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Economia

«Agricoltura e zootecnia in ginocchio: a rischio semina e produzione 2022»

Il grido d’allarme viene dalla Cia-Agricoltori Italiani in merito ai rincari vertiginosi che stanno impattando, pesantemente, sui costi di produzione di milioni di imprese agricole nazionali, spinte al limite della sostenibilità e, quindi, a rischio interruzione attività

I prezzi di concimi, gasolio ed energia, ma anche di plastiche per il confezionamento, sono arrivati alle stelle, raddoppiati e portati anche oltre il 50%. Cavalcando la crisi economica per l’emergenza sanitaria, si sta speculando sulle materie prime, mettendo in seria difficoltà la produzione agricola e zootecnica di un intero Paese, quando in realtà è il motore agroalimentare su cui si è sostenuta l’Italia per quasi due anni di pandemia. Il grido d’allarme viene dalla Cia-Agricoltori Italiani in merito ai rincari vertiginosi che stanno impattando, pesantemente, sui costi di produzione di milioni di imprese agricole nazionali, spinte al limite della sostenibilità e, quindi, a rischio interruzione attività.

«Anche Piacenza - ribadisce il presidente Franco Boeri - non c’è settore al riparo. La semina e la pre-semina di grano e, quindi, la produzione 2021-2022 è in forte discussione per molte aziende perché questo consistente aumento dei prezzi della materia prima, non arriverà mai a pareggiare quello dei costi di produzione e nello specifico di concimi come il nitrato ammonico, salito a +30% (da 46 euro/qt a 75 euro/qt) e dell’urea aumentato del 40% (da 55 euro/qt a 88 euro/qt)».

«Sostanze che sono, ovviamente, altrettanto importanti per la preparazione di gran parte dei terreni agricoli e per molte altre colture di stagione, fino a incidere su quantità e qualità del prodotto finale. Stesso discorso può farsi per il comparto zootecnico e allevatoriale. I rialzi su mais (+50%) e soia (+80%) rendono decisamente poco remunerativa la produzione di carne di qualità controllata, soprattutto dove ci sono contratti di filiera con le principali catene della Grande distribuzione. E ancora - spiega - i rincari fino al 50% su gasolio, energia e plastiche, oltre quelli sugli alimenti per gli animali, mettono ko gli allevatori di vacche da latte per i quali è già una sfida, la conquista di un aumento di almeno 5 cent al litro sul prezzo del latte». «I pochi allevatori che sono rimasti in montagna, presidio indispensabile per il territorio e che sopravvivono grazie alla multifunzionalità, rischiano di chiudere e così si perderebbe un valore etico-sociale fondamentale. Si parla tanto di sostenibilità, ma questo sostantivo deve valere anche per il reddito, non solo per l’ambiente. In più- sostiene Boeri- non possiamo nascondere che si tratta anche di un momento di forte speculazione e pertanto bisogna intervenire, come tutte le organizzazioni di settore sostengono da tempo, lungo la catena del valore e della distribuzione».

«Va reso democratico e trasparente il processo di redistribuzione del valore che paga il consumatore finale; gli agricoltori come categoria hanno poco peso politico-sociale nonostante siano definiti “settore primario” ed ancora di più oggi non hanno alcuna garanzia di reddito. Per questo - conclude Boeri - il potere politico e le istituzioni devono vigilare su quanto sta accadendo  per non far perdere seriamente per la competitività e la professionalità delle imprese italiane che generano prodotti di alta qualità che tutto il mondo ci invidia. Pensiamo per la nostra provincia al pomodoro, ai formaggi, all’aglio, ma anche a tutti i cereali, alle produzioni di nicchia della montagna, ai nostri splendidi salumi Dop: si rischia veramente di perdere, ucciso dalla globalizzazione e dallo strapotere di economie emergenti, un patrimonio di saperi e sapori, di cultura e quindi la priorità rappresentata dal reddito». «Per questo  - aggiunge - serve un vero e proprio “patto di sistema” che incentivi aggregazione, promozione unitaria, sviluppo dell’economia contrattuale, contrasto alle pratiche commerciali sleali e operatività piena dell’interprofessione compresa ovviamente la G. D.O ed i consumatori che sono poi l’anello debole della catena unitamente agli agricoltori. Altrimenti ci si può dimenticare il raggiungimento di standard di sostenibilità degni del Green Deal Ue».

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