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Venerdì, 26 Aprile 2024
Economia

Le sfide per alimentare il pianeta e tutelare l’ambiente devono coinvolgere tutti

I docenti Giuseppe Bertoni ed Erminio Trevisi dell’Università Cattolica intervengono su dieta corretta ed emissioni di gas serra

Prendiamo spunto dall’articolo di Daniela Fassini, apparso su Avvenire del 15 aprile 2021 e che, nella prospettiva della giornata della terra del 22 aprile, richiama ai rapporti dieta-salute-ambiente. In particolare, fa riferimento al modello della doppia piramide: la prima è semplicemente la piramide della dieta mediterranea che vede alla base – larga per l’elevato numero di porzioni - gli alimenti vegetali, con i legumi come fonti proteiche, dall’effetto positivo sulle malattie cardiovascolari; mentre all’apice vi sono pesce, uova, pollame e latticini (nel complesso, minor numero di porzioni di tutti gli alimenti di origine animale, soprattutto per carni rosse e insaccati). Sin qui nulla da ridire, è la dieta mediterranea, indubbiamente fra le più salutari e che, semmai, si conferma non essere vegetariana, ma mista. La seconda piramide, affiancata alla prima, riguarda gli effetti sul clima (in termini di CO2 emessa per produrre ciascun alimento), presenta la base in alto e la punta in basso ad indicare l’impatto ambientale degli alimenti inseriti nella prima piramide: ridotto per quelli vegetali (da cui la “punta” in basso) ed elevato per quelli animali (da cui la base ampia verso l’alto). La conclusione è semplice: gli alimenti vegetali sono salutari e salvaguardano l’ambiente, mentre gli alimenti di origine animale “danneggiano” la salute dell’uomo e quella dell’ambiente.

Purtroppo, questa narrazione non è nuova ed è molto popolare - anche perché supportata da diversi ricercatori - ma è vera solo in parte e presenta una visione strabica della realtà mondiale. Infatti:

  1. La doppia piramide è opinabile poiché si basa sull’impatto ambientale degli alimenti a parità di peso (basso per i vegetali e alto per gli animali) ma, come già ricordato, il numero di porzioni è di gran lunga inferiore nel caso dei prodotti animali (come indica la prima piramide, appunto!). Di qui un contributo complessivo ai gas serra non così diverso fra alimenti vegetali ed animali presenti nella dieta tipo corretta, consumata giornalmente dall’uomo. Pertanto, la seconda piramide diventerebbe in realtà una clessidra (la punta dei “vegetali” si allarga e la base degli “animali” si restringe);
  2. Secondo il modello, la mortalità umana sembrerebbe essere accentuata solo e comunque dagli alimenti di origine animale. Ciò senza alcuna attenzione alle più recenti acquisizioni (Mozaffarian, 2020) secondo cui sono anche gli eccessi di amidi raffinati e zucchero (cioè pane, pasta, riso, dolci vari ecc.), all’origine di diabete-obesità (prodromiche delle malattie cardiovascolari e del cancro). Inoltre, tale analisi concentra la sua attenzione sui Paesi “ricchi”, trascurando i drammatici effetti delle diete prettamente “vegetariane” – che molti vorrebbero estendere all’intera popolazione mondiale – e pressoché esclusive nei paesi in via di sviluppo (PVS). In tali paesi, rigide diete vegetariane causano malnutrizione, responsabile di danni fisici, mentali e mortalità soprattutto infantili. Siamo certi che questi problemi non tornerebbero anche da noi, con questa crociata contro i prodotti di origine animale? I dati scientifici odierni e le indagini storiche non lo escludono.

Ci sia poi consentito correggere una serie di imprecisioni che, rimbalzando di articolo in articolo, diventano apparenti verità (in realtà erronee o fakenews):

  1. anzitutto le emissioni di gas serra del sistema agro-alimentare, che sono spesso indicate pari al 30% del totale, ma secondo il World Resources Institute (WRI, 2018) sono circa il 14,5% (in analogia al report IPCC del 2019). Da notare che lo stesso WRI reputa il contributo degli animali di poco superiore al 50% della predetta quota del 14,5%, a conferma che gli alimenti animali consumati nel mondo incidono poco più dei vegetali (dunque, l’impatto ambientale risponde al modello clessidra e non a quello di piramide rovesciata);
  2. si dice che il 73% della terra emersa è utilizzata dall’uomo per sfamare 9 miliardi di persone. Di qui un dubbio: trattasi di un “lapsus freudiano”? Infatti, ora la popolazione mondiale è di 7,6 miliardi e la superficie agricola pari al 37% delle terre emerse (dati FAO). Si tratterebbe forse di un approccio in prospettiva che – come fa il report WRI del 2018 - prevede al 2050 la popolazione oltre i 9 miliardi e la necessità di occupazione della superficie terrestre, oggi ancora riservata a foreste, per produrre il cibo necessario (arrivando a quel 73% anzidetto). Se questa è l’ipotesi, manca però una precisazione: il WRI riferisce le stime al caso di mancato aumento della produttività. Ovvero senza una vasta intensificazione delle produzioni, che purtroppo corrisponde ai desiderata di quanti vorrebbero appunto colture sempre più estensive, ma dalle conseguenze nefaste per il pianeta;
  3. infine, l’affermazione nell’articolo: “il tema non è quello di criminalizzare un singolo cibo ma l’intero sistema” non è coerente con quanto affermato nel punto precedente dal WRI (2018), poiché appare evidente che ad essere criminalizzati sono gli allevamenti (e altre forme agricole) intensivi. Infatti, tale approccio non sa valutare la virtuosità di quanto fatto negli ultimi 80 anni in agricoltura nei Paesi sviluppati. Nella produzione di latte bovino, ma il concetto è analogo per le carni, nel 1944 servivano 3,6 Kg di CO2 per produrre un litro di latte, ma nel 2007 ne bastavano 1,3 Kg/l, proprio grazie alla intensificazione delle produzioni. Va anche sottolineato che questo è avvenuto migliorando tutti gli aspetti oggi così cari ai consumatori: benessere animale, sostenibilità complessiva agronomica ed ambientale, reddito delle imprese e, non meno importante, garanzia di disponibilità di cibo per evitare fame e malnutrizione (tutte le componenti della definizione FAO della sostenibilità).

Le considerazioni conclusive che possiamo trarre sono allora molto semplici: i) le sfide che ci troviamo innanzi sono tremende; ii) le conoscenze necessarie per vincerle sono “enciclopediche”, per cui sorprende che a parlarne siano solo medici, fisici, geologi, economisti, sociologi, finanzieri e siano spesso esclusi agronomi-veterinari-tecnologi alimentari che hanno sino ad ora garantito un aumento degli alimenti sulla base delle richieste della popolazione crescente; iii) assai più proficuo sarebbe quindi un approccio meno ideologico e assai più pragmatico (“draghianamente”) che veda coinvolti tutti gli attori competenti del complesso processo agroalimentare. Poi gli amministratori pubblici responsabili adotteranno scelte nell’ottica del bene comune; iiii) infine appare un poco velleitaria la sollecitazione al consumatore affinché “scelga con il portafoglio” i beni sostenibili, considerato che le informazioni circolanti sono per lo meno equivoche.

Giuseppe Bertoni, Emerito di Zootecnica Speciale e Presidente di Arna           

Erminio Trevisi, Professore Ordinario di Zootecnica Speciale

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