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Cronaca

Omicidio al Baraonda, albanese ucciso per una prostituta. Anche il latitante chiede il rito abbreviato

Ora sono tre le persone accusate di omicidio premeditato, mentre una donna dovrà rispondere di associazione per delinquere finalizzata allo sfruttamento della prostituzione, sempre con i tre connazionali

Anche il quarto albanese coinvolto nell’omicidio di via Colombo ha chiesto e ottenuto il rito abbreviato. Ramadani Bujara era latitante in Albania, ma è stato arrestato ed estradato. Questa mattina, davanti al giudice per le indagini preliminari Adele Savastano – pm Emilio Pisante - si è svolta l’udienza, alla presenza dei due fratelli Mersin e Donard Uk, di 28 e 30 anni, e di una donna albanese Suada Zylifi, 28enne. I tre uomini sono accusati di omicidio premeditato in concorso – a sparare sarebbe stato Mersin, secondo gli inquirenti - mentre la donna di associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento e allo sfruttamento della prostituzione, sempre con i tre connazionali. Il rito abbreviato sarà condizionato all’ascolto di due testimoni, uno dei quali presente al bar Baraonda quando, il primo settembre 2013, venne freddato a colpi di pistola semiautomatica Sadik Hajderi, albanese di 39 anni. Il delitto si è consumato nell’ambito del controllo della prostituzione a Piacenza.

I due testimoni, che saranno ascoltati a settembre, erano già stati interrogati al momento dell’omicidio ma gli avvocati difensori Luca Curatti del foro di Cremona (assiste i due fratelli e la donna) e Mauro Pontini (legale di Bujara) vogliono approfondire alcune circostanze non ancora chiarite.

Le indagini della polizia permisero di arrestare i due fratelli poco prima che salissero su un aereo a Malpensa per fuggire in Albania. La Squadra mobile mise insieme i tasselli e riuscì a bloccare i due in tempo. Alla base del feroce omicidio – Hajderi venne freddato mentre era seduto al bar – ci sarebbe una ragazza, un prostituta che la vittima avrebbe voluto far lavorare in una certa zona. Nonostante un incontro precedente, le due gang non si accordarono e si arrivo al delitto. Gli Uku, secondo le indagini, non potevano permettere che altri si installassero sul loro territorio, facendo perdere credibilità al gruppo. Occorreva un segnale deciso, definitivo.

E qui un filo rosso collega la figura della donna a un altro fatto di sangue avvenuto a Gropparello: l’omicidio di Francesco Casella, ucciso a 78 anni dal figlio Andrea – reo confesso – il quale aveva sostenuto di aver uccio il papà per soldi, perché voleva liberare una prostituta albanese di cui si era invaghito.

E quella prostituta è Zylifi, la donna finita nell’inchiesta dell’omicidio al Baraonda. Secondo un’altra indagine portata a termine dai carabinieri, si scoprì che esisteva un racket che controllava giovani prostitute albanesi e che la donna era una delle menti, insieme con un’altra siciliana. Una delle tecniche per spillare soldi agli sprovveduti era anche quella di impietosire i clienti con storie di vessazioni, che sarebbero cessate solo se le ragazze avessero pagato gli aguzzini. In realtà, le violenze su alcune ragazze c’erano eccome e i carabinieri e la procura smantellarono, con 14 arresti, un potente e feroce clan di albanesi. I tre arrestati, aveva detto la procura, facevano parte del vertice, mentre le donne avevano un ruolo di manager addestrando, controllando e gestendo le ragazze e informando i boss su eventuali nuovi ingressi nel mercato della prostituzione. Insomma, il territorio era controllato in modo certosino. Fino a che i carabinieri non hanno inferto un colpo molto duro, smantellando l’organizzazione.

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