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Cronaca

Palazzo ex Enel, la Soprintendenza: «Impossibile un museo, le procedure sono corrette»

La Soprintendenza spiega la sue ragioni al comitato d’opinione di Palazzo ex Enel e suggerisce qualche proposta per il futuro dell’archeologia urbana a Piacenza. «Assoluta trasparenza e legittimità delle procedure»

Nel corso dell’incontro che si è tenuto martedì 9 giugno a Bologna, nella sede della Soprintendenza Archeologia dell’Emilia-Romagna, tra il soprintendente Luigi Malnati e tre rappresentanti del Gruppo d’Opinione di Palazzo ex Enel composto da associazioni culturali–ambientaliste e liberi cittadini che lamentano la mancata valorizzazione dei reperti archeologici rinvenuti nel 1981 sotto il “palazzo ex E.N.E.L.”, Malnati ha chiarito l’assoluta trasparenza, coerenza e legittimità delle procedure seguite dalla Soprintendenza. «È stato spiegato – informa un documento della Soprintendenza stessa - che la trasformazione dei manufatti in sito musealizzato e fruibile dal pubblico non è praticabile per almeno tre ragioni:

La conservazione: il tratto di mura repubblicane rinvenuto nel 1981 è stato all’epoca reinterrato e protetto da un guscio/soletta in cemento armato. Ciò ne ha tutelato e tutela l’integrità, ma le operazioni di smontaggio potrebbero a oltre trent’anni di distanza comportare qualche rischio alla conservazione dei reperti

L’opportunità: portare a vista e rendere fruibili questi manufatti implicherebbe costi di manutenzione e valorizzazione che non è facile sostenere da parte della soprintendenza, già impegnata su molti fronti. Il reinterro appare sempre più spesso la scelta migliore per consegnarli alle future generazioni; una simile soluzione è stata adottata negli anni scorsi per le mura romane rinvenute a Modena

L’utilità: da un punto di vista strettamente scientifico, i dati di uno scavo effettuato con le tecniche di 34 anni fa sono scarsamente utilizzabili. Certamente resta agli atti tutta la documentazione grafica e fotografica prodotta nel 1981 ma una lettura dei dati alla luce delle metodologie più moderne e aggiornate non è più possibile».

«L’ultimo progetto presentato nel 2014 – continua Malnati - non prevedeva la posa in opera di nuove strutture di fondazione né tantomeno alcuna interferenza con eventuali depositi archeologici ancora presenti nel sottosuolo. Ulteriori prescrizioni sia sul piano della tutela che su quello della valorizzazione sarebbero state illegittime, considerato che ciò avrebbe costretto la proprietà a costi aggiuntivi non giustificati da alcun rischio. La Soprintendenza per l’Archeologia dell’Emilia-Romagna ribadisce che, sul piano della conservazione, i reperti non corrono alcun pericolo. Tuttavia il passaggio dalla proprietà pubblica a quella privata ha indotto la soprintendenza, in accordo con la Direzione Generale Archeologia e rispondendo alle attese della cittadinanza, a dare avvio all’istruttoria di vincolo per tutelarli in via definitiva».

La Soprintendenza Archeologia dell’Emilia-Romagna proporrà all’amministrazione di Piacenza un piano per la tutela e valorizzazione del patrimonio archeologico strutturato su tre punti:

1) l’elaborazione di una carta delle potenzialità archeologiche (analoga a quella redatta a Modena o Cesena) in grado di mappare e valutare previsionalmente i depositi archeologici presenti in area urbana

2) l’allestimento e apertura al pubblico delle sezioni dedicate all’Età del Ferro e periodo romano della città all’interno del Museo Civico Archeologico, da troppi anni chiuse al pubblico non certo per volontà della Soprintendenza

3) l’analisi non distruttiva, effettuata con georadar e altri strumenti, di altri tratti di mura romane in una o più aree libere da edifici in modo da poter effettuare un intervento mirato in grado di fornire dati aggiornati e attendibili, alla luce delle moderne tecniche di scavo.

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