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L’usuraio che provocò la ribellione dei piacentini contro il clero

Nel 1478 morì Francesco Pezzancheri: gli omaggi della Chiesa alla sua scomparsa non piacquero al popolo piacentino, che subiva le sue ritorsioni. La protesta sfociò in alcuni episodi raccapriccianti

È un fatto reale e ben documentato, che ha il suo epilogo davanti alla chiesa di San Pietro a Piacenza e che ci mostra come il clero e il potere del tempo chiudesse gli occhi davanti ai peggiori uomini, per il fatto che traevano beneficio. Però stavolta dovettero restare zitti ed impotenti davanti alla ribellione della gente.

Questo fatto ha inizio il 3 maggio del 1478 a Piacenza: in questo giorno muore un certo Francesco Pezzancheri, soprannominato dal popolo Baiamo, che le cronache dicono esser stato “usuraio infamissimo e furfante” e che però “prestava denaro” anche a preti, a religiosi ed ai nobili cittadini. I quali chiudevano un occhio poi sulle sue ritorsioni contro i poveracci a cui aveva dato in prestito denaro con interessi esorbitanti. In quei secoli l’usura era condannata apertamente dal clero e anche dalle leggi secolari, per questo il popolo vide maggior scandalo.

Infatti i frati francescani presero il morto e lo vestirono del loro saio e lo portarono nella chiesa di S. Francesco in piazza e gli tributarono esequie solenni. La gente, per derisione ai frati e al defunto, corse a prender pezzi del panno del suo abito da sepoltura come fosse una reliquia e, come altro scherno, se ne facevano beffe dicendolo santo.

Nel frattempo in quei giorni anche tanti carcerati fuggirono dalla prigione cittadina e anche questo fu in modo ironico attribuito al “santo usuraio”. Il cadavere venne quindi sepolto nel chiostro del convento, quello del quale ancor oggi possiamo vederne una piccola parte da piazzale Plebiscito, con indignazione popolare alle stelle, mentre covava sotto la cenere una tremenda vendetta.

Pochi giorni dopo, a Pentecoste, cominciarono dei tafferugli presso la chiesa francescana da parte di centinaia di piacentini che il giorno dopo portarono ad un fatto increscioso: le cronache dicono che ben quattromila giovani più altri popolani, forse cifra gonfiata ma significativa, andarono gridando “Baiamo Baiamo!” al chiostro e tolte le due piastre del sepolcro cavarono il corpo ormai in putredine dell’usuraio.

Lo legarono con una corda per il collo e lo tirarono in piazza davanti alla casa di Francesco Maletta che era il commissario ducale qui a Piacenza per il duca Galeazzo Maria Sforza di Milano e che passava buon tempo ed amicizia con l’usuraio. Non ci fu nessun intervento della milizia piacentina, per evitare guai maggiori da quella inaspettata sommossa.

Leggiamo che era una giornata di pioggia intensa, ma la furia della gente non si spense ancora e tirarono il fetido corpo fino alla chiesa di San Pietro, dove accanto abitava la moglie del morto con i suoi figli. Ebbe inizio l’atto più violento. La gente imprecò e lanciò maledizioni a quel cadavere che venne poi calpestato, tagliato a pezzi e per mano di una vecchia, che fu tra le vittime dello strozzino, gli fu fracassato il cranio con una legnata. Questa la raccapricciante scena rinchiusa nelle cronache antiche.

La sevizia a quel misero corpo dilaniato finì poi presso la chiesa cittadina di Santo Spirito, dove ciò che ne rimaneva venne miseramente appeso ad un albero e in quel modo, sbollita la rabbia popolare, a Piacenza si tornò alla quotidianità, con buona pace di potenti e religiosi che volevano tributare onori ad un personaggio molto discutibile e di certo impopolare.

Umberto Battini

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