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Esse come sicurezza

Esse come sicurezza

A cura di Siap (Sindacato italiano appartenenti polizia) di Piacenza

Non criticate Piacenza, ma chi doveva vigilare su collaborazione (non competizione) tra forze di polizia

Un progetto di controllo del territorio che crea competizione non può reggere e porta alla violazione dei diritti degli operatori

Sono alcune ore che sto rileggendo alcuni estratti della sentenza del caso della Stazione Levante, in particolare quella attinente alla logica dei numeri: «La deriva rappresentata dalla logica dei numeri a discapito spesso della sostanza che ormai contamina ogni contesto, compresa la giurisdizione, è stata e resta la vera aberrazione che il sistema deve emendare, per restituire una risposta effettiva della presenza dello Stato, indispensabile al reale contrasto dei fenomeni criminali». Questo passaggio credo sia il vero problema di quanto accaduto.

E se da una parte mi soddisfa finalmente leggere tutto ciò, dall’altra parte provo rabbia perché ho sempre ritenuto che ciò poteva essere fermato. Mi fa rabbia perché quei risultati ad ogni costo, quei risultati buoni per le carriere, quei metodi competitivi tra le forze di polizia, vengono da lontano e, chi scrive, tutto ciò lo aveva pubblicamente denunciato ancor prima che venissero arrestati i colleghi della Squadra Mobile nel 2013 e oggi condannati i carabinieri della Levante.
Ma le critiche di quanto successo in questi anni, che si poteva evitare, non devono a mio parere essere rivolte a Piacenza, ma a chi poteva e doveva vigilare sull’operato delle forze di polizia che doveva essere proiettato alla collaborazione e non alla competizione di chi conquista la prima pagina. E queste responsabilità non le ha Piacenza come città.

Quel sistema competitivo che ha inizio in modo esasperato nel 2003, quando fu introdotto un progetto di controllo del territorio che, come ho sempre sostenuto, creava competizione e non poteva reggere perché, come ho sempre creduto, era proiettato per lo più a detenere il territorio e non a controllarlo. Più territorio detieni, più hai possibilità che se avviene qualcosa di grave – un omicidio, una rapina ecc - le indagini possono essere effettuate con più probabilità da chi ha la fetta più grossa da controllare. 

Per ottenere risultati numerici, statistiche, etc e per occupare più territorio, sono stati violati nel tempo i diritti contrattuali dei poliziotti. Una macchina spinta a duecento all’ora con le gomme lisce.
Lo ritenevo allora, quando era difficile farlo, lo ritengo oggi quando sembra tutto più facile: il nostro lavoro è fatto da esseri umani, con i loro doveri ma anche i loro diritti, in favore di altri esseri umani: vittime o potenziali tali, persone che sbagliano, delinquenti ma che pretendono giustamente che siano garantiti comunque dignità e diritti umani fondamentali. Solo se agli operatori vengono i suoi diritti di cittadino sarà orientato a riconoscerlo e a riconoscerli, al di là di ogni statistica e risultato richiesti, verso coloro i quali ci si imbatte; non considerando l’essere umano un mezzo ma piuttosto un fine in sé.

Io ho cercato di fermare quel “sistema”, e facendolo, come premio, mi sono beccato tre querele. Il mio vice segretario fu cacciato da responsabile di una sezione della Squadra Mobile perché l’allora dirigente, cosa detta durante il processo, affermò che non aveva fiducia in lui. Conseguentemente si scelse l’assetto di quella Squadra Narcotici e quella Squadra fu tutta arrestata e poi giudicata, a vario titolo colpevole; il mio vice segretario provinciale, oggi segretario provinciale, è invece tuttora in servizio con l’incarico di coordinatore delle Volanti.
Quando arrestarono i colleghi scrissi più documenti, e oggi ne voglio riproporre uno indirizzato ai miei colleghi, che fu pubblicato su più quotidiani: il senso del dovere.

Caro Collega
quante volte abbiamo sentito e letto questa frase? Il senso del dovere. Ma sino a che punto è giusto possedere quel senso del dovere? Dove porta quel senso del dovere? A volte, a mio avviso, quel senso del dovere, andrebbe fermato e non incitato come invece piace fare a chi, come un parassita, costruisce la sua carriera sul senso del dovere altrui. Ci sono colleghi nella Polizia di Stato con un alto senso del dovere che viene “furbescamente” sfruttato da chi li dirige. Ho da sempre lottato contro tutto questo.

Si chiedono numeri utili alle statistiche in quanto la sicurezza ormai si svolge in base alle statistiche e agli articoli da pubblicizzare in prima pagina sui giornali, in contrapposizione casomai ad altri articoli propagandistici fatti da un’altra forza di Polizia che molto probabilmente lavora nello stesso modo in cui lavori tu.

La sicurezza oramai è apparire, pubblicizzare e non più essere. Ho visto colleghi perdere la vita per quel “maledetto” senso del dovere e altri finiti nei guai per quel “maledetto” senso del dovere. Si, è giusto avere nel sangue quel senso del dovere per salvare una vita umana, per aiutarla, per dare una vita per salvarne anche mezza... ma l'andare oltre quando ci si può fermare o quando le cose si possono o non si possono fare, ma sempre nel rispetto delle leggi, delle regole, è un senso del dovere che non va incoraggiato affatto.

"Fate nominativi, fate cinture, ritirate patenti, fate arresti". Quante volte lo si sente dire. Come se arrestare una persona fosse come trovare un utente che non indossa la cintura. Non è che poi, per arrestare una persona, ci si imbatta in qualcosa di illegale? E se poi, velatamente, ci si fa credere che se non fai a tutti i costi quello che ti si dice, rischi pure movimenti punitivi, siamo sull’assurdo. E Dio sa quanto ho lottato contro queste cose dicendo ai colleghi di non farsi ricattare.

Sì al senso del dovere, per servire il cittadino: ma se insegui una rapinatore con la nostra Alfa 159 (oggi va anche peggio in quanto abbiamo utilitarie) e il rapinatore ha una Ferrari, alla seconda curva fermati collega. Rischi di farti male e di far male ad un cittadino. Fermati collega se non devi salvare la vita ad un cittadino, se le cose puoi farle diversamente, se devi violare le regole, se rischi la vita per niente, fermati. Non siamo in un film americano. Voglio una Polizia di qualità, democratica, preparata, formata, civile: con regole certe.

Caro collega, tu lavora con quello che lo Stato ti dà, perché se sbagli sei fottuto e sei solo, perché i primi ad abbandonarti sono quelli che ti incitavano per fare carriera. Come quei capitani che abbandonano la nave prima che affondi. Se farai bene li vedrai a darti la pacca sulla spalla; se ti va male, loro diranno che non sapevano nulla. E se muori, sei un eroe sul quale fare carriera. Occhio collega. Ma soprattutto, caro collega, non fare come certi nostri superiori che ti inducono a pensare, ledendo i tuoi diritti, che tu possa assumere con il cittadino gli stessi atteggiamenti che subisci quando i tuoi diritti vengono calpestati in luoghi di lavoro dove il prodotto principale è la tutela dei diritti. 

Ama il cittadino, difendi i suoi diritti anche quando lo arresti. Noi dobbiamo stare dalla parte del cittadino, chiunque sia, perché se sbagli, mentre ti fanno capire che puoi fare tutto, poi sono loro i primi a dire che devi essere punito in modo esemplare mentre loro non pagano mai. Collega, stai dalla parte giusta».

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