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Libertà di pensiero

Libertà di pensiero

A cura di Carmelo Sciascia

In ricordo di Renato

La sera di giovedì 25 ero in Fondazione per assistere al concerto di un coro: La Perfetta Letizia. Una splendida serata a sostegno di Emergency. Stasera esco dalla chiesa di Nostra Signora di Lourdes con il cuore pieno di tristezza dopo la recita del Rosario per Renato Passerini. Pensavo come, in altri momenti, ci saremmo potuti incontrare, perché Renato sarebbe stato presente anche lui in Fondazione, a prendere appunti e scattare foto, a testimoniare da giornalista una serata “piacentina”.

Giornalista è colui che scrive articoli per un giornale, uno scrittore di cronache, di avvenimenti quotidiani che possono interessare la collettività. La semantica del termine non ci dice più di tanto. Ma un giornalista è anche e soprattutto un mediatore culturale, uno cioè che ci narra di fatti attraverso la propria sensibilità. Ed a proposito di sensibilità mi viene ancora in mente il nostro Renato.

Ho avuto la fortuna di conoscere Renato Passerini, quando da pensionato coltivava la più grande passione della sua vita il giornalismo. Aveva scritto su diversi giornali cartacei, tradizionali (Libertà, la Notte, La Cronaca), quando lo conobbi scriveva invece per una testata online.  Lui, un uomo del Novecento che aveva fatto il giornalista con gli strumenti tradizionali della scrittura, adesso dimostrava di saper usare la tecnologia del nuovo millennio. Teneva su Ilpiacenza.it una rubrica che si interessava di pubblicazioni, nella maggior parte di casi di libri di autori piacentini che si occupavano di storie locali. Autori piacentini per nascita o per adozione. E per adozione credo di esservi entrato anch’io, visto che i miei natali sono nord europei.  Non sempre e non solo si interessava e scriveva di storie locali e di tradizioni della terra piacentina anche perché i suoi interessi spaziavano dalla letteratura all’architettura, dalla pittura alla storia.

Forte era il suo legame con la Val Nure, non a caso aveva pubblicato libri su Ferriere, su Grazzano Visconti, su Vigolzone.  I suoi libri… ogni volta che ne scriveva uno telefonava agli amici per avvisare che una copia era stata messa da parte. Questi suoi libri erano dei veri e propri zibaldoni dove trovavano posto grazie alle tante conoscenze tutti i suoi amici.  I luoghi e i paesi che descriveva non potevano non piacere, attraverso la sua sensibilità, diventavano il posto del cuore di ogni lettore. Anche perché di ogni amico quel libro conteneva qualcosa, una foto, una citazione, un intervento. Fu così che mi commosse quando, in occasione dell’anniversario di fondazione del gruppo alpini di Vigolzone, inserì nella relativa pubblicazione un mio testo del 2013, testo che riguardava mio padre e che gli era particolarmente piaciuto. Mio padre, un siciliano che si era trovato alpino della brigata Julia nella campagna di Russia.

Modesto e discreto, sempre in punta di piedi, voleva che gli altri si interessassero a quello che scriveva, non a lui personalmente. Nella sua rubrica culturale le sue note erano sempre puntuali, precise e dettagliate. Ma per questo non erano mai banali, erano coinvolgenti, lontane da offrire una descrizione fredda e distaccata del testo. Coinvolgeva perché in tutto ciò che scriveva c’era la sua visione del mondo, una visione che non era dogmatica e prevenuta ma sempre pronta a coinvolgere e farsi coinvolgere nello sterminato mondo dell’editoria, sempre pronto a coinvolgere e farsi coinvolgere nelle nuove esperienze che affrontava.

L’ho conosciuto un decennio addietro quando con la sua bicicletta e la macchina fotografica a tracolla si aggirava nel centro cittadino diretto nella sede di qualche Associazione culturale.  Era sempre atteso, la sua presenza era indispensabile, come la presenza di un notaio nella stesura di un atto ufficiale. Sarà stato in uno di questi incontri pubblici che l’avrò conosciuto. Non ricordo il giorno, né l’anno, né il particolare momento, né l’occasione. Ma credo sia irrilevante, è stato importante invece averlo conosciuto, perché quando lo si conosceva era come lo si avesse conosciuto da sempre. Non si poteva fare a meno di diventare un suo amico, di sentirselo amico.

Quando pubblicò il bellissimo libro illustrato sui 46 comuni che compongono la provincia di Piacenza, e me ne fece dono, ho sentito il bisogno di scriverne.  Avevo sottolineato come il numero 46 nella cabala napoletana corrispondesse ai denari: ‘e denari. Il libro in prefazione portava la firma del Presidente della Banca di Piacenza e del Direttore di un noto quotidiano economico. Il libro rimaneva legato ai denari perché i paesi di questa provincia sono un vero scrigno di tesori artistici, architettonici e naturalisti. Perché il libro è una vera banca dati per chi vi è nato e per chi immigrato anche di recente in questa provincia solo attraverso la conoscenza può viverla appieno ed amarla. Così come avevo iniziato con la cabala così terminavo (e termino) l’intervento, precisamente con il numero settantatré, numero che nella smorfia napoletana rappresenta l’amicizia. Così mi piace ricordarlo ancora oggi: Settantatré il numero da assegnare a Renato Passerini, un amico, un vero amico!

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