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Economia

Società fittizia all'estero: imprenditore nel mirino della Finanza

Protagonista un’azienda della provincia piacentina e una società con residenza fittizia nel territorio inglese. L'amministratore unico della società italiana interponeva quella (inesistente) estera per evadere le tasse. Recuperati elementi di reddito per oltre 17 milioni di euro

Una trama internazionale che faceva capo ad un imprenditore piacentino. Si tratta di un tipico caso di  “esterovestizione”. L'“esterovestizione” è la fittizia localizzazione all’estero della residenza fiscale di una società che, al contrario, ha di fatto la sua attività e persegue il suo oggetto sociale in Italia.

Lo scopo principale della localizzazione, che tipicamente avviene in un paese con un regime fiscale più vantaggioso di quello nazionale o poco collaborativo, è quella di fare in modo che gli utili conseguiti sfuggano al regime di tassazione più sfavorevole.

Una società è da ritenersi residente in Italia se sussiste almeno una di queste condizioni: la sede legale, quella amministrativa e l’oggetto principale della società indicata nell’atto costitutivo o nello statuto deve essere in Italia.

Il caso portato alla luce dalle Fiamme Gialle ha come protagonista una società inglese materialmente gestita dall’amministratore unico di una piacentina, o comunque a persone a lui riconducibili.

Sono stati infatti raccolti precisi indizi in cui l'amministratore ha agito in prima persona, o con persone del suo entourage, al fine di interporre la suddetta società di diritto inglese nei rapporti con i fornitori nazionali di beni e servizi, in modo che la successiva rifatturazione dirottasse materialmente ingenti capitali e materia imponibile al di fuori del territorio italiano.

 Tra i sistemi utilizzati per spostare materia imponibile, è stata riscontrata la stipula di (falsi) contratti di intermediazione, in cui la società piacentina avrebbe riconosciuto a quella inglese una commissione sull’importo di affari conclusi, a titolo di intermediazione eseguita verso committenti esteri, riversando oneri fittizi sulla società casalinga.

Peccato però che tale “attività di intermediazione” sia stata svolta non da personale della ditta anglosassone, bensì esclusivamente dall’amministratore piacentino, il quale pertanto intascava un’ulteriore remunerazione esentasse per il proprio operato, aumentando gli oneri della sua società italiana.

La società inglese è stata altresì utilizzata dall’imprenditore piacentino quale “General Contractor” nella costruzione di un opificio industriale in Calabria, beneficiante del contributo di cui alla Legge 488/92. In tal modo l’imprenditore ha acquistato beni e servizi che successivamente la stessa rifatturava alla società italiana raddoppiandone il valore. Considerando che il contributo ammontava al 52% dell’investimento, l’imprenditore si è visto completamente ripagato dallo Stato il nuovo opificio.

L'esterovestizione che sarebbe fruttata oltre 17 milioni di euro è stata scoperta anche attraverso al rinvenimento di corrispondenza (cartacea ed elettronica) tra la società italiana e una Fiduciaria Svizzera che, di fatto, aveva costituito e gestiva quella inglese per conto dell’imprenditore italiano.

In alcune e-mail si chiedevano esplicitamente alla Fiduciaria Svizzera l’emissione di documentazione con carta intestata alla società inglese in modo che a livello epistolare, contrattuale ed amministrativo, le operazioni avessero una “quadratura” nei documenti.

Coinvolti degli organi fiscali inglesi si è appurata la totale assenza di spese normalmente sostenute per la conduzione di locali, o per il pagamento di salari e stipendi o, comunque, attinenti a qualsivoglia organizzazione aziendale.

Come se ciò non bastasse, è stato anche sentito in atti quello che è stato per un periodo il rappresentante fiscale in Italia della ditta estera, il quale ha manifestato le proprie perplessità in merito all’organizzazione della stessa, precisando che non ha mai conosciuto alcuna persona qualificatasi come rappresentante o socio della ditta inglese.
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