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Zamagni: «L’Italia rischia il declino se non recupera le virtù civili»

La Lectio magistralis del Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali ospite della Banca di Piacenza in occasione dei 500 anni di Santa Maria di Campagna

«Oggi dobbiamo tornare allo spirito della civitas. Negli ultimi 40 anni le cose non stanno andando bene. Vanno allora recuperate le virtù civili per applicarle al contesto attuale, diversamente il rischio di un ulteriore declino è serio». Il professor Stefano Zamagni, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali non ha usato giri di parole per esprimere la sua preoccupazione per la situazione in cui versa il nostro Paese, nel corso della apprezzata Lectio magistralis (“Perché ritornare al modello della civitas, la Città delle anime”) che ha tenuto nella Biblioteca del Convento di Santa Maria di Campagna. Un appuntamento rientrante nel ricchissimo programma (114 eventi nell’arco di 12 mesi) messo in campo dalla Comunità francescana e dalla Banca di Piacenza per celebrare i 500 anni dalla posa della prima pietra della Basilica mariana.

Formidabile l’exursus storico-economico compiuto dal prof. Zamagni, che è partito con l’individuare nell’Alto Medioevo (1150-1260) il periodo nel quale nascono un gran numero di cattedrali e chiese «con Santa Maria di Campagna che è l’ultimo anello di questa catena, perché dopo il 1500 le cose cambiano». Tra il 1150 e il 1300 nei Paesi dell’area mediterranea si assiste ad un aumento delle temperature che favorisce la produttività agricola, attività allora prevalente, e consente la formazione di quel sovrappiù con il quale si dà vita alle cattedrali. Nello stesso periodo nascono le Università (Bologna, poi Salerno, Pavia) e gli Ordini religiosi («i Benedettini Cistercensi - ha spiegato l’economista - furono importantissimi: inventarono la rotazione dei campi rivoluzionando il settore»). Sempre riferendosi al secolo da cui ha preso le mosse, il prof. Zamagni ha ricordato le due fondamentali figure di san Francesco («che ha conservato la mentalità imprenditoriale anche dopo la conversione; dal francescanesimo è derivata una certa organizzazione della società che ha portato all’economia di mercato») e san Tommaso d’Aquino («che ha dato un contributo fondamentale alla filosofia e alla teologia»).

«E’ in questo contesto - ha rimarcato l’oratore - che nasce, in Italia (che poi l’ha donato al mondo) il modello la civiltà cittadina. Già Cicerone aveva distinto la civitas, la città delle anime, dall’urbs, la città delle pietre. Bisogna decidere da che parte si sta. Il modello di civiltà cittadina è un’organizzazione che mira al bene comune per raggiungere la prosperità (che combatte la miseria) partendo dalla città delle anime». Ma che differenza c’è tra civitas e urbs? La prima è un luogo di vita, l’altra uno spazio. «E’ la stessa differenza che c’è tra una banca di territorio e una banca locale, come è la Banca di Piacenza - ha esemplificato il prof. Zamagni -: la prima fa riferimento all’urbs, al luogo, la seconda ha a cuore lo sviluppo del luogo, ecco la civitas, dov’è insediata». Nella civitas si sviluppano virtù civili che vanno a determinare un governo di tipo democratico, dove coesistono fiducia reciproca, sussidiarietà, fraternità e spirito cooperativo. «Senza un legame di fiducia non può esserci sviluppo - ha proseguito il prof. Zamagni - che è perseguito solo da chi ama la libertà. La civitas deve anche investire in bellezza, che san Tommaso definiva “lo splendore della verità”».

Ma alla fine del 1500 le cose cambiano: il nostro Paese perde quota, mentre le altre nazioni europee mettono a frutto tutto quello che avevano imparato da noi, facendoci uscire di scena. «Da allora è sempre prevalso, in Italia, lo spirito di fazione è non siamo più riusciti a trovare armonia», ha osservato l’illustre ospite, che ha invitato, come detto all’inizio, a tornare allo spirito della civitas ed evidenziato uno dei nostri punti di debolezza: il declino del tasso d’imprenditorialità («nel periodo che abbiamo esaminato era il contrario») e la confusione che si fa tra imprenditore e manager. L’economista ha concluso il suo intervento sostenendo che «tutti devono lavorare» (con una diretta censura al reddito di cittadinanza) e che si deve puntare alla «prosperità inclusiva». Parlando di Piacenza, l’ha definita «una bella realtà», ha fatto i complimenti per l’iniziativa dei 500 anni e ha invitato i piacentini a tenersi stretta la banca locale. «Del resto - ha scherzato il prof. Zamagni - voi siete fortunati: avete Romagnosi (Gian Domenico) che parlava di pubblica felicità». Coppelli, in ricordo della serata, ha consegnato all’illustre ospite la Medaglia della Banca di Piacenza.

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