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Martedì, 30 Aprile 2024
La storia

I longobardi sono stati “generosi” durante il loro dominio

Molte le terre donate durante la loro permanenza nel territorio piacentino

Com’era il dominio della gens langobardorum 1300 anni fa nelle nostre terre? Certamente meno barbarico di quello che immaginiamo. Non è stato un dominio atroce: tant’è che loro donano, ad esempio, le terre bobbiesi a San Colombano per il monastero. Certo la conquista dell’Italia non avvenne a vino e tarallucci, ma passato quel tempo e con la conversione al cristianesimo, per l’abile mossa della regina Teodolinda, le cose andarono molto meglio, per tutti.

Facciamo allora una carrellata tra gli studi storici e la documentazione che ci riguarda da vicino per entrare nella Piacenza longobarda. Tra le “cose” che interessavano questo popolo, insediato nel nord Italia ed in buona parte del centro sud, c’era anche la gestione delle acque fluviali, con il Po in prima linea. D’altra parte era una strada d’acqua bella e pronta, da sfruttare al meglio, che metteva in contatto Pavia, la capitale del regno, e giù fino all’Adriatico.

Ma i “Lunga barba o Lunga alabarda” (da dove deriva precisamente il nome nessuno lo ha ancora capito, ma di certo però la Lombardia deriva il nome da lì) miravano "pure" all’igiene personale, certamente un uso non da barbari. Anche in quei secoli per lavarsi al meglio ci si strofinava con sapone ed un diploma di re Ilprando scritto a Pavia il 22 marzo del 744 ribadisce il dono alla Chiesa di Piacenza di circa 12 chilogrammi di sapone per lavare i poveri alloggiati negli ospitali.

Infatti leggiamo: “firmamus vobis pensionem (pagamento) illam de sapone” di ben “libras XXX” (trenta libre e una libra pesa circa 4 etti) preso tale sapone dalle scorte del palazzo regio “nostri ex Placentina civitate”. E notiamo bene: “ad pauperes lavandum concessa sunt” cioè donato per lavare i poveri, anche questo era un bene prezioso. Per comparare con l’oggi possiamo stimare queste 30 libre solide in circa 100 saponette di quelle in vendita nei nostri negozi.

Un'altra bella donazione è quella fatta da re Adaloaldo all'abate di Bobbio Attala, succeduto a San Colombano. Nella carta fatta a Pavia nel 624 si donano quindi, su richiesta della regina Teodolinda, le "Alpecelle" cioè le piccole alpi "que appellatur Pennice". Nel documento latino addirittura leggiamo dei confini del "Monte Pennice": sono compresi fra "Petra de Gragio" poi la "Petra Pedena", quella "De Digna" e quindi "usque in fluvio Trevia" fino al fiume Trebbia.

Anche a Fiorenzuola i longobardi fanno doni, sempre Hilprandus rex: alla basilica di San Fiorenzo "sita in territorio Placentino, loco ubi dicitur Florenciola". Infatti qui si concede "pissina illam nominem Fischinam in territorio Parmense" cioè una pescagione "pissina" per avere pesce a volontà, un lungo tratto di fiume Po che era nella zona di Zibello.

Questo re sempre nel diploma del 22 marzo 744 lascia alla Chiesa di Piacenza il profitto, i soldi di gabella d'ormeggio (ripatico), di una "navem militarum" (nave che porta soldati). L'attracco era "ex porto quae dicitur Codaleto" al porto di Codaleto (che poi divenne di proprietà del Vescovo) e che più o meno viene indicato essere verso il Po alla frazione Mortizza.

Ed in altre carte c'è la riconferma dei privilegi ecclesiastici alle Chiese "ecclesie vestre" qui a Piacenza, fatte al tempo longobardo e che andavano rimesse in piedi perchè "ad eodem incendio sunt combuste" cioè andate bruciate negli incendi.

Il longobardissimo Liutprando aveva dato precise disposizioni per il regno e le città, quindi per Piacenza dove si trovava in commercio di tutto: carne, vino, cereali, pesce di lago e di fiume, addirittura la vendita di pesce d’allevamento (quello tenuto nelle "pescaria") e poi bestiame vario ma anche il prezioso commercio di cavalli.

I Capitolari che fece tra l'anno 715 e il 10 maggio 730 riguardano proprio la navigazione dei fiumi e in particolare il Po, importantissimi gli accordi per il commercio del sale fatti nel 715 con i comacchiesi. Dall'Adriatico via Po risalivano da Comacchio navi cariche del prezioso alimento, proseguendo sul fiume Ticino fin a Pavia, ed era previsto anche l'attracco nei due porti piacentini, quello detto "Codaleto" ad est e l'altro ad ovest il "portus Lambro et Placentia".

Ed ancora, i re longobardi concedono al vescovo e alla Chiesa di Piacenza che tutti i servi agli ordini della chiesa locale, sposati con donne libere, abbiano i loro figli considerati "ita sane ut sint pro aldiones" cioè aldioni (uomini "quasi" liberi).

Difatti un "aldio" era libero a metà: sottoposto al suo "dominus" (signore) al quale prestavano opere di lavoro, in cambio di avere in gestione terre, e l'aldio anche non poteva però spostarsi dove volesse, costretto a muoversi in quell'unico territorio senza permesso.

I Longobardi hanno "inventato" di sana pianta la famigerata Via Francigena, infatti sono loro ad aprire la strada della Cisa, con il suo Passo, ed a Berceto fondano chiesa e monastero con ospitale, quello di San Moderanno.

Piacenza per questo popolo dominatore e convertito al cristianesimo, viene citata in una pergamena piacentina del 722 come città "Augusta" cioè "degna d'onore" e venne anche elevata a Ducato. L'integrazione con le genti locali era ormai assodata e concreta: come bene sappiamo, di quel tempo conserviamo ancora oggi nel dialetto piacentino tantissime parole longobarde e non è poco.

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