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Venerdì, 26 Aprile 2024
Cronaca

Dall'inferno della Nigeria ai marciapiedi di Piacenza ridotte a schiave: al via il processo

Iniziato il processo per riduzione in schiavitù, tratta di esseri umani, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione nei confronti di quattro nigeriani. Sei le vittime, tre parti civili tra cui il Comune di Piacenza. Le indagini erano state coordinate dalla DDA di Bologna

E’ durata più di cinque ore la prima udienza in corte d’Assise che vede imputati quattro nigeriani (due uomini e due donne) accusati a vario titolo e in concorso di riduzione in schiavitù, tratta di esseri umani, acquisto e alienazioni di schiavi, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione. Si tratta di Idlaghe Meshasch (difeso dall’avvocato Alessandro Righi), Ouantia Katsouli Feith (avvocati Federico Fischer e Marios G. Chatzivassiliou), Ojo Victoria (avvocato Stefano Germini) e Omorodion Godspower (al momento irreperibile e difeso dall’avvocato Fabiola De Ronzo). In aula erano presenti Ojo Victoria e Idlaghe Meshasch (quest’ultimo è anche accusato di violenza sessuale nei confronti di una delle sei vittime di tratta). L’udienza si è svolta a Piacenza Expo nella mattina del 15 gennaio. Ha presieduto il giudice Giananadrea Bussi a latere Laura Pietrasanta, con loro sei giudici popolari. Le indagini della polizia erano state coordinate dal pm della Direzione distrettuale antimafia presso il tribunale di Bologna (DDA), Roberto Ceroni. Sono sei le parti offese di cui due si sono costituite parte civile con l’avvocato Sara Stragliati. Anche  il Comune di Piacenza si è costituito parte civile con l’avvocato Elena Vezzulli.

Pm Roberto Ceroni DDA di Bologna nigeriane-2Sono sei le giovani che, secondo l’accusa, sono state ridotte in schiavitù e costrette a prostituirsi nella zona della Caorsana a Piacenza, intercettate e salvate poi dalle operatrici del progetto Oltre la Strada finanziato da Palazzo Mercanti. I reati contestati sarebbero stati compiuti in un arco temporale che va dal 2014 al 2017, in un caso una era ancora minorenne. «In concorso morale e materiale tra loro gli imputati – si legge nel rinvio a giudizio – e con altri soggetti, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, al fine di trarne profitto, promuovevano, organizzavano, dirigevano, finanziavano il reclutamento e l’introduzione illegale nel territorio italiano di ragazze nigeriane, offrendo loro ospitalità, al fine di indurle, mediante minaccia, inganno e approfittandosi della loro situazione di vulnerabilità, alla prostituzione, sottoponendole nel tragitto dalla Nigeria all’Italia, ad un trattamento inumano e degradante». Le giovani venivano reclutate nel loro Paese, sottoposte a riti juju e fatte arrivare in Libia e poi via mare in Italia dove iniziava un altro calvario. A Piacenza le giovani erano state fatte alloggiare in due appartamenti in via Beverora e via Boselli dove pagavano l’affitto e dove venivano controllate e derubate dei guadagni: dovevano ripagare il debito contratto alla partenza, un debito impossibile da estinguere. In alcuni casi le giovani dovevano anche pagarsi alla madàm la piazzola dove si vendevano.

Le indagini (sfociate poi in due operazioni Little Free Bear I e II) erano iniziate nel mese dell'agosto 2017 sotto l'egida della avvocati della difesa Stefano Gelmini, Alessandro Righi, Federico Fischer e Marios G. Chatzivassiliou-2Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Bologna, Direzione Distrettuale Antimafia e coordinate dal sostituto procuratore Roberto Ceroni e si erano avvalse dalla fondamentale collaborazione sul territorio piacentino e straniero della Sezione Criminalità Organizzata e Straniera della Squadra Mobile all’epoca guidata da Serena Pieri, del Servizio di Cooperazione Internazionale di Polizia, del Centro di Cooperazione di Thorl Maglern (in questura il dirigente Giulio Meddi), del Servizio S.I.Re.N.E., della BUNDESKRIMINALAMT tedesca guidata dal brigadier general Gerald Tatzgern e della polizia greca nonché, in ultimo, con l’ausilio della polizia inglese. Oltre agli arresti fatti a Piacenza all’epoca, altri erano avvenuti in Germania, Regno Unito e Grecia grazie alla collaborazione delle polizie locali e hanno dato esecuzione ai mandati di arresto europeo. L’indagine, enorme, è composta anche da intercettazioni telefoniche tradizionali con localizzazione di precisione in tempo reale nonché di intercettazioni ambientali con Gps e dell'analisi massiva di tabulati di traffico storico telefonico di oltre 280mila tracce audio con sviluppo di circa 14mila intestatari telefonici.

elena vezzulli sara stragliati avvocati nigeriane-2In aula ha parlato Martina Colledani, psicologa e psicoterapeuta del Progetto Oltre La Strada. Ha raccontato dei colloqui avuti con le ragazze terrorizzate dalle minacce e dal rito Juju che le obbligava all’obbedienza. Tutte avevano molta paura per la propria vita e per quella dei famigliari rimasti in Nigeria a loro volta, veniva fatto loro credere, controllati da mandatari delle madàm. Una di queste vittime era anche incinta e in più occasioni le erano state praticate iniezioni per farla abortire, e così è successo. E’ emerso un quadro di violenze, umiliazioni, privazioni continuate e quotidiane messe in atto dalle madàm e dagli uomini, loro complici. Sono state anche ascoltate due donne che abitavano nel condominio di via Boselli. Vari gli interventi delle forze dell’ordine nell’appartamento di Ojo Victoria.

RITO JUJU – E’ un giuramento di obbedienza che la vittima non dovrà mai tradire pena la morte o la pazzia sua o dei suoi famigliari che rimarranno in Nigeria. Un rito quello juju che viene utilizzato nei casi di tratta e che serve per soggiogare le ragazze che si impegnano a non scappare, a non rivelare mai i nomi delle persone che le porteranno via da casa, a pagare il debito che contraggono nel momento in cui partono. Una cifra esorbitante che va dai 20 ai 50mila euro e che le stesse ragazze non comprendono, ossia non si rendono conto di quanto siano effettivamente quei soldi. Un rito che suggella il patto e la successiva partenza delle ragazze, spesso avallata dalle famiglie d’origine. Le giovani vengono portate in un luogo sacro dove si svolgerà l’incantesimo e sarà suggellato il patto di obbedienza con la promessa, falsa, di un lavoro onesto all'estero. Vengono tagliate con rasoi o lame in modo che esca sangue, sulle ferite il celebrante strofina a volte fuliggine in modo tale che lo spirito invocato entri nella ragazza, successivamente il sangue umano viene mischiato con peli, capelli, sangue e pezzi di pollo e infine bevuto dalla vittima. I feticci saranno poi conservati: in caso di disobbeddienza saranno utilizzati per riti voodoo contro la traditrice e la sua famiglia.

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