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Libertà di pensiero

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A cura di Carmelo Sciascia

Il ritorno di Casanova: De senectute

Gabriele Salvatores è uno di quei registi che ho sempre seguito. Ho visto tutti i suoi film da “Marrakech Express” del 1989 all’ultimo, nelle sale in questi giorni, “Il ritorno di Casanova”. Quando si segue un autore, regista o scrittore, il motivo di fondo è una condivisa sensibilità poetica sulle vicende della vita. Non sarà stato un caso se alcune canzoni, colonna sonora al suo primo film, sono tra i cantautori preferiti dalla mia generazione, da Francesco De Gregori a Lucio Dalla. “Mediterraneo”, il film che ha ricevuto l’Oscar nel 1992, potrebbe essere riproposto per la sua attualità, visto il clima guerrafondaio di questo periodo. Il film dimostra, con una leggerezza alla Calvino, l’inutilità di qualsiasi conflitto e la necessaria integrazione dei popoli. In Mediterraneo ci troviamo nella seconda guerra mondiale: i militari italiani nell’isola greca, dimenticano di essere l’esercito d’occupazione e si integrano perfettamente con la popolazione locale. Tralasciamo adesso il passato e torniamo ai giorni nostri, all’ultimo film.

Con l’aggiunta di un altro protagonista cinematografico il regista Leo Bernardi, Il ritorno di Casanova è la libera trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di Arthur Schnitzler, da cui riprende la problematicità esistenziale del libertino veneziano. La storia si svolge su due piani paralleli, uno è il film in lavorazione su Casanova (Fabrizio Bentivoglio), l’altro riguarda il regista Leo (Toni Servillo) che quel film sta girando. La parte del film a colori è ambientato nel Settecento, l’altra in bianco e nero ai giorni nostri. Due personaggi importanti: il Casanova del Settecento ed il regista dei nostri giorni. Per ambedue i personaggi sarà problematico il rapporto con l’altro sesso visto che è conseguenziale alla loro età cronologica. Il vulnus del loro essere sta nella senilità, nel fare i conti con la loro età. Forse c’è in tutto ciò uno specchiarsi dello stesso regista Salvatores che oltrepassata la settantina, come ogni individuo che oltrepassa questa soglia, si trova a fare i conti con il proprio passato, ma soprattutto con il proprio presente. Il presente è un banco di prova sulla propria resilienza, sulle capacità di superare un evento in qualche modo traumatico: checché se ne dica invecchiare è un evento traumatico!

Non è casuale che lo scrittore Arthur Schnitzler, l’autore del racconto cui è stato tratto il film, sia stato un contemporaneo di Sigmund Freud. Le ricerche sulla psicoanalisi che hanno interessato i due medici austriaci hanno influenzato enormemente l’opera dello scrittore, così come influenzeranno tutta la letteratura del Novecento. Ho sempre ammirato Casanova, scrittore, diplomatico, bibliotecario e dulcis in fundo tombeur des femmes. Tombeur des femmes non come un qualsiasi collezionista Don Giovanni, ma come seduttore, un vero epicureo che è felice nel procurarsi piacere e dispensarne senza nuocere a nessuno. Uno scrittore Casanova amato dai poeti francesi come Apollinaire e Guillaume, come da tanti scrittori italiani, tra questi citiamo Piero Chiara. Citiamo solo Pierino Carmelo Chiara perché avendo curato tutta l’opera di Giovanni Giacomo Casanova ebbe ad affermare come la sua scrittura riguardava non solo i suoi contemporanei ma anche noi, come pertinenti estensione temporale. La figura dell’avventuriero veneziano nel film ne esce male. Pare sia stato l’inganno la sua arma principale usata per le conquiste femminili, mentre sappiamo che così non è stato. Il dramma comunque che tormenterà Casanova è la vecchiaia, si considerava vecchio all’età di 53 anni, oggi sarebbe una bestemmia. Il Nostro cercherà e riuscirà con l’inganno ad avere un rapporto con una giovane Marcolina (Bianca Panconi), un rapporto al buio perché la giovane l’accoglierà bendata. Ma a fine rapporto, tolta la benda, la ragazza rimarrà inorridita di fronte ai segni della vecchiaia dell’amante imprevisto. L’espressione della giovane donna renderà Casanova consapevole della sua vecchiaia. Così il regista Leo vivrà in contemporanea un rapporto con una giovane contadina che rischierà di farlo diventare padre a 63 anni, ruolo che alla fine, nonostante le premesse, sembra accettare. Torna il tema della vecchiaia, anzi possiamo affermare che la senilità è il leit motiv di tutto il film, non c’è fotogramma in cui non si sottolinea il peso dell’età che avanza e la difficoltà nell’accettarla.  Come le prime opere di Salvatores possono essere considerate trattati sulla giovinezza, sulla nuova generazione che si proietta in avanti verso un futuro da inventarsi e costruire, così questo film è il resoconto di un uomo (ed un regista) diventato anziano a sua insaputa. Malgré lui deve fare i conti con se stesso, con il suo collocarsi, prendere il giusto posto nella vita di tutti i giorni.

Si intrecciano le vite di Casanova e del regista Leo, così come si interseca la vita delle persone giunte a maturità. Ad un primo atteggiamento di sgomento sopraggiungerà comunque la presa di coscienza del proprio stato. L’accettazione dell’età cronologica farà tornare a Venezia Casanova e farà dire al regista che finito un film se ne farà un altro. La resilienza in fisica è la capacità di assorbire un urto senza rompersi, in psicologia la capacità di superare un evento traumatico. Nel film c’è la difficoltà di accettare il peso degli anni che inesorabilmente si avviano a scrivere la poca storia che rimane da vivere.

Il gioco della macchina di presa è accattivante, come l’uso dell’alternarsi del bianco e nero con il colore. Questo artificio permette di separare due periodi storici: l’oggi ed il Settecento. Ma siamo sicuri che li separi? Perché ciò che separa spesso unisce. Storicamente il bianco e nero precede il colore, viceversa in questo caso il colore caratterizza un periodo precedente come la giovinezza, il bianco e nero la contemporaneità. Se è vero come disse Fedor Dostoevskij che la bellezza salverà il mondo, potrà la bellezza salvarci dal dramma della vecchiaia?

Carmelo Sciascia

Il ritorno di Casanova: De senectute

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