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Cronaca

Sfruttavano giovani prostitute in via Colombo, condannati due cinesi

Altri tre assolti. Processati i membri di una gang smantellata nel 2009 grazie alle dichiarazioni di una ragazza che veniva tenuta in un appartamento. Lei riuscì a chiamare un amico che avvertì la polizia

Due condanne e tre assoluzioni. Si è concluso oggi pomeriggio, 4 giugno, il processo a carico di cinque cinesi - tutti latitanti - accusati di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione. Sei anni di carcere e 3mila euro di multa sono toccati all’uomo ritenuto il capo della gang, mentre il suo “vice” se l’è cavata con 4 anni e duemila euro. Assolti, infine, altri tre imputati. Mauro Pontini, Giovanni Capelli e Sara Stragliati, gli avvocati difensori dei cinque, valuteranno il ricorso in Appello dopo aver letto le motivazioni della sentenza. Secondo le difese, che hanno chiesto l’assoluzione per tutti, mancavano le prove che i cinque avessero sfruttato la ragazza che poi li ha denunciati.

Clandestina, in una città che non conosceva, con persone mai viste e chiusa in casa. La giovane cinese ha resistito tre giorni, poi ha chiamato al telefono l’unico amico italiano che aveva chiedendo di essere liberata. L’uomo avvertì la polizia di Rovigo che avvertì subito i colleghi di Piacenza facendoli intervenire in una casa di via Colombo. E’ il racconto di una ragazza cinese di circa 30 anni che questa mattina è stata sentita come testimone dai giudici, nel processo che vede cinque suoi connazionali imputati di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione. La giovane, assistita da un interprete, ha risposto alle domande del presidente Italo Ghitti e dei giudici Maurizio Boselli e Elena Stoppini, ma anche a quelle del pm Antonio Colonna e dei tre difensori degli imputati. La vicenda avvenne nel luglio del 2009, quando la Squadra mobile fece un’irruzione in un appartamento di via Colombo, trovando la cinese. Lei trovò il coraggio di raccontare tutto e di denunciare i suoi sfruttatori.

Arrivata nella nostra città dalla Toscana e poi da Milano, la ragazza venne presa in consegna da un uomo alla stazione e portata in casa. Qui, una donna le disse cosa doveva fare - cioè prostituirsi - e le consegnò un cellulare che le serviva per ricevere le chiamate ed essere informata sull’arrivo dei clienti. La donna aveva da mangiare in casa, ma era rimasta sola. Non poteva uscire perché la porta non aveva la chiave, ma solo una serratura a scatto: se fosse uscita non sarebbe più rientrata. A questo andavano poi aggiunte alcune minacce. Davanti ai giudici, la cinese ha riconosciuto l’uomo come colui che la portò nella casa e che ritirò gli incassi dei primi tre giorni: 680 euro, lasciando a lei solo 30 euro. Ogni prestazione andava da 50 a 80 euro. Una sola ragazza era in grado di incassare circa 5mila euro la mese. In media, le giovani che si prostituivano, più o meno consenzienti, erano una decina.

Ha deposto anche un ispettore della Mobile, il quale ha spiegato ai giudici come si svolsero le indagini. La gang aveva avviato numerosi “bordelli” in diverse zone d’Italia, reclutando le ragazze tra ex prostitute e clandestine. La polizia, dopo aver liberato la cinese, l’ha affidata a una struttura protetta, dove si trova tuttora.

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