rotate-mobile
Domenica, 28 Aprile 2024
L’analisi

«Il prezzo del latte non è commisurato ai costi e ai rischi di allevatori e imprenditori»

Le preoccupazioni di Confagricoltura, che segnala i problemi del comparto del latte in Italia in questa fase

Il comparto latte europeo inizia a registrare un calo generalizzato delle quotazioni. In Italia, se la filiera dei formaggi dop, come sempre premia i fortunati conferenti, il latte non assorbito dalle filiere più remunerative resta esposto alle fluttuazioni del mercato e viene venduto in modo disaggregato dai produttori che, consuetamente si adeguano alla quotazione di Lactalis, consolidatasi come riferimento nazionale. C’è dunque attesa per capire quale sarà la nuova quotazione dopo che l’industria aveva concordato di rivedere gli accordi ad aprile in base all’andamento del mercato.  Oltralpe la produzione è tornata ad aumentare ed il latte spot tedesco è venduto a circa 38 cent/litro, 20 cent/litro meno del nostro. 

«Con i nostri costi sarebbe impossibile - commenta Alfredo Lucchini, presidente della sezione di prodotto lattiero-casearia di Confagricoltura Piacenza. Se i tedeschi possono produrre a quelle condizioni – prosegue l’allevatore - viene fin da pensare che siano stati stanziati aiuti statali perché i costi di produzione non si stanno contraendo in modo significativo e sono rimasti allineati agli aumenti del triennio 2020-2022. La leggera flessione del costo delle materie prime, registrata dai bollettini delle borse merci, non deve indurre a pensare che gli allevatori ne possano beneficiare, perché purtroppo i costi della razione sono quasi marginali rispetto agli altri oneri, letteralmente esplosi, per il mantenimento organizzativo e gestionale delle nostre aziende. Manutenzioni, aggiornamenti tecnici e sostituzioni di attrezzature e strutture obsolete sono costose attività non procrastinabili per le imprese chiamate ad essere sempre più efficienti e razionali per produrre di più impattando sempre meno. Nei costi incomprimibili, dobbiamo poi includere anche la burocrazia e il nostro Paese brilla sempre nel saper applicare nel modo più rigoroso e bizantino le norme europee. Ci vantiamo, per esempio, di essere gli unici in Europa ad aver già introdotto la ricetta elettronica e la messa in asciutta selettiva, ma mentre noi complichiamo, gli altri rimandano. Nel tema dei costi incomprimibili includiamo anche la pretesa di farci “pennellare” tutto con la sostenibilità, il che implica un sovraccarico burocratico e una grande perdita di capacità produttiva causata dall’imposizione di determinati modi di lavorare. Quando invece, la sostenibilità vera l’abbiamo sempre realizzata con l’ammodernamento e l’efficientamento costante, con la tecnologia e lo sviluppo in campo e in stalla, che consentono efficienza, ma costano e vanno dunque realizzate in un’ottica di profitto, non di passività onerose.  Guardiamo solo avanti di un anno – specifica Lucchini - con il divieto di seminare mais su mais molte aziende saranno in difficoltà a mantenere alti livelli di autoapprovvigionamento, già vacillanti. Negli ecoschemi dovremo rispettare altri aspetti di sostenibilità e misure per il benessere animale, peccato che manchino ancora persino alcuni decreti attuativi. Mentre si continua in provincia a consumare suolo fertile con la logistica, speriamo, nell’impossibilità di fare rotazione sui nostri terreni, che non ci impongano lo scambio di superfici con aziende ad altra vocazione, magari con differenti sistemi irrigui. Sono aspetti che si traducono in una minaccia economica perché il prezzo del latte non è commisurato ai costi e ai rischi che corriamo». Nei rischi Lucchini vuole includere anche la pesante variabile della crisi idrica.

«Le scorte di silomais 2022, prodotto a costi inconcepibilmente elevati, iniziano a scarseggiare. La siccità sta costringendo gli allevatori a rimandare le semine. La mancanza di acqua, genera poi anche problemi sulla qualità delle produzioni che vedono abbondanti quote di scarto. Si spera ancora nelle piogge di aprile - prosegue – perché l’acqua è un fattore produttivo imprescindibile non solo per la zootecnia, ma per diverse filiere agricole di valore del territorio».

«Il gap delle quotazioni con il latte estero non basta a sostenere il quadro normativo e i vincoli ambientali che subiamo, oltretutto la storia ci insegna che a tendere si registrerà un allineamento delle quotazioni, ma non è possibile per le nostre aziende continuare a lavorare con queste paure, oltretutto affrontando la contrattazione con l’industria senza aver approntato gli strumenti previsti nel pacchetto latte per fare massa critica e aumentare il potere contrattuale. I nostri asset danno sempre meno la possibilità di valorizzare il prodotto nazionale».

Si dirà che nelle filiere delle Dop c’è un riconoscimento diverso della materia prima. «Venendo al nostro areale, produrre Grana conviene, il problema – ricorda Lucchini - è che gli allevatori non possono scegliere se e quanto latte conferire alla filiera della dop e per chi resta fuori è ancora oggi un atto subito. Chi ha conferito a Grana, nel 2022, principalmente in ambito cooperativo, ha potuto vedere una buona remunerazione del latte. Diversamente, gli allevatori conferenti a strutture industriali si sono visti riconoscere un prezzo anche inferiore del 20 per cento. Se fossimo stati aggregati avremmo potuto, in un momento di scarsa offerta, avere maggior peso nella contrattazione con la parte industriale. Circa la possibilità di aumentare la quota di latte da far confluire nella filiera della Dop, in ogni caso più remunerativa, il crescente mercato dei similari ci rinfaccia che una segmentazione del mercato del prodotto principale avrebbe potuto permettere una maggior ridistribuzione dei vantaggi di appartenere all’areale della Dop di formaggio più venduta al mondo. Chiediamo ormai da troppo tempo più coraggio e solidarietà in tal senso».

In Evidenza

Potrebbe interessarti

«Il prezzo del latte non è commisurato ai costi e ai rischi di allevatori e imprenditori»

IlPiacenza è in caricamento