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La Piacenza medievale ricettacolo di eretici tra roghi e inquisitori

Patarini, Speronisti, i Poveri di Lione, i Poveri Lombardi ed i Catari: le sette che venne contrastate dalla Chiesa nel Piacentino tra il 1100 e il 1300

Sarà colpa della Francigena, cioè della “strada romea” che attraversa tutto il territorio piacentino, se in quel medioevo ricco di scontri, evoluzioni e conquiste la città di Piacenza diventa un brulicare di sette eretiche?

Probabilmente sì: anche le strade concorrono a portare, oltre che gli uomini, le loro idee. E pare proprio che anche i pellegrini raccogliessero, con il loro andare di luogo in luogo, le più svariate notizie d’eresia e magari pure vi aderissero senza riserve.

Alla biblioteca civica Passerini Landi in città, è possibile consultare un interessante volume a stampa, che riporta un testo latino composto a Piacenza nel 1235. Lo ha scritto con dovizia un dotto laico piacentino, tal Salvo Burci. Un testo che a quel tempo fece scalpore perché era una specie di antologia ragionata delle sette ereticali che gravitavano proprio qui in città e nel suburbio.

Si tratta del “Liber suprastella” ed elenca in modo maniacale le sette eretiche cittadine, anche se il testo è prettamente un trattato anti-cataro, una tra le sette sbocciata sempre dal solco del cristianesimo che criticava con proprie formule teologiche e sociali il clero, che ormai da tempo, ed è anch’esso dato storico, dava non pochi scandali tra il popolo.

Sappiamo che castelli e ville (le moderne frazioni rurali) erano le sedi preferite dei catari in Italia. Leggiamo da Salvo Burci che essi erano “tagliati fuori dalla Chiesa, mescolati con altri eretici, imbevuti di false dottrine...” e andavano questi “perfetti, per villaggi e campagne, si insinuavano nelle case, colombe nell’aspetto ma volpi nel cuore, demolivano i dogmi cattolici insinuando credenze proprie, indugiavano sui vizi del clero...”.

I catari predicavano purezza, un ritorno alla primitiva vita del cristianesimo, arrivando ad avere propri vescovi, seguitissimi e gran predicatori. A Piacenza hanno più di una casa sotto la guida di diaconi preposti ad indottrinare queste decine di convertiti.

Ma come scopriamo leggendo dal Burci, qui in città anche tra loro c’erano divisioni di vedute: troviamo quelli che seguivano un vescovo a Desenzano del Garda, detti “Albanenses”, e un altro folto numero di seguaci detti “Concorricii”, cioè dipendenti da una chiesa catara vicino a Monza, precisamente a Concorezzo.

La medaglia ha in questo caso un risvolto, infatti da quella città arriverà a reggere l’importante chiesa di Ravenna, l’arcivescovo Rainaldo da Concorezzo, uomo severo ma giusto sotto ogni punto di vista, inquisitore dell’accusa di eresia dei Templari del nord Italia e tra essi, anche i nostri locali, assolti nel 1311 con formula piena da ogni ingiuriosa accusa.

Con il vescovo Rainaldo si capì che inquisizione non significa per forza “torture e roghi di uomini”, ma rigida applicazione di leggi nel rispetto della persona accusata, ma purtroppo l’agire nella legge del prelato rimase quasi un caso a parte addirittura biasimato da papa Clemente V.

Bisogna dire che la caccia ai settari piacentini, definita come Milano una brutta “fovea haereticorum” (una fossa d’eretici) e per fovea si intendeva in questo caso quel grande fosso che raccoglie le acque reflue, la fogna per intenderci, per la Chiesa di Roma era iniziata ben prima. Difatti il frate inquisitore Raimondo Zoccoli nel 1230 qui in città ne butta direttamente tanti sul rogo senza pietà e questo non servirà certo a calmare gli animi.

Anche il frate inquisitore Rolando da Cremona nel 1233 in un infuocato ottobre, dalla piazza del duomo, tiene un discorso crudo e duro contro i locali eretici, invitandoli all’abiura e al rinnegamento di quelle malsane idee contro la Chiesa costituita. Finirà con un assalto al frate che sarà malamente pestato ma, per sua fortuna, messo in salvo. Su questo episodio anche lo stesso papa Gregorio IX interverrà per sedare gli animi, inviando a Piacenza la piena assoluzione per gli incauti aggressori del frate cremonese. Fatto sta che nel 1266 i legati del Papa Clemente IV con gli inquisitori qui a Piacenza catturano e processano molti eretici e senza giri di parole li condannano alle fiamme.

Ma nel “Liber suprastella” sono indicate tutte le sette radicate sul territorio e l’elenco fa davvero venir la pelle d’oca: è vero che questi uomini eretici si muovevano sul filo del rasoio del vivere legale anzi spesso fuori legge abiurando ogni dottrina, ma tutto ciò significava che la Chiesa in generale e nel particolare quella piacentina, era veramente in piena crisi.

Le sette ereticali di Piacenza elencate dal libro sono: gli Speronisti, i Poveri di Lione, i Poveri Lombardi ed i Catari. La forma più antica di eresia, quella che prende forma già nel 1100 e che si trascinerà per circa due secoli, resta quella dei Patarini, il movimento fuori legge della Chiesa conosciuto come Pataria.

Un fatto assodato è anche quello che gli ordini religiosi riconosciuti purtroppo finirono per essere “copiati e usati” da questi eretici, ad esempio la setta dei Poveri lombardi si rifaceva agli Umiliati mentre i Fraticelli usciti dal francescanesimo, tentavano di salvarsi la pelle continuando nel loro vivere ereticale, vestendo l’abito grigio dei penitenti terziari di S. Francesco.

Abusavano della professione de paupere vita, al punto che nel 1317 con la Bolla “Sancta Romana” papa Giovanni XXII proibiva a qualsiasi autorità di perseguire i Terziari francescani, ingiustamente confusi con gli eretici Fraticelli che invece “portavano un abito deforme e uguale a quello dei poveri penitenti”.

Qui nel piacentino in quegli anni abbiamo il solido e storico esempio di questo fatto, pensando ad esempio al penitente terziario S. Corrado Confalonieri che si era ritirato tra i frati penitenti dell’ospitale francigeno poco discosto da Calendasco e retto da fra Aristide che qualche documento dice Beato, vestiti dell’abito grigio del riconosciuto “tertio ordinis sancti francisci de penitentia nuncupati”.

Se quindi è vero che le strade portano uomini e idee d’ogni sorta, la cosa certa è che a Piacenza queste idee fuori dal coro attecchirono benissimo. Vennero messe a tacere per mezzo di roghi, bruciando sulla pubblica piazza uomini e donne ribelli. Ma con quel fuoco maledetto non si bruciavano gli ideali ma anzi si dava loro più forza: l’eretico era equiparato dai suoi adepti ad un martire e questo martellava quindi le coscienze di ogni libero cittadino.

L’eresia e come fu combattuta tra ‘200 e ’300 qui a Piacenza rimane un argomento cruciale, per fortuna ben discusso e argomentato dagli storici anche in tempi a noi abbastanza recenti, e che si offre all’intelligenza del lettore per poterlo approfondire, vista la mole imponente di materiale e fatti che renderebbero il discorso ben più articolato e coinvolgente.

Umberto Battini

Rogo di Catari medievali-2

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