda e dunque desidera dare risposta.   Ma contrariamente alle aspettative, non cerca e non  chiede la benedizione dal cielo, ma riconosce che un’imprenditoria fatta da sé, è  comoda, è a buon prezzo ed è pure efficiente tanto che ti porta i libri a casa. Più terra terra di cosi si muore. Ed è per questo che si chiudono le edicole e le librerie. Pausa caffè, breve e poi subito di ritorno per il secondo argomento della mattinata: proprietà pubblica ed imprese di stato. Moderatore sempre il giornalista Tiscordia che aveva già animato con stimolanti domande la sessione precedente. Diversi invece i relatori. Inizia a parlare Alessandro Vitale, scienziato politico dell’Università di Milano. Ancora giovane e tutto preso da quel che deve dire, mai un sorriso gli scappa dal suo viso improntato ad  una severità propria di chi si sente conscio della propria preparazione. Impressioni. Inizia comunque a parlare dell’attacco alla proprietà privata da parte dei regimi dittatoriali, che di fronte all’inestirpabile esigenza della proprietà privata, hanno contrapposto una statalizzazione integrale del senso della proprietà. Il risultato visto soprattutto nel sistema sovietico comunista , ha comportato non solo l’abolizione della proprietà privata, ma anche il suo trasferimento, generando una proprietà diversa fatta da burocrati, politici che in pratica  è quella che viene chiamata nomenclatura. Il risultato è che nei regimi comunisti, gli stati si sono impossessati di quello che apparteneva ai cittadini, fino a spingerli a credere che chi non si sottomette a questo sistema di statalizzazione non è degno di mangiare e sopravvivere. Se questa condizione vigeva nel sistema dittatoriale sovietico, la situazione nel nostro paese è molto diversa. Sì e no, la risposta. Sì, perché la proprietà privata, pur con i suoi limiti, non è stata abolita. No, perché nel nostro stato moderno, spesso si verifica una lotta di potere , magari non dichiarata, che induce i monopolisti della violenza  a guadagnare sia il potere che le istituzioni. Il risultato  è che rispetto ai regimi comunisti, la nostra situazione, riguarda solo una differenza quantitativa, mentre lo stato di inefficienza è lo stesso. Posizione questa non molto edificante. Gli fa eco prontamente Carlo Stagnaro , economista dell’Istituto Leoni, il quale giovane quanto basta e con un pizzetto alla D’Artagnan, sostiene che  quando le imprese diventano pubbliche, quasi mai sono compatibili con le leggi di mercato. Elenca poi le caratteristiche di queste imprese pubbliche che vantano una maggiore possibilità di accedere alle risorse , ma soprattutto possono contare sempre sulla garanzia dello stato, tanto che si può dire che queste stesse imprese, per quanto spesso poco efficienti, difficilmente possono fallire ( vedi Alitalia). Segue a ruota nel prendere la parola un altro giovane, quasi un ragazzo a giudicare dall’abbigliamento casual e dalle scarpe di tela che ai miei tempi si definivano da ginnastica. Ma, come già detto, il mondo  cambia e la moda pure.  Ecco allora il nome e la qualifica: Luciano Capone, giornalista de: Il Foglio. Ebbene cosa ha da dire il nostro nuovo relatore. Semplice dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Al cerchio, vale a dire allo stato, per il fatto che se perde nell’immediato, può garantire periodi più lunghi nei confronti dei mercati. E poi anche perchè  lo stato può fare innovazione a patto pur che si rivolga ad imprese capaci. Al cerchio, sempre a proposito di colpi, in quanto se è vero che nei regimi comunisti le imprese possono dare vantaggi ai popoli di civiltà primitiva, quando subentra il progresso tecnologico, queste imprese sono destinate al fallimento. Chiude comunque il suo intervento con una domanda. Questa. Se lasciamo tutto al libero mercato, il rischio riguarda la possibilità di perdere settori importanti della nostra economia e di territorio come già oggi avviene con la Cina. Subentra il terzo relatore, un saggista ed editore dal nome Michele Silenzi. Quasi controcorrente il suo intervento. I beni infatti- egli dice- non bisogna solo possederli ma utilizzarli. Per questo motivo la civiltà occidentale attraverso il miglioramento sia della persona che  dei processi di distribuzione, può permettersi di annacquare la proprietà, fino ad ipotizzare la sua trasformazione in noleggio. Sono ormai le ore  13, e l’aria si sta surriscaldando per l’attesa del nuovo ospite. Un personaggio stimato, conosciutissimo, sia come filosofo che come politico di qualche anno addietro, quando fu Presidente del Senato nel periodo che dal 2001 al 2006. Da lui ci si aspetta la vera lectio magistralis, una definizione questa spesso abusata, ma che si adatta perfettamente al nostro personaggio. Il suo nome: Marcello Pera. Silenzio entra in aula. Vedendolo, non sembra, molto cambiato dai tempi della politica, solo un po’ di appesantimento, ma nulla di più. Ancora elastico nei movimenti, raggiunge presto la cattedra . La espressione è placida, serena, con un accenno ad un sorriso di soddisfazione che lo rendono subito simpatico. Insomma nessuna tracotanza, nessuna spocchia, al contrario traspare in viso la soddisfazione di essere stato invitato. Comincia la sua conferenza. La parola è pronta, molto precisa e lucida nella concatenazione dei concetti. Prima di tutto ringrazia il Presidente Corrado sforza Fogliani per l’invito gradito e poi il vecchio amico di lungo corso politico, il Prof Forte che in prima fila aveva già lanciato  occhiate di intesa e di mai sopita amicizia, ora ricambiata. Non parlerò della Proprietà, dice  fin da subito l’insigne filosofo, ma del liberalismo che in questa sede si respira a pieni polmoni.  Ma per  prima cosa vuole sgombrare il campo con questa domanda: cos’è il liberalismo che oggi da tutti viene evocato ma quasi da nessuno seguito? E poi ancora, è forse un sottoprodotto del capitalismo? Per niente la sua risposta ,  perché l’uno( il liberalismo) è legato  sempre alla libertà, mentre l’altro( il capitalismo) può degenerare  nel monopolio e inficiare il senso di libertà delle persone. Per essere più preciso, il liberalismo non è nemmeno un “ laissez faire”  perché presuppone delle regole. Ma quali regole? Quelle di carattere morale?  Possibile, perché la libertà si lega alla virtù e non al vizio. E allora chi è depositario della virtu? Questa serie di domande rimandano  al metodo socratico della maieutica  e questa è la prima riflessione che mi viene in mente. Infatti alle prime domande il nostro celebre relatore, dovrebbe produrre delle risposte, che invece  non arrivano, risolvendosi in nuove domande. Ed a proposito della virtù o questione morale, cosa dire? E ‘lo stato o la società che con le sue leggi definisce il comportamento morale? Oppure è la ragione  o ancora la legge morale proposta dal filosofo John Lokhe. Tutte ipotesi possibili, ma senza certezza di prova.  Per ultimo, è forse il cristianesimo, quindi la religione rivelata che definisce il senso morale e conseguentemente la virtù, considerato che il liberalismo nasce in un ambiente cristiano protestante? Non c’è risposta univoca. Il dubbio allora rappresenta l’essenza della visione del filosofo Pera che lo rende simpatico e affascinante proprio perché i toni non sono mai perentori e assoluti. Ma tutti improntati alla voglia di discutere, senza la pretesa di avere la risposta in tasca. Ma intendiamoci, trattasi di un dubbio positivo che ti spinge  alla curiosità di cercare quella verità che oggi si vela e non di un dubbio passivo che si perde nella staticità del pensiero debole o del nichilismo. Questo il grande messaggio che  ci ha lasciato in eredità l’oratore, il quale poi risponde sempre con aria socratica alle varie domande che provengono da un pubblico coinvolto e affascinato. Anch’esso un po’ frastornato dal dubbio inteso come stimolo a non adagiarsi di fronte a quello che sembra, ma non è. In  questo stato d’animo dove si sposano e nello stesso tempo si  separano sia la posizione laica  che quella religiosa, si chiudono  in bellezza le discussioni del mattino. La pausa pranzo, dopo le vibrazioni intellettuali, consentirà di abbassarsi, più prosaicamente a livello di pancia. Si ricomincia comunque alle ore 15,30, con un giovane giornalista piacentino di nome Luigi De Biase, oggi migrato professionalmente nel TG5. Il tema da lui trattato riguarda i genocidi praticati nel modo dai regimi sovietici. Infatti sta preparando un documentario che illustrerà questi eccidi. Per realizzarlo ha dovuto per lungo tempo trasferirsi in Russia , nella zona orientale dove presso la città di Yakutsk esistevano campi di concentramento per dissidenti politici anche se questo termine veniva usato a discrezione  e ad arbitrio da parte   del potente  politico di turno. Comunque dalle prima immagini, l’emozione  provata è tanta  e tutti noi siamo ansiosi di vedere   il documentario  quando sarà completato, per renderci conto di quali e quante efferatezze il regime comunista si è macchiato. Ormai il festival volge al termine, ma c’è ancora un pezzo forte da ascoltare e il suo nome è presto detto. Basta sostituire la f minuscola  di forte con quella maiuscola. Il tema è: proprietà, giustizia, socialità. Comincia il giornalista  , direttore di Tempi, Emanuele Boffi  col dire che oggi la proprietà è diventata una parolaccia in quanto non coincide col possesso, ma si  allarga al territorio e in sostanza alla natura. Per dimostralo il riferimento riguarda una società di manifattura e di marinatura di anguille a Comacchio.  Infatti chiusa per deficit ed affidata ad una cooperativa  sociale, essa ha ripreso a funzionare  grazie alla volontà di giovani che nonostante problemi di natura fisica o mentale non si sono arresi, ma hanno creduto fino in fondo che la libertà di agire bene nel mondo dell’imprenditoria non va mai abbandonata. Ed ecco arrivati come dicevo prima al pezzo forte rappresentato, scusandomi del gioco di parole, dal prof, Francesco Forte, economista all’Università: la Sapienza di Roma.  Piccolo di statura e avanti negli anni, ha un viso con diverse pieghe tuttavia tonico e non  ancora piegato dagli anni. Anche il corpo quadrato e squadrato ha le stesse caratteristiche di tonicità. Meno gli arti inferiori che si muovono  a piccoli passi, ma in modo affrettato che a noi non più giovani ricorda i giocattoli infantili meccanici caricati a molla. La sua esposizione tocca  argomenti  di sapere ampio, dove accanto ai temi economici, si spazia nella letteratura, nella storia civile e religiosa.  La sintesi del suo pensiero comincia con un complimento alla città di Piacenza, sede dei primi istituti bancari, grazie agli scambi commerciali con gli ambienti genovesi. Poi entra in argomento, sostenendo che il diritto di proprietà è un diritto naturale che deve essere esteso a tutti. In quanto ogni essere vivente ha diritto ad un habitat. Vista l’apertura culturale , non si fa scrupolo di scomodare Rosmini , di citare la Rerum Novarum e di menzionare Einaudi a conferma delle sue tesi. Infine produce un lavoro statistico dove risulta come i paesi a più alto tasso fiscale, hanno un indice di crescita più basso. Siamo alla conclusione e come sempre questa funzione spetta all’ideatore ed organizzazione del festival: Corrado Sforza Fogliani. Le sue sono parole dette con soddisfazione, ma con un tono amichevole quasi confidenziale. Ringrazia il prof. Forte per quanto detto  proposito della nostra città e ribadisce che in effetti i primi cambiavalute che assistevano i pellegrini che andavano a Roma, si sono formati all’incontro delle due strade allora confluenti, in pratica in Piazza Borgo. La nascita prima del Banco dei pegni poi diventata La Cassa di Risparmio ne è la prova provata. Quindi  dopo aver ribadito che il diritto di proprietà evita la sopraffazione del potere, si chiede cosa oggi resta di questo diritto, sempre sottoposto a norme di revisione ingiustificate. Passando poi allo stato, senza mezzi termini, afferma che le proprietà pubbliche sono solo  una finzione. Mentre non è finzione l’invasività dello stato,  che per salvare se stesso( ultimamente lo sono i registratori di cassa) affama i cittadini. Infine, dopo aver citato  il pensiero di   Einaudi riguardo all’uguaglianza  che tutti  devono avere ai blocchi  di partenza, ringrazia i presenti e tutti coloro che  in ogni modo si sono occupati  e preoccupati della  buona realizzazione di questa appena conclusa  quarta edizione del Festival della Cultura della Libertà. Da ultimo, si augura, a Dio piacendo, che tutti possiamo rivederci il prossimo anno nell’ultima settimana di gennaio, trascinati metaforicamente in volo dagli aironi diventati simbolo e logo di libertà del festival.

La cronaca del secondo giorno del festival della cultura della libertà

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