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Anticaglie

Anticaglie

A cura di Carlo Giarelli

Professione ladro

Ci manca solo una autorizzazione formale a livello di una certa politica socializzante che questa professione (di ladro) può benissimo entrare di diritto fra le tante già esistenti. Senza alcuna distinzione di merito. Ho detto formale perché in realtà una certa autorizzazione c’è già

Ci manca solo una autorizzazione formale a livello di una certa politica socializzante che questa professione (di ladro) può benissimo entrare di diritto fra le tante già esistenti. Senza alcuna distinzione di merito. Ho detto formale perché in realtà una certa autorizzazione c’è già. Quando ad es. si sostiene, da parte di alcuni, che la colpa è della società che crea nuovi adepti verso questa opportunità di lavoro, in pratica in qualche modo la si autorizza. Si parla, è vero, ancora di colpa come se il furto fosse una cosa non lecita, ma penso che presto o tardi anche nelle coscienze subentrerà, causa l’abitudine ai fenomeno, una certo progressivo adeguamento. Il che sta a significare non voler giudicare secondo gli abusati valori di bene e male già oggi per la verità molto scaduti e in via di estinzione. Sostituiti, come già lo sono, da termini come progressismo e conservatorismo per definire appunto quello che è buono da quello che non lo è.

Va da sé che la bilancia penda tutta vero la prima delle due definizioni. Dicendo questo, mi rendo conto di non scoprire l’acqua calda. Se un tempo solo Arsenio Lupin poteva permettersi questo mestiere, legato all’arte di appropriarsi delle cose altri, causa aristocrazia di modi e di comportamento, oggi non è più il tempo di definire miserabili coloro che non vantano questa raffinata educazione al furto. Personaggi questi che fino a qualche tempo fa, meritavano  la condanna della società e conseguentemente del diritto, ai tempi  ancora inquinato di  condizionamento borghese. Poiché si sono capovolti i valori, i nuovi miserabili allora sono diventati gli esponenti della società del capitale, chiusi nel loro egoismo e nella loro ipocrisia di benpensanti. Gli altri invece, quelli delle periferie, delle banlieuse parigine, dei campi profughi, delle varie etnie, rom compresi, e di tutta l’ampia galassia degli immigranti irregolari e clandestini, vantano diritti che a noi , stanziali, non sono concessi. Quello cioè , visto che devono pur vivere, di entrare nelle case e di appropriarsi di quello che trovano utile sia la loro sopravvivenza, sia anche per la loro supervivenza.  Intesa quest’ultima come forma di superamento del necessario per vivere.  Del fenomeno se n’è accorta da tempo, nonostante una opinione pubblica ancora contraria, la Magistratura e quindi la Giustizia.

La Giustizia appunto, nei cui confronti la gente teme sempre per  le sue decisioni ( non si spiegherebbe altrimenti l’ostentazione gratuita da parte di ogni inquisito di affermare alla prima apertura di bocca di fidarsi e affidarsi a lei ciecamente) e che ora vorrebbe meritarsi anche il nostro plauso. Almeno fin che morte non ci separi, causa sua. Sto esagerando? Sembrerebbe, ma non è così. Ce lo dice l’ultimo dei cosiddetti uomini comuni, anzi un povero disgraziato che possiamo tranquillamente mettere al di sotto di questa linea ipotetica chiamata normalità . Non si tratta infatti di un borghese  o di uno dei tanti benpensanti in sospetto di conservatorismo , quindi difficili da sopportare secondo la vulgata, causa l’egoismo di aver case( troppe) a prova di serrature doppie o triple e dotate dai più  sofisticati sistemi d’allarme, ma di un povero rappresentante di una umile categoria di gente  che fatica a sbarcare il lunario.

Un certo Ermes Mattielli che viveva con una pensione di poco superiore ai 100 euro al mese e per arrangiarsi, al posto di preferire la professione di ladro, esercitava il mestiere di raccoglitore  di robivecchi. Un rigattiere insomma. Il quale essendo troppo preoccupato  a raccogliere le famose quattro paghe per il lesso,  non aveva neppure tempo per a capire i tempi moderni , ancorato com’era  alle vecchie  credenze e usanze, secondo le quali la giustizia  vede e provvede. Invece cosa avviene? Che dopo una, due , tre  e continuiamo pure a  contare   fino a venti, proprio alla ventesima volta ha perso  la pazienza( è umano per tutti ma non per la Giustizia) nei confronti di una banda di rom che si ostinavano a derubarlo. Di  che cosa poi è un mistero, visto le poche cose che possedeva. Sta di fatto che  esasperato, dopo tante non gradite visite , imbraccia un fucile e spara,  ferendo ahimè i due zingari che fra i tanti  lavori a domicilio nelle varie case avevano  preferito privilegiare, la sua, anche se piena di cianfrusaglie.  Comunque a questo punto interviene  la Giustizia che non sta certo a  sottilizzare quante  in effetti siano le   volte( venti) nelle quali l’uomo ha offerto lavoro suo malgrado  a questi due suoi saltuari ma persistenti visitatori. Né ha valutato lo stato d’animo esulcerato cui un datore di lavoro va incontro, quando lo stesso lavoro porta passività economica legata alla deprivazione di beni ed esasperazione e senso di frustrante impotenza. In sintesi, arriviamo al dunque, vale a dire alla sentenza.

Condanna esemplare a 4 mesi di carcere ai ladri plurirecidivi (ma saranno state valutate tutte le attenuanti?) che comunque verranno lasciati liberi. A questo punto viene in sospetto che una buona parte di queste attenuanti siano state considerate. Invece al proprietario, reo di aver perso la pazienza per via di quel fucile,  la pena è di 5 anni di carcere per eccesso di legittima difesa e in aggiunta una multa pecuniaria di 135000 euro per risarcimento danni. Risultato finale. Il pover’uomo pensa e ripensa, ma non ce la fa a recuperare tale somma. Si arrabatta come può, ma pensione e ferrivecchi non danno palanche sufficienti. Non si intravvede una  soluzione finché non subentra  il destino  a chiudere una partita ormai troppo  viziata dalla depressione e dallo stress. Un mortale  infarto , non so fino a che punto inatteso, giunge a  toglierlo dall’ambascia  di non poter saldare il conto, risparmiandogli però l’ultima umiliazione. Questa. Che la sua casa e i ferrivecchi andranno allo Stato che poi  a sua volta provvederà a girarla ai nomadi ,ingiustamente danneggiati. E così giustizia è fatta.

Inutile aggiungere a questo punto altri esempi di cui ogni giorno è ricca la cronaca. Qui si vuole solo sostenere la necessità di una vera riabilitazione del ladrocinio, altrimenti diventa difficile intendersi. L’invito è che si abbia il coraggio  di non essere ipocriti per  sostenere che il furto non è un male in sé.  E  non c’è bisogno, per sostenere questo, di essere i soliti benpensanti anti moderni. Infatti, il furto, dipende da tante cose, da chi lo commette, dalle condizioni sociali, dalle motivazione (  comprese quelle ideologiche) e in ultimo da chi lo subisce. Se quest’ultimo in sostanza è ricco o povero. Al fine di raggiungere nel primo caso ad  una auspicabile ridistribuzione del reddito, mentre nel secondo guadagnare  la convinzione che non  vale  neppure la pena discutere,  causa un veniale errore di indirizzo di persona. Capisco a questo punto la reazione di chi pensa che al furto  si associa spesso l’aggressione fisica , le violenze,  come è stato il caso di quelle due donne massacrate a bastonate a Ferrara  per rubare 300 euro. E perfino l’omicidio. Obiezione giusta. Ma  per la verità, c’è da dire che in casi come questi la Giustizia arriva , eccome se arriva, a patto però che alla violenza non si risponda con la violenza. Norma questa di natura  evangelica trasferitasi in altro campo. Quello di Cesare.  In pratica che non si utilizzi la pistola regolarmente detenuta. Altrimenti si ricade nel caso prima riportato. Per il quale non sempre il destino è disposto a dare una mano. Armata.

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