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Piacenza damigella di Parma capitale della cultura, ma può essere un'occasione

Un grande esempio di condivisione, spero non di consociativismo. Parma punta sul binomio arte-gastronomia con il nuovo citybrand. Reggio Emilia apre le porte ai diversi musei, agli scrittori e design del luogo. Piacenza ha fatto le sue scelte fra città e provincia

Quest'anno Piacenza è damigella di Parma, insieme a Reggio Emilia, in un mega progetto assai lodevole di “area vasta”: Parma capitale della cultura 2020. Un grande esempio di condivisione, spero non di consociativismo. Parma punta sul binomio arte-gastronomia con il nuovo citybrand. Reggio Emilia apre le porte ai diversi musei, agli scrittori e design del luogo. Piacenza ha fatto le sue scelte fra città e provincia.  Spero vi sia un saggio coordinamento anche sui contenuti, in modo che la partecipazione, il ricordo, i benefici siano comuni a tutta l’Emilia. Su “Emilia” bisogna investire: meno sulla grafologia depliantistica di un logo, molto più su un messaggio unitario, scrigno di 3 elementi distinti. E’ in questo contesto promozionale aggregato che Piacenza deve lanciare i suoi “temi” pregiati, pochissimi ed esclusivi, quelli che resteranno, che dovranno essere, meglio se già avessimo, espressi dal tanto atteso brand unico per tutti. E’ sul brand-attrazione che bisogna investire tutti, anche quasi a costo zero, si può.

A mio parere Piacenza dovrebbe avere una struttura ad hoc dedicata, partendo da un brand vero, istituzionale, collettivo, usato da tutti, Giampietro Comolli-2che si autoalimenti anche in termini di investimenti e diffusione. Una Piacenza d’arte contemporanea, di ricco patrimonio architettonico, di storiche chiese e basiliche, di storia c’è… manca il saggio condimento attrattivo e un, fondamentale, brand all’avanguardia, semplice, anche inaspettato.

Piacenza, molto più di Parma, può dire la sua in termini di vino e anche di cibo-cultura. Piacenza, è vero, non ha multinazionali del cibo, ma quanti cuochi, scalchi, trincianti, piatti e ricette sono nati, diffusi e cresciuti nei secoli con il DNA piacentino, non certo parmense! Il “furmai piacentino” (e lodigiano) c’era ben prima del Padano e del Parmigiano. I grandi marchi del pomodoro di Parma, coltivano e acquistano a Piacenza. Già Pietro Barilla negli anni ’60-’70 volle il grano duro delle colline di Piacenza. Le prime scatole di piselli finissimi e di mais dolce partivano da San Giorgio Piacentino in tutto il mondo.

Lasciamo che la Coppa Parma sia sui banchi mondiali di Eataly (Stoccolma per esempio), con scritto in retro-etichetta “fatta al modo di Piacenza”? La tutela può essere strumento di comunicazione di promozione e anche di valore aggiunto. Non solo fa crescere la mentalità produttiva, ma salvaguarda da imitazioni. 

Con Cultura2020 Piacenza può cogliere una occasione: creare un grande evento autonomo integrativo dei progetti altrui, ma ben localizzato. Piacenza deve reagire non con foglie di fico e eventini di giornata, deve essere capitale vera della cultura del cibo, dal crudo al cotto, puntando al valore ecocompatibile e biodiverso della “conservazione” degli alimenti, come ci hanno insegnato e dimostrato per 10 secoli oratori, refettori, credenze di tante basiliche cittadine e provinciali.

Proposta: istituzionalizzare un percorso cittadino fra botteghe e oratori, raccontando un medioevo a tavola, quanto Piacenza fosse all’avanguardia nella economia circolare, l’accoglienza, la cura a tavola, il no-spreco. Gli insaccati sono l’espressione più antica e importante della conservazione del cibo, insieme ai formaggi a “grana dura”, alle marmellate, la giardiniera e ai pesci di fiume seccati. Ecco manca proprio il brand, chiamiamolo un simbolo che dia identità culturale-storica, fortemente impattante, che racconti… valido per mostre, musei, cibo, castelli, vino, insaccati, formaggi, manifatturiero, commerciale, artigianale.  

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