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Economia

«Tutelare una Dop è ben diverso dal proteggere i privilegi di chi ha già diritto a produrre»

Il direttore di Confagricoltura Piacenza, Marco Casagrande: «Sul mercato la domanda e l’offerta non dovrebbero essere regolamentate da pochi ma dovrebbero derivare dalle scelte dei consumatori»

«Le denominazioni Dop sono state istituite per garantire la tutela di alcuni prodotti legati ai territori e per la salvaguardia dei produttori che sono alla base di dette filiere. I Consorzi di tutela, a loro volta, dovrebbero garantire la difesa delle produzioni Dop che, in quanto riconosciute per la loro eccellenza distintiva, già di per sé dovrebbero trovare collocazione preferenziale sui mercati, spuntando prezzi interessanti». Lo ribadisce il direttore di Confagricoltura Piacenza, Marco Casagrande che prima di assumere tre anni fa questo incarico, ha maturato una duratura esperienza nel ruolo di manager di alcune delle più importanti aziende agro-alimentari italiane ed in particolare nel settore lattiero-caseario. 

«Va ricordato - dice - che la normativa comunitaria in origine non prevedeva l’applicazione di piani produttivi che sono stati introdotti dai Disciplinari delle produzioni Dop solo per consentire di gestire situazioni temporanee ed eccezionali. Tali interventi pertanto non possono né devono perdere la loro natura straordinaria ed emergenziale perché agendo forzatamente su domanda e offerta vanno ad eludere la libera concorrenza».

«Nel caso del Grana Padano in particolare ci troviamo di fronte ad una DOP che viene di fatto “subìta” da buona parte del sistema allevatoriale perché essendo l’asset principale del comparto influenza l’intero settore tramite politiche che mettono in discussione anche la libera concorrenza del mercato del latte interno. Tutti aspetti peraltro - ricorda il direttore - già rimarcati nel bollettino settimanale n.22 Anno XXVII del 12 giugno 2017, dell’Autorità Garante Della Concorrenza e Del Mercato».

«Il piano di regolazione dell’offerta  - dichiara - se applicato permanentemente è dunque contro la libera concorrenza in cui dovrebbe invece prevalere l’imprenditore più efficiente e che offre la qualità migliore e non quello che ha modo di mantenere una posizione di privilegio che gli consente, indirettamente, di incidere sull’offerta di prodotto esclusivamente per ottenerne un vantaggio in termini di prezzo. Lascia ancor più perplessi che possa avvenire questa limitazione dell’offerta non all’origine, controllando la materia prima di riferimento (la quantità di latte, come invece avviene nel Consorzio del Parmigiano Reggiano), ma solo sul trasformato e al contempo permettendo in parallelo la certificazione di quantitativi di latte più consistenti rispetto ai fabbisogni, così da poter avere un serbatoio di materia prima esuberante e tale da poter attivare politiche di prezzo discriminatorie nei confronti di allevatori che producono la stessa materia prima certificata per produrre Grana Padano e che pertanto non può essere considerata indifferenziata».

«Proprio perché  - prosegue - sul mercato libero dovrebbe prevalere l’imprenditore più efficiente e con un prodotto migliore, non si riesce a comprendere, come abbiamo più volte ribadito come professionale che tra i suoi compiti ha il dovere di sostenere al meglio il valore aggiunto del prodotto dei propri soci, come una serie di imprenditori con queste caratteristiche vengano tenuti forzosamente fuori dalla Dop, solo perché qualcuno ha deciso che solo gli appartenenti al mondo cooperativo o che comunque già conferiscono a produttori di Grana Padano possono contare su determinati vantaggi. E allo stesso modo si capisce perché i trasformatori di Grana Padano possano avere il privilegio di controllare la domanda in un mercato in cui tutti gli altri imprenditori sono costretti a concorrere ad armi pari».

«Certamente chi detiene il privilegio di conferire alla filiera, da un lato, e di avere titolarità per la trasformazione in Grana Padano, dall’altro, oggi riesce a spuntare prezzi più alti, ma in virtù di quale legge di mercato? Questo significa - spiega Casagrande - contenere le produzioni per tutelare rendite di posizione e dunque essere privilegiati e, non ultimo, non credere veramente nelle caratteristiche e nelle potenzialità del proprio prodotto. Sul mercato la domanda e l’offerta non dovrebbero essere regolamentate da pochi, ma dovrebbero derivare dalle scelte dei consumatori. Intervenire nella formazione dei prezzi non è certamente compito delle professionali che devono, invece, fare lobby per tutelare - come abbiamo ribadito - i diritti gli imprenditori agricoli e non è nemmeno compito dei Consorzi».

Non si capisce perché latte fresco, crescenza o altri prodotti debbano concorrere senza privilegi, mentre i produttori di Grana Padano, che già contano sul plusvalore di una Dop, possano usufruire di questi vantaggi contenendo forzosamente la produzione e quindi non valorizzandone a pieno le potenzialità. Non solo: è veramente aberrante che questi privilegi a produrre formaggio Dop vengono sovente venduti da imprenditore a imprenditorie ed a prezzi inaccettabili, consentendo a chi ha più disponibilità finanziaria di dominare un mercato dove invece dovrebbe prevalere chi è più efficiente e più capace di conquistare mercati. Mi preme inoltre ricordare - aggiunge il direttore di Confagricoltura Piacenza - che anche la cooperativa è un’entità economica che deve concorrere sul mercato esattamente come le altre imprese e non ha certamente lo scopo di imporre restrizioni ad altri operatori per ottenerne un vantaggio in termini di prezzo e di guadagno visto che inoltre può già contare su un regime fiscale agevolato rispetto ai normali imprenditori».

In un contesto di questo genere, quale incentivo dovrebbe avere un trasformatore a massimizzare il rendimento verso mercati esteri quando può vivere di privilegi? Che sviluppo economico può dare un’azienda che riesce ad affittare quote- formaggio ad altri produttori per tantissimi anni traendone redditi imponenti a tempo indeterminato senza produrre alcunché? «Per contro - conclude Casagrande - un imprenditore che ha opportunità di sviluppare la propria produzione non può farlo in quanto legato alle quote formaggio ed è costretto a comprarlo da altri produttori perdendo marginalità oltre che dignità. Sinceramente, noi abbiamo un’idea diversa dello sviluppo d’impresa e un’altra concezione di quello che è libero mercato».

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