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Cronaca

Il ricordo: «Prospero, uomo attento e viaggiatore del mondo. Le sue fotografie vengano mostrate ai giovani»

I viaggi, la passione civile e politica, ma anche la cronaca "da strada" con cui ha ritratto facce, luoghi e situazioni di una Piacenza che non c'è più, che in quarant'anni è stata stravolta e di cui tanti giovani non conoscono nulla. Il ricordo di Gianfranco Salvatori

«Dai che prima o poi ci torniamo insieme in Afghanistan». Glielo dicevo spesso a Prospero Cravedi e insieme sognavamo a occhi aperti quelle terre così dure e così emozionanti. Entrambi ci eravamo stati - lui prima di me - al seguito delle truppe italiane. Ma quello non era il Paese più lontano che aveva visto Prospero, perché di mondo ne aveva calpestato un bel po’ a partire dalla sua amata Africa, tante volte frequentata, e fotografata, al seguito di Africa Mission e del suo amico don Vittorione.

Prospero, però, ha cambiato meta, ha iniziato un altro viaggio con l’immancabile Canon appesa al collo. Di fotografia si parlava spesso, nelle attese dei vari eventi che si frequentavano insieme. Al di là dello scatto di rito, Prospero era sempre alla ricerca di un particolare, di un punto di vista, a cui gli altri non pensavano, per spiegare meglio con una immagine che cosa stesse accadendo. Ed era molto attento alle persone e se vedeva un volto che non aveva in archivio eccolo pronto a scattare, perché non si sa mai, era meglio avercelo. Un ragionamento che, scherzando, si faceva anche fra di noi quando ci fotografavamo a vicenda. Immancabile poi la battuta: «Quando muoio voglio quella foto lì».

Piacenza, per un bel po’ di anni, è stata impressa da Prospero. Come un pittore, ogni giorno che passava, aggiungeva una fotografia cheprospero gianfry 2-2-2serviva sì alla cronaca giornalistica, ma anche a fissare nella memoria, sul grande affresco del tempo, la nostra città. E lui di storia ne aveva vista tanta. Al di là dei volti e dei paesaggi lunari afghani, mi avevano colpito le immagini degli Anni 70. La passione civile e politica, ma anche la cronaca “da strada” con cui ha ritratto facce, luoghi e situazioni di una Piacenza che non c’è più, che in quarant’anni è stata stravolta e di cui tanti giovani non conoscono nulla. Foto che andrebbero mostrate più spesso.

Ma se il paesaggio urbano e i comportamenti sociali sono cambiati, a non mutare è il carattere dei piacentini spesso sottolineato con ironia da Prospero. Una critica che, naturalmente, estendeva alla politica e a chi era al timone negli ambienti che contano. Una critica aspra, di recente, andava a quella sinistra che ha sempre governato questa città con persone spesso mediocri «perché tanto i voti sanno di averli». Il suo bisturi sezionava, però, anche il mondo dell’informazione non risparmiando nessuno, ma soprattutto chi non lavorava in modo professionale. Un professionista che aveva ben accettato la nascita di un altro quotidiano, “La Cronaca”, che dava pluralismo di vedute a questa città e che a lui, grande democratico, non poteva che far piacere. Non aveva alcun timore piccolo borghese che qualcuno potesse mettere a rischio lo status quo sedimentato da decenni. Dopo tanti anni alla Libertà, il distacco. Una decisione presa per non cedere a ciò che lui non poteva accettare. Ma Prospero ne aveva per tutti quando non vedeva comportamenti corretti, strafalcioni, pressapochismo che provenissero da piccoli o grandi mezzi di informazione. Un uomo libero che ha dimostrato con i fatti di esserlo. 

Un “fotografo da marciapiede“ che a 80 anni ancora si avvicinava a noi - più giovani - e scherzava e condivideva le battute sull’ultimo personaggio “importante” che sarebbe dovuto arrivare per un convegno o una visita. Mi piace ricordare Prospero quando parlava entusiasta dell’Africa, di ciò che si sarebbe potuto fare per quella gente, dei colori e degli odori che si sentivano, dell’impegno di chi si è dedicato agli altri. E della gente nera, dei bambini, delle donne, degli uomini che lui aveva dipinto in quella terra selvaggia, dura, accogliente, semplice.

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