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In tribunale

Furbetti del cartellino, chiesta la condanna per sette ex dipendenti comunali

Si avvia alle battute finali il processo svolto con rito ordinario che vede imputati sette ex dipendenti comunali (tranne uno che è ancora in servizio) accusati di svariati reati. Le indagini risalgono al 2017

Si avvia alle battute finali il processo svolto con rito ordinario che vede imputati sette ex dipendenti comunali (tranne uno che è ancora in servizio) accusati - a vario titolo e con posizioni differenti - di truffa e peculato d'uso. Stiamo parlando dello scandalo che travolse l'Amministrazione Comunale nel giugno del 2017 (tutto era partito a fine 2016) e frutto delle indagini della guardia di finanza e polizia locale coordinati dal sostituto procuratore Antonio Colonna. Furono una cinquantina gli indagati, poi nel tempo molti scelsero di patteggiare, chiesero la messa alla prova o il rito abbreviato, altre posizioni furono invece archiviate. Sette invece preferirono andare a dibattimento certi di dimostrare la loro innocenza. Palazzo Mercanti si costituì subito parte civile con l’avvocato Elena Vezzulli. Utilizzando telecamere nascoste e pedinamenti giornalieri, gli investigatori avevano scoperto decine di dipendenti comunali infedeli. L’udienza del 28 marzo è stata interamente dedicata alla requisitoria del pm e alle richieste della parte civile, poi la parola passerà alle difese con gli avvocati: Franco Livera, Giovanni Barbieri, Luigi Salice e Romina Cattivelli, Massimo Brigati, Stefano Marchesi e Giuseppe Accordino. Infine il collegio giudicante presieduto da Stefano Brusati (a latere Ivan Borasi e Anna Freschi) si riunirà in camera di consiglio.

«L’indagine si inserisce in un contesto storico particolare nel quale ci furono altri casi analoghi in Italia, le amministrazioni erano particolarmente attente nell’emanare direttive volte alla sensibilizzazione dei dipendenti circa le buone prassi e il periodo della Riforma Madia. Anche il Comune di Piacenza si era attivato – ha spiegato Colonna – inviando ai dipendenti una circolare che trattava del comportamento corretto da tenere e volta al contrasto dell’assenteismo e si invitava al rispetto degli orari etc. Non solo, ci furono anche dei corsi per informare i lavoratori circa il licenziamento disciplinare e in materia di legalità. Ciò accadeva poco prima dell’inizio delle indagini».

«L’impianto di queste – ha proseguito Colonna – si basa sui pedinamenti di pattuglie miste, sui video delle telecamere poste sopra i timbratori e del controllo incrociato con i dati dell’ufficio del personale verificando ogni cartellino e relative timbrature. Nonostante durarono solo tre mesi e non si aveva di certo a disposizione un esercito, gli accertamenti fecero registrare una moltitudine di condotte scorrette e una concezione molto personale dell’orario di lavoro». Colonna ha poi analizzato la condotta di ognuno fornendo dati, orari, vie, luoghi derivanti dai tanti pedinamenti degli inquirenti e di cui forniremo una panoramica.  A tutti di fatto viene contestato di aver timbrato nei rispettivi uffici (via Scalabrini, via Millo) e poi di essere uscito ciascuno a fare le proprie commissioni «senza autorizzazioni o permessi che – ha detto Colonna – se fossero stati chiesti o avessero stimbrato non ci sarebbe stato nessun problema, invece risultavano in attività lavorativa anche quando erano a spasso e talvolta con le auto di servizio, salvo poi - terminate le incombenze, tornare in ufficio - stimbrare e tornare a casa».

Secondo l’accusa c’è chi ha organizzato una festicciola in ufficio, chi ha timbrato per i colleghi che poi rimettevano in ordine, chi è uscito per comprare due mazzi di fiori e averli portati a casa. E poi ancora: chi andava a lavare l’auto e passava dalla mamma per un saluto. Poi chi timbrava per poi andare a fare un giro al mercato con la gente che l’aspettava allo sportello. Poi ci sono le soste ai bar (anche quattro volte in una mattina), pasticcerie, gastronomie, edicole con o senza le auto di servizio, ma anche sedute in palestra togliendo dalle vetture gli stemmi magnetici del Comune, visite mediche. Non solo poi ci sono i passaggi in lavanderia e dal fruttivendolo nonché visite in abitazioni private. In un caso si usò anche un gps per capire se chi aveva chiesto svariati giorni di permesso per curare l’anziana madre effettivamente ne usufruisse con diritto «ma – ha detto Colonna – non c’è una volta che questo accadde».

IMPUTATI E RICHIESTA PENA - Stefano Bacchetta un anno due mesi e 400 euro multa, Placido di Bella un anno e 400 euro multa, Donatella Manini 1 anni 3 mesi e 700 euro, Giancarlo Piccoli un anno e 400 euro, Marco Grossi  un anno 9 mesi e 700 euro, Gian Carla Grilli un anno 3 mesi 400 euro, Enrico Rebecchi un anno e 10 mesi e mille euro di multa.

RICHIESTE PARTE CIVILE –  «Per mesi la vicenda fu su tutti i mezzi di comunicazione di tutta Italia. Da allora l’onorabilità dei dipendenti comunali non è più stata recuperata. E a cascata ci furono ripercussioni sull’intero ambiente», ha spiegato Elena Vezzulli, avvocato di Palazzo Mercanti, prima di avanzare le richieste come parte civile che riportiamo di seguito. Dei sette solo Bacchetta è ancora in servizio (chieste 15 ore di lavoro a favore dell’ente), due sono in pensione mentre quattro sono stati licenziati con provvedimenti disciplinari e condanne della corte di Conti e del tribunale del Lavoro. Giancarlo Piccoli (in pensione) mille euro, Placido di Bella (in pensione) danno lieve indi nessun risarcimento, Donatella Manini 2500 euro, Maria Carla Grilli 10mila euro, Marco Grossi 5mila euro, Enrico Rebecchi 10mila euro e 2750 euro per i passaggi in Ztl. «Gli ultimi due – ha detto – tecnici con valutazioni altissime e con grandi capacità professionali, facevano parte, come altri che hanno scelto di essere giudicati con altri riti, dell’Ufficio Manutenzione che l’indagine azzerò provocando un grave danno in termini di servizi».

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