rotate-mobile
Piacenza, una storia per volta

Il nostro passato

Piacenza, una storia per volta

A cura di Giuseppe Romagnoli

Agostino Marchesotti, “Mâccӓri al savattein”

Con questo pseudonimo il poeta manifestò un affetto palese verso la nostra città alla fine dell'Ottocento

Proseguiamo la carrellata di alcuni dei nostri poeti dialettali (dopo il Capra) con Agostino Marchesotti, un vero e proprio cronista poetico della seconda metà dell’Ottocento piacentino che assunse umilmente lo pseudonimo di “Mâccӓri al savattein”, nome fittizio che sollecitò poi il Faustini (di cui tratteremo) ad assumere, con altrettanta umiltà, quello di “al garzon ad Mâccӓri”. Nelle poesie del Marchesotti traspare una viva partecipazione ed un affetto palese verso la nostra città fine Ottocento.

A parere dei critici (ma è ben noto quanto l’aleatorietà dei loro giudizi sia stata sovente fallace, con corsi e ricorsi storici spesso stravolgenti…) il suo valore artistico è piuttosto relativo e solo poche volte il poeta riesce a sollevarsi dalla pura cronaca e ad offrirci qualche quadretto felice e qualche macchietta viva. E’, e rimane - sottolineano sempre i critici - un poeta popolaresco, anzi “popolare” nel vero senso del termine. Ma questa opinione, utilizzando questo vocabolo in una accezione negativa, non mi trova per nulla d’accordo in quanto ben sono consapevole, tramite le mie ricerche sfociate nei due volumi della “Piacenza popolaresca delle vecchie borgate” ed in quello dedicate alle “vecchie osterie di Piacenza”, del valore sociologico e anche poetico di ciò che è “humus storico-popolare”, un’importante ruolo che (senza permettermi alcun irriverente paragone!) lo stesso Manzoni ha trasfuso nel suo straordinario romanzo che ha per protagonisti gli umili, seppur “verosimilmente” tratteggiati.

Comunque la centralità dell’opera di Marchesotti è Piacenza di cui nell’ode “Piasintein” (1888) traccia un lungo elogio della città, dei suoi abitanti, dei personaggi più illustri, analizzando anche la loro caratteristica psicologica, condividendo appieno, anche una loro prerogativa negativa come hanno sottolineato il Capra e poi il Faustini.

Vanta ad esempio la bellezza e la gentilezza delle donne piacentine:“ ma par Diana i enn bell donn, bein furmà e dritt ad fian, disinvolt, curtès e franc”, ovvero “belle donne ben formate e dritte di fianchi, disinvolte, cortesi e franche”; ma esalta anche i prodotti caratteristici della nostra terra, come i vini generosi: “sert i spuman cmè ill gazzus”, ovvero “alcuni spumeggiano come le gazzose (prerogativa già allora dei nostri rossi), ma anche “l’uga da balanza cla manduma fein in Franza”, ovvero l’uva da tavola importata in Francia, compresa quella appassita, per cui la nostra provincia era ben nota ed apprezzata.

In questa carrellata non potevano mancare i salumi: “al salam c’as fa in famiglia l’è una vera maraviglia e al numblei e la bundiola e ad muntagna la ribiola?” Ossia il salame che si fa in famiglia è una vera meraviglia e il lombo e la bondiola (coppa) e la robiola di montagna…

Ma non mancano, ricordavamo, le annotazioni negative. “sum ad natura un brisein fredda…c’na sum miga tant indrè cmè sertoin a vann adrè, ovvero “siamo di natura un po’ fredda.. ma non siamo certo ignoranti come certuni vanno dicendo”.

Altro tema che lo unisce soprattutto al Faustini è quello dedicato alle feste per la Madonna d’Agosto anche se quelle del Marchesotti sono poesie che lui stesso reputa un po’ vacue, perché nel suo poemetto “Il fest d’Agust dal ’92 a Piasȇinza” dice che sono “una longa tiritera scritta apposta par la fera dla Madonna cma l’as ciamma di spettacul col programma”, ovvero “una lunga tiritera scritta apposta perla fiera come si chiama, della Madonna, con il programma degli spettacoli.

Anche il Capra ne scrisse ma purtroppo questa composizione di cui si conosce il titolo è andata perduta. In particolare il Marchesotti nella sua poesia si rammarica che la tradizione dei “macchinoni” sia ormai in declino. Scriveva: “Dèss con la scusa ch’lè la roba antuga, i sior modèran, n’ja veulan miga. J’enn tutt usanz da lassà andà, quest a l’è ‘l secol dill novità”. I modernisti lo consideravano ormai un effimero relitto della immaginazione folcloristica alle soglie del XX° secolo. Così l’ultima apparizione risale al 15 agosto del 1909.

La tradizione dei fuochi artificiali nelle piazze e l’incendio dei macchinoni raffiguranti soggetti architettonici o mitologici aveva origini antiche. In diverse grandi città italiane la grandezza e la potenza delle famiglie regnanti veniva dimostrata offrendo al popolo festeggiamenti al culmine dei quali il “macchinone” veniva appunto arso tra il giubilo dei convenuti nelle piazze. Si citano disegni preparatori addirittura di Michelangelo, Alberti, Brunelleschi; nel ‘600 trovarono nel Bernini un artefice di insuperata creazione immaginifica e ingegnosità d’estro barocco.

A Piacenza, al tempo dei Farnese si organizzavano sfilate di cavalieri e soldati che partendo da Palazzo Farnese passavano sotto ad archi festonati fino a giungere in Piazza Cavalli e quindi si dava il via ai festeggiamenti ed agli spettacoli che culminavano poi con i botti e l’incendio dei “macchinoni”.

Le macchine pirotecniche erano composte di strutture in legname, sovrastrutture di cartapesta stuccata e colorata ed ornamentazioni di notevole livello figurativo e scenico, eseguite da valenti pittori e decoratori. Raffiguravano celebri architetture, famosi complessi culturali, monumenti, palazzi, ville, padiglioni, chioschi, fontane, ponti ed altro. E la prossima volta ci attende il Faustini…

Agostino Marchesotti, “Mâccӓri al savattein”

IlPiacenza è in caricamento