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Venerdì, 26 Aprile 2024
Cronaca

Bambine infibulate in un viaggio nel Paese d’origine, «Educare e aiutare le donne a dire basta»

Numerose le reazioni politiche del centrodestra alla vicenda su cui indaga la Procura di Piacenza, che ha emesso un'ordinanza di custodia cautelare nei confronti del padre delle bambine, sottoposte alla pratica di mutilazione dei genitali femminili

Numerose le reazioni politiche dei partiti di centro destra alla notizia di due bambine residenti a Piacenza, figlie di migranti, infibulate durante un soggiorno nel Paese d’origine con il padre, poi arrestato dai carabinieri. «La misura di custodia cautelare è stata eseguita diverse settimane fa, il caso risale all'inizio dell'estate» riporta la nota diffusa dall’Ansa. «L'infibulazione, la pratica di mutilazione dei genitali femminili, è vietata e punita dal Codice penale italiano anche se il reato è commesso all'estero. L'uomo aveva approfittato di un viaggio in Africa durante l'estate per sottoporre le bimbe all'infibulazione. A segnalare la vicenda sono stati i medici dell'Asl di Piacenza che avevano visitato le bambine. Procura e carabinieri, che stanno indagando, mantengono sul caso il più stretto riserbo». «Educare e aiutare le donne a dire basta» è quanto sottolinea la sezione locale del partito Buona Destra.

«La parola “infibulazione” richiama scenari talmente primitivi rispetto ai nostri valori che il primo pensiero è: “Come è possibile che possa ancora esistere, nel mondo, una pratica così feroce?”» commentano. «Eppure, a livello globale, si stima che duecento milioni di ragazze e donne convivano attualmente con una qualche forma di mutilazione genitale, in Europa seicentomila e in Italia, secondo la più recente indagine condotta nel 2019 dall’Università Bicocca di Milano, quasi ottantottomila, di cui settemilaseicento minorenni. Ricordiamo in cosa consiste: è una mutilazione genitale cui vengono sottoposte le giovani donne, che prevede la rimozione totale o parziale degli organi genitali femminili esterni (clitoride, piccole e grandi labbra). Non è una pratica medica, ma deriva da certe sub-culture di controllo delle donne, dei loro corpi e dei loro diritti sessuali e riproduttivi. Internazionalmente è riconosciuta come una violazione dei diritti umani femminili. Rientra nel novero delle gravi disuguaglianze di genere. In Italia è vietata: siamo uno dei primi Paesi europei ad aver reso illegali le mutilazioni genitali femminili con la legge 7/2006. Però, le famiglie ancorate a questa crudele tradizione, aggirano il divieto: portano le loro bambine nei paesi d’origine, approfittando delle vacanze scolastiche (come nel caso che ha visto Piacenza in cronaca), le sottopongono alla mutilazione e poi tornano. Ciò non è più tollerabile». «Ecco perché bisogna sostenere, moralmente e giuridicamente - concludono - tutte quelle madri che hanno avuto il coraggio di dire “basta” e, al tempo stesso, sensibilizzare tutte le altre che quel coraggio non lo hanno ancora trovato. Un futuro diverso è possibile. Bisogna volerlo».

A chiedere che «la Procura della Repubblica proceda con grande decisione contro questo reato ma chi governa si interroghi sul reale significato di integrazione» è invece il consigliere regionale Giancarlo Tagliaferri (Fratelli d’Italia). «Chi ha commesso questo abominevole crimine deve essere perseguito con la massima decisione perché una nazione civile non può permettere che a donne alle quali è stata garantita ospitalità e cittadinanza venga riservata una violenza così totale e bieca da parte dei propri parenti, ma sarà anche il caso che chi governa si interroghi seriamente sul reale significato di integrazione». Tagliaferri chiama in causa anche la politica: «Senza voler strumentalizzare una vicenda così violenta e triste, sarà anche ora che la politica, e segnatamente chi governa la nostra nazione e soprattutto la nostra Regione, si interroghi sul reale significato di accoglienza e integrazione. Non è possibile che la pur civilissima, avanzatissima e accogliente Emilia-Romagna possa far registrare a strettissimo giro fenomeni di totale assenza di integrazione come accaduto per la povera Saman nella provincia reggiana che si opponeva a nozze combinate e ora a queste bambine piacentine infibulate». L’esponente di Fratelli d’Italia chiede quindi alla Procura della Repubblica di Piacenza di procedere con la massima celerità e vigore possibile per un reato oltremodo odioso in quanto compiuto in seguito a pressioni allucinanti e assurde da parte dei parenti prossimi di queste ragazzine, ma sollecita una revisione approfondita degli schemi di integrazione fin qui seguiti e dei mezzi utilizzati per tale fine. «È ora di finirla con le ipocrisie: se si accoglie qualcuno, è compito di chi ha il potere esecutivo garantire un reale percorso di integrazione  - aggiunge -  e ciò significa una accettazione e condivisione di quel patrimonio culturale e valoriale che distingue una comunità e la porta a costituirsi in nazione grazie ad un apparato legislativo adeguato. Chi probabilmente uccide e nasconde il corpo di una ragazza perché rifiuta le nozze combinate, non è degno di risiedere sul suolo italiano in quanto palesemente non condivide i nostri valori e le nostre leggi. Chi infibula o porta ad infibulare una ragazzina propria parente è solo uno sporco aguzzino che non deve avere alcun titolo per continuare a risiedere sul nostro territorio».

 «Il caso delle due bimbe infibulate scoperto a Piacenza è l’ennesima vicenda di soprusi sui minori stranieri in Italia per usanze tribali o precetti religiosi che nel nostro Paese non possono essere tollerati. In particolare, le mutilazioni genitali femminili sono una pratica brutale e vietata in Italia dalla Legge che viene spesso aggirata praticando gli interventi nel Paese d’origine come in questo caso». Così le deputate della Lega Elena Murelli, eletta a Piacenza, e la parmigiana Laura Cavandoli, presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sulle attività connesse alle comunità di tipo familiare che accolgono minori. «Quello di Piacenza non è purtroppo un caso isolato - osservano - come spesso riferiscono le autorità mediche. Quando ci indigniamo per la condizione della donna in Afghanistan, spesso ci dimentichiamo che i talebani li abbiamo da tempo anche in casa anche se non piace parlarne per non turbare il clima politicamente corretto e la narrazione multiculturalista».

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