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Un po' di storia

Quando Francesco Sforza dominava su Piacenza nel '400

Tante le missive con disposizioni inviate dal primo duca di Milano riguardanti il territorio piacentino

Il primo duca di Milano succeduto alla dinastia dei Visconti è stato Francesco Sforza, un tempo anche lui gran condottiero, uomo d'armi. Piacenza, territorio integrante del dominio milanese, diviene parte delle attenzioni del duca già dalla sua nomina nel marzo del 1450.

L'unico modo, antico e secolare per comunicare con i sottoposti del suo immenso ducato, era quello della missiva, cioè della lettera, ma missiva era il termine giusto usato a quel tempo: occorreva un messo (un inviato) per tutto questo traffico di Informativo.

Ne abbiamo scartabellate un bel po', tra le centinaia e migliaia che si conservano con dovizia nell'Archivio di Stato di Milano. Le missive erano all'ordine del giorno, per i sottoposti delle varie città cui erano destinate.

Tra quelle destinate alla nostra città ne abbiamo fatto una cernita, e da queste si deduce il traffico politico, economico e anche sociale di quel tempo, e uno spaccato del vissuto dell'epoca.

Il duca trovava il tempo per rispondere a delle richieste anche circa cose e fatti tra i più curiosi o “terra terra”. Scritte rigorosamente a mano, in un italiano del tempo, raramente in latino, così da essere immediatamente capite, il duca dettava e il segretario faceva il resto. C'era una gran via vai di messi a cavallo che facevano la spola Milano-Piacenza e viceversa per la consegna dei plichi ducali.

Nel gennaio del 1452 scrive al “Potestate Placentie” (Podestà di Piacenza) perché vuole far drizzare il Po che ad ovest della città verso Calendasco è tortuoso: “havimo ordinato de fare una cava per trar Po fora del proprio lecto dove circumvolve tanto tereno” e vuole si sentano con l'ingegnere ducale anche “tri o quatro homini pratichi del paese”. D'altra parte qui sul Po abitavano dei navaroli ducali, di provata esperienza, che conoscevano a menadito i meandri del fiume, le secche e le profondità.

Invece a maggio scrive al capitano della cittadella di Piacenza che faccia far subito “duy porti boni et fidati et grandi, cum le navi et piatti” cioè ponte di barche sul Po con anche un traghetto, che possa trasportare tra le due sponde i cavalli dei soldati “per poter passare cum più cavalli possibili”.

Nel 1453 scrive al Podestà ed al capitano delle truppe cittadine che “il nostro officiale del Porto de Po de quella nostra citade” ha avuto la casa di Piacenza devastata e ordina gli sia ridata in ordine. Vuole che a lui ed alla dimora si debba “fornire delle masserizie et altre cose necessarie” perché vi abiti comodamente.

Nel novembre del 1453 chiede che le munizioni della cittadella e del castello di Piacenza siano inviate a Cremona “mandare ad Cremona... tutta quella polvere da bombarda (cannoncino) et da schiopeti (fucili) che se retrova dentro alla nostra cittadella et castello” ed ovviamente per nave via fiume Po.

Sempre in quel periodo ordina che “li homini et comune de Sancto Himento et Calendasco” siano obbligati ad alloggiare uomini d'armi e cavalli del condottiero “Bartholomeo Colleoni”, anche se la gente non era propriamente d'accordo. Alloggiare soldati e cavalli significava dar foraggio, vino e cibo, ovviamente tutto prodotto, come diciamo oggi, "a chilometro zero".

Nel 1454 invia lettera a Benedetto della Corte, capitano della Cittadella in città, perché non faccia “impichare Mattheo da Pavia” ma solamente lo “fazi mettere in un fondo de torre, in modo non possa far fuga”. Usava e molto, per i prigionieri, tenerli nei fondi delle torri, da dove pochissimi come sappiamo uscivano vivi anche perché al buio, all'umido, sorretti solo da poco cibo ed acqua.

Ancora nel 1354 con una missiva ordina al capitano che metta nel fondo di una torre un certo “Polo da Cossena... come homo degno de morte” ma però “non mettedoli le mani addosso”. Questi “fondi di torre” immaginiamo quindi siano riferiti, per quel che riguarda la città, ad ognuna delle quattro torri della Cittadella.

Sempre in quell'anno ordina che “madonna abbatissa et monaghe da Sancta Chiara del'ordine de Sancto Francesco” qui a Piacenza non sian più molestate “da gli alogiati forestieri” che abitano in un casamento nel cortile e che disturbano continuamente. E quindi perché non gli sia fatto “tal desconzio et Damno” siano allontanati assolutamente senza aspettare.

Ma anche per i frati francescani in piazza grande a Piacenza, lo Sforza richiede che siano allontanati “alcuni soldati quali alozano nel suo convento” anche perché i frati “non ponno far fare un organo como haveano hordinato”, il capitano ha l'ordine chiaro : “providerite de alozamento (alloggiamento) altrove”.

Una lettera del 1451 ci informa che Filippo Confalonieri gli aveva “imprestato... duxento sesanta stara de frumento” tenute in Borgonovo, il duca vuole che “subito faci carichare dicto frumento suso carre o suso bestie” (su carri o buoi) per esser portati fino al fiume Po “dove se dovrà imbarcare” per Casalmaggiore.

Nel 1450 il duca impone che il conte della Val Tidone “Georgio de Arcellis” rimetta munizione nella rocca di Borgonovo “la rocha de Borgonovo è rimasta vota... non gli si trova una arma longa uno dito ne da offesa ne da diffesa”. E senza indugio ordina che “voliate provvidere che gli sian reposte et rimettute” e chiede “bombardelle et schiopetti, fatilo aduncha”.

Nel settembre del 1450 una lettera del duca è per “comunitati et hominibus Castriarquati” affinchè si cessino ruberie di uva e frutta “continuamente facte infinite rubarie in le uge et in li altri fructi vostri” (le uge son le uve). Si faccia tutto il possibile perché non accada più “faza ogni reparo et provisione expediente, aciochè le dicte robarie cessano et le ughe non siano tolte”.

Nel 1454 risponde ad una supplica degli anziani di Piacenza che si lamentano per delle ruberie stradali: scrive il duca per far cessare gli “eccessi che se commettano in quello nostro territorio Piasentino della Strata Romea” battuta “dalli robbatori”. 

Ordina che tutti coloro dediti a rubare tra la Romea e Fombio, siano tolti da quel luogo “nuy li facemo levare tutti”, era ora di dir basta alle "robberie et violentie che se fanno at le strate publiche".

Questo un breve estratto dagli archivi del tempo, che ci mostra come per ogni cosa ci si rivolgesse al parere e ordine di Francesco Sforza, che deliberava anche su questioni non sempre di carattere politico o militare.

Entrare nelle pieghe della nostra storia locale è sempre la scoperta di qualcosa di inatteso e inaspettato, d'altra parte un mondo molto “terra terra” come forse non immaginavamo.

una missiva ducale del 1452-2

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