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Cronaca

Giornata della Memoria, il sindaco Dosi: «Ferita mai rimarginata»

Si sono svolte nella mattina del 27 gennaio le celebrazioni per ricordare la Shoah, lo sterminio del popolo ebraico. Il discorso del sindaco di Piacenza Paolo Dosi

Il 27 gennaio, si è ricordato a Piacenza la “Giornata della Memoria”.  Presso il giardino della memoria di Stradone Farnese, oltre al primo cittadino, sono intervenuti il consigliere delegato della Provincia Stefano Perrucci e gli studenti Jasmine Faouzi del Liceo Colombini e Luca Villa dell'Isii Marconi, due dei tanti ragazzi che hanno partecipato al viaggio organizzato dal Comune, dalla Provincia e dall'Istituto Storico della Resistenza a Norimberga e a Flossenburg. La cerimonia si è chiusa con le parole e la benedizione di don Giuseppe Basini, parroco di Sant'Antonino.

Giorno della Memoria 2015 ©IlPiacenza

Il discorso per il Giorno della Memoria del sindaco Paolo Dosi

Settant’anni fa, il 27 gennaio 1945, nel freddo inverno polacco si aprivano alla libertà i cancelli del campo di concentramento di Auschwitz, abbattuti dalle truppe sovietiche. Celebrando il ricordo di questo storico avvenimento, nella giornata ufficialmente istituita per commemorare le vittime dell’Olocausto, il nostro pensiero è rivolto innanzitutto agli uomini, donne e bambini che da quella prigione – e dalle troppe altre simili ad essa, in un’Europa devastata e annichilita dal nazismo – non fecero ritorno a casa. Il nostro abbraccio stringe, idealmente, coloro che di quell’orrore sono stati superstiti e testimoni, trovando la forza di riaffacciarsi alla vita nonostante il dolore, nonostante le ferite mai rimarginate, nonostante quel numero impresso sulla pelle che tentava di negare l’umanità, la dignità e l’individualità della persona. 

“E così è cominciato quel viaggio verso Auschwitz, che io non sapevo nemmeno dov’era. Un viaggio che non parte da qui, ma da molto prima di qui. E’ cominciato dalle cancellazioni dei nostri nomi dagli elenchi telefonici, dalle espulsioni dalle scuole, dall’indifferenza…”. Sono le parole con cui Liliana Segre, superstite e testimone dell’immane tragedia della Shoah – matricola 75190 impressa sul braccio, al suo arrivo al campo di concentramento – rievoca l’orrore della deportazione, il caricamento su uno dei convogli della morte in partenza dal binario 21 della Stazione Centrale di Milano, ma prima ancora la sofferenza dell’isolamento e della persecuzione.

Ogni anno, in questa occasione, ripetiamo insieme “mai più”. Come ogni anno il Giorno della Memoria stimola alla riflessione e all’approfondimento su temi che, alla luce della rinascita dell’antisemitismo, del razzismo e dell’intolleranza in Europa e nel Mondo, appaiono sempre più di strettissima attualità. Isis, Boko Haram, Al Qaeda e le loro ragnatele, i loro metodi di sterminio e la dichiarata volontà di conquistare il mondo sono storia di oggi. Gli ebrei sono ancora da cancellare, e insieme a questi molte minoranze etniche come ad esempio i rom e i sinti. Il mirino di questi carnefici mette a fuoco quanti sono ritenuti nemici perché diversi: cristiani, ebrei e i musulmani “infedeli” che pregano e credono (la stragrande maggioranza) in un Profeta senza kalashnikov né mannaie.

Allora i nazisti bruciavano i libri, cacciavano gli ebrei dalle scuole, riempirono tragicamente le fosse comuni d’Europa: oggi come allora si incendiano le sinagoghe, si attaccano le chiese cristiane e i luoghi di culto dei musulmani non fanatici, si massacrano come in Nigeria le bambine e le ragazze che vanno a scuola. C’era ieri chi combatteva l’orrore, e c’erano i Giusti allora e ci sono oggi: come Ahmed Merabet e Lassana Bathily, musulmani, il poliziotto giustiziato sotto la redazione di Charlie Hebdo e il commesso del negozio kasher che ha salvato molti ostaggi.

Gridiamo pure, dunque, “mai più!”. Ma avendo ben chiaro che per sbarrare la strada che porta al baratro è necessario l’impegno fondamentale di tutti e un serio, anche doloroso, dibattito all’interno della nostra comunità e una lotta senza quartiere a ogni forma di razzismo, xenofobia, antisemitismo, islamofobia e disumanità, la stessa di chi durante il secondo conflitto mondiale programmò lo sterminio di milioni di innocenti. E ancora quella che, purtroppo, ancora oggi cova in Europa in movimenti che coniugano, con ferocia, nazismo e razzismo.

“Ognuno si congedò dalla vita nel modo che più gli si addiceva. Le madri vegliarono a preparare con dolce cura il cibo per il viaggio e lavarono i bambini e fecero i bagagli, e all’alba i fili spinati erano pieni di biancheria infantile. Non fareste anche voi altrettanto? Se dovessero uccidervi domani col vostro bambino non gli dareste oggi da mangiare?”. Primo Levi, nel primo capitolo di “Se questo è un uomo” e con la sua testimonianza, ci ha ricordato che quando l’intolleranza verso l’altro” o il “diverso” si trasforma in un disegno politico allora il pericolo è dietro l’angolo. Per questo non bisogna abbassare la guardia, non bisogna sottovalutare parole e gesti che contribuiscono a fomentare odio e violenza. Ricordare, allora, non si esaurisce nel gesto di riprendere in mano testi e documenti, cristallizzando i fatti e gli eventi, relegandoli a mera nozione. No, la ragione vera per cui è stato istituito il Giorno della Memoria è quella di fornire, alla società contemporanea e ancor più agli adulti di domani, gli strumenti per ripensare a quanto è successo. Perché la memoria sia strumento critico, coscienza partecipata e condivisa, elemento necessario per disinnescare le violenze quotidiane. Un bene prezioso, che ognuno di noi è chiamato a coltivare. Grazie.

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