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Cronaca

«Spogliato e preso a schiaffi per non aver consegnato subito la droga»

Caso Levante. Altra udienza nella giornata del 20 settembre del processo celebrato con rito ordinario e che vede imputato Angelo Esposito. In aula sfilano testi dell'accusa, due i principali che hanno riferito di episodi ai quali l'imputato è estraneo

Caso Levante. Altra udienza nella giornata del 20 settembre del processo celebrato con rito ordinario e che vede imputato Angelo Esposito, l’unico carabiniere in forza alla Caserma di via Caccialupo arrestato insieme ad altri militari il 22 luglio 2020 che ha scelto il dibattimento (nessun sconto di pena). Gli altri colleghi hanno scelto il rito abbreviato (riduzione di un terzo della pena) e la sentenza per loro è arrivata il 1 luglio.  Altri coinvolti nella maxi indagine delle Fiamme Gialle e Polizia Locale (tutti civili, accusati di spaccio e facenti parte dell’organizzazione dei carabinieri infedeli, a vario titolo) scelsero il patteggiamento, le sentenze (8 su dieci) sono arrivate il 20 settembre e vanno dai 4 mesi ai 4 anni per alcune migliaia di euro di multa. Inoltre, sono tuttora aperte altre posizioni di diversi militari per i quali le indagini non sarebbero ancora concluse e che potrebbero dare origine ad altri procedimenti.

Davanti al collegio presieduto dal giudice Stefano Brusati (a latere Sonia Caravelli e Aldo Tiberti) hanno parlato alcuni testi dell’accusa (pm Antonio Colonna e Matteo Centini, titolari delle indagini). In aula gli avvocati Chiara Cristaudo (che ha sostituito i colleghi Pierpaolo Rivello e Maria Paola Marro) per Angelo Esposito (assente), Paolo Campana che rappresenta Elsayed Atef Elzaki per il caso di tortura contestato al militare e parte civile, Piero Santantonio per il Pdm (partito per i diritti dei militari, parte civile) e Andrea Cecchieri per l’Arma dei carabinieri (parte civile). Due i testi principali dell’udienza del 20 settembre hanno riferito di episodi e circostanze ai quali Esposito è estraneo. Il carabiniere ha tredici capi di imputazione per sette episodi, tra i quali tortura, spaccio, falso, omessa segnalazione, sequestro di persona. 

colonna centini procura ok 2020-2TESTI - «Il mio fidanzato fu arrestato per detenzione ai fini di spaccio e poi Giuseppe Montella gli ha chiesto di lavorare per lui, ossia gli propose di fare da informatore per procacciare persone da arrestare e contestualmente avrebbe spacciato per lui». A dirlo la compagna di Seniguer Megid (che ha patteggiato una pena di un anno, 11 mesi e 10 giorni) al pm Centini che le ha chiesto di ripercorrere la loro storia e i rapporti con Montella. «Quel giorno sono entrati in casa nostra (riferito ai carabinieri nda), ci hanno fatti sedere in cucina mentre loro perquisivano la casa. Non abbiamo potuto chiamare nessun avvocato. Trovarono della marijuana mentre a me sparirono dal portafoglio 50 euro. Dopo la direttissima, il mio compagno ha iniziato a lavorare per loro perché ci dissero i favori si pagano. Inizialmente – ha spiegato – la droga la portava Tiziano Gherardi poi quando fu arrestato veniva Montella in persona, dapprima in auto e poi anche in moto quando aveva trovato una “cimice” a bordo della sua vettura».

«Era il 23 settembre 2019, ero al McDonald's e stavo pranzando con un amico dopo la scuola. All’epoca non facevo le cose fatte bene (riferendosi all’attività di spaccio, nda). Ho sentito bussare sulla vetrata, mi sono voltato e ho visto Ghormy El Mehedi (informatore di Montella, che ha patteggiato, la sentenza arriverà la prossima settimana) che mi ha chiesto di uscire e così ho fatto ma subito sono stato afferrato da dietro due carabinieri che mi hanno detto dacci la roba altrimenti ti picchiamo. Io ho detto, mentendo, che non avevo nulla». A spiegarlo un giovane lodigiano che inizialmente era stato ritenuto vittima di tortura, reato poi non riconosciuto nel rito abbreviato per gli altri cinque carabinieri (Esposito è estraneo al fatto). «Mi hanno portato in caserma, mi hanno fatto spogliare e rimanere in mutande. E’ lì che ho consegnato loro 30 grammi di hascisc e li ho fatti infuriare: per averli presi in giro a Piazzale Marconi, Salvatore Cappellano mi ha colpito più volte con schiaffoni a mano aperta. Ho chiesto ad un loro collega presente se fosse normale tutto ciò e mi fu risposto che poteva andarmi anche peggio». «Alla fine  - ha proseguito - mi hanno obbligato a firmare un verbale in cui dicevo che rifiutavo l’assistenza legale e acconsentivo alla perquisizione domiciliare. In tasca avevo anche 800 euro, loro ne verbalizzarono 330 e si intascarono il resto. Una volta a casa, mi hanno ammanettato ad una sedia e hanno perquisito le stanze, poi siamo andati al comando provinciale in via Beverora. Lì per i segni rossi che avevo in volto hanno aspettato circa tre ore prima di fotosegnalarmi. Il giorno dopo ci fu il processo per direttissima».

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