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Venerdì, 26 Aprile 2024
Salute e medicina on line

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A cura di dottoressa Rosanna Cesena

Il 21 settembre si celebra la Giornata Mondiale della Malattia di Alzheimer

La Giornata Mondiale dell’Alzheimer, istituita nel 1994 dalla Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dall’Alzheimer’s Disease International (ADI), si celebra ogni anno il 21 Settembre, nell’intento di creare una coscienza pubblica sui gravi problemi provocati da questa patologia che in Italia, registra 720mila casi (su oltre un milione e duecentomila casi di demenza) e circa 40 milioni nel mondo. Numeri che l’Organizzazione Mondiale della Sanità, stima in crescita.

L’Alzheimer è una malattia neurodegenerativa che si caratterizza per il progressivo decadimento delle funzioni cognitive; venne osservata per la prima volta nel 1906 dal medico neuropatologo e psichiatra tedesco Aloysius Alzheimer che all’esame autoptico evidenziò nel cervello di una persona di 51 anni, la presenza di agglomerati, poi definiti placche amiloidi e fasci di fibre aggrovigliate (gomitoli neuro fibrillari).

Caratteristica dei pazienti colpiti da questa malattia è la perdita di connessioni tra le cellule nervose, principalmente attribuita alla proteina beta amiloide che si deposita sui neuroni. La malattia è accompagnata da una forte diminuzione di acetilcolina nel cervello, un neurotrasmettitore fondamentale per la comunicazione tra neuroni, quindi per la memoria ed ogni facoltà intellettiva. A seguito di queste modificazioni cerebrali è impossibile per il tessuto nervoso trasmettere gli impulsi e il cervello si atrofizza progressivamente.

La malattia inizia a manifestarsi con problemi di memoria, disorientamento, confusione, difficoltà nel portare a termine gli impegni quotidiani, nel parlare, nello scrivere e con variazioni del comportamento: situazioni depressive, apatia, irritabilità.

PREVENZIONE

In un caso su tre l’Alzheimer si può prevenire, lo sostiene un rapporto pubblicato sulla autorevole rivista scientifica “The Lancet”.

Il 14 maggio 2019, l’OMS ha pubblicato le linee guida “Risk reduction of cognitive decline and dementia” le quali pongono l’attenzione sul concetto di prevenzione della malattia, sostenendo come l’attività fisica e l’adozione di uno stile di vita sano, rappresentino importanti strategie per evitare il rischio di decadimento cognitivo nella popolazione generale.

Gill Livingston, psichiatra specializzata sulle demenze presso l’University College London, ha analizzato, con i colleghi, una ampia letteratura sul tema e sviluppato un modello che mostra come i diversi stili di vita adottati a varie età possano ridurre il rischio di deterioramento cognitivo negli anziani.

I fattori preventivi individuati sono: una maggiore istruzione giovanile, l’esercizio fisico, una vita socialmente attiva, eliminare il fumo, ridurre il consumo di alcol, contrastare la perdita di udito. Ciascuno di questi accorgimenti può ritardare o prevenire l’insorgenza di demenza senile.

I fattori di rischio, condizioni che possono favorire, ma non necessariamente causare la malattia e sono: la familiarità, il diabete, la depressione, l’obesità, l’ipertensione e lo stress. Esistono anche fattori ambientali quali traumi cranici o l’esposizione a sostanze tossiche (alluminio, idrocarburi aromatici). Studi di ricerca scientifica dimostrano una correlazione tra l’esposizione all’inquinamento atmosferico (ossidi di azoto, polveri sottili, pesticidi) e la frequenza di demenze. Le polveri fini ed ultrafini possono passare dalle narici lungo i percorsi neurali e per le loro minime dimensioni sono in grado di attraversare la barriera emato-encefalica, provocando infiammazione dei neuroni, stress ossidativo e causare o accelerare la spirale di malattie degenerative come Alzheimer e Parkinson.

CAUSE GENETICHE

La forma ad esordio precoce colpisce le persone tra i 30 e 60 anni, mentre quella ad insorgenza tardiva o episodica compare oltre i 65 anni.

Il 60% delle forme ad esordio precoce sono denominate familiari perchè la malattia si manifesta in due o più persone appartenenti allo stesso nucleo familiare ed il 13% di esse è causato dalla presenza di mutazioni genetiche trasmesse con modalità autosomica dominante. Le mutazioni riguardano i geni: presenilina-1 (PSN-1), presenilina -2 (PSM-2) e la proteina precursore di beta amiloide (APP).

In età più avanzata è stato identificato il gene APOE, che si trova localizzato sul cromosoma19 ed una variante l’APOE-4, un importante fattore di rischio genetico per la forma sporadica, di tarda insorgenza, della malattia di Alzheimer.

 E’ possibile verificare la presenza e determinare il proprio APOE attraverso un prelievo di sangue. Queste analisi devono essere effettuate all’internodi un percorso conoscitivo strutturato detto consulenza genetica.

Ai fini diagnostici, è possibile osservare le placche che caratterizzano la malattia tramite tecniche di imaging del cervello. La PET (Tomografia ad emissione di positroni) cerebrale con Fluorodesossiglucosio (FDG-Pet), tecnica di neuro immagini funzionali, permette di evidenziare l’attività metabolica cerebrale ed è in grado di rivelare se il deficit cognitivo sia dovuto alla malattia di Alzheimer.

PROSPETTIVE TERAPEUTICHE

L’anticorpo umano monoclonale IgG1 Aducanumab prodotto dalla Azienda Biogen avrebbe il ruolo di sequestrare e distruggere le beta-amiloidi, riducendo i danni cerebrali associati e permettere di incidere sui meccanismi della patologia. Il trattamento con Aducanumab dovrebbe essere rivolto ai pazienti che si trovano nella fase di declino cognitivo lieve o demenza lieve.

Negli Stati Uniti, la FDA (Food and Drug Administration, Agenzia Americana del Farmaco), ha approvato, di recente (giugno 2021) questo farmaco, che potrà essere somministrato nelle fasi precoci della malattia e rallentare il declino cognitivo. Questo tipo di approvazione della FDA prevede la valutazione dell’effetto dell’Aducanumab su un end point surrogato (riduzione delle placche beta-amiloidi a livello cerebrale) e la conduzione di una nuova sperimentazione clinica per valutare i possibili benefici del farmaco.

La casa farmaceutica dovrà quindi condurre uno studio clinico di fase 4, successivo alla approvazione, per stabilire se il farmaco sia in grado di rallentare o meno il declino cognitivo.

La terapia consiste in una iniezione al mese per via endovenosa che contribuirebbe a rallentare il declino cognitivo dei pazienti che si trovano allo stadio iniziale della malattia. Il farmaco ha potenziali effetti collaterali come microemorragie cerebrali e chi lo assume dovrà sottoporsi a risonanze magnetiche e documentare la presenza della proteina beta amiloide. Questo tipo di approvazione della FDA appartiene alla categoria delle approvazioni condizionate.

A EMA (Agenzia Europea per i Medicinali) che aveva espresso parere negativo è stato chiesto il riesame del dossier.

Il 21 settembre si celebra la Giornata Mondiale della Malattia di Alzheimer

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