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Sentenza Levante, Gazzola: «Piacenza ha paura di guardarsi allo specchio»

L’ex assessore Luigi Gazzola: «Paradossale che questo accada proprio qui dove la sicurezza era una bandiera di chi amministra». Giardino (Buona Destra) chiede di non essere indulgenti con gli informatori: «Se irregolari vanno riaccompagnati»

C’è dibattito sulle motivazioni della sentenza che riguarda i carabinieri della caserma Levante. Le parole del giudice Fiammetta Modica – che non sono piaciute al sindaco Patrizia Barbieri - non possono lasciare indifferenti: «Per la verità, i fatti accertati in questa sede non restano un fatto isolato nella storia della città di Piacenza, nel recente passato altri episodi inquietanti sono stati portati all’attenzione dell’autorità giudiziaria, facendo emergere un preoccupante sistema di illegalità connaturato con il potere, basti pensare all’indagine che coinvolse nel corso del 2013 la sezione narcotici della Squadra Mobile della polizia di Stato per condotte per certi versi simili, e da ultimo al processo a carico dell’ex presidente del consiglio comunale Giuseppe Caruso celebratosi nel 2021, imputato per diversi reati associativi di stampo mafioso, condannato in primo grado, nell’ambito del processo Grimilde a vent’anni di reclusione. Una città dalle tante facce, spesso vischiosa nei rapporti di potere, con una ricchezza diffusa, un’austera alacrità e un perbenismo imperante talvolta con radicate connessioni con il contesto criminale sommerso legato al mercato degli stupefacenti, della prostituzione e, ma non in ultimo, alla corruzione. In questo “mondo di mezzo” si trovava la Caserma Levante, apparente presidio di legalità ma prossima al sottobosco degli informatori e degli spacciatori di stupefacenti in una contiguità, degenerata in osmosi».

Anche l’ex assessore al bilancio (Giunta Dosi) Luigi Gazzola, già esponente della “Rete” e dell’Italia dei Valori, ha volutoLuigi Gazzola-12 esprimere il suo pensiero. «Quando non si condivide una sentenza la si impugna – scrive Gazzola sul suo profilo Facebook - il presupposto è essere parte nel processo. La si può sempre commentare, il presupposto però è averla almeno letta. E’ certo che molti di coloro che hanno commentato la sentenza Levante non l’hanno fatto. Ma è bastata la pubblicazione di qualche stralcio per scatenare alcune forti reazioni. Le voci risentite e gli inviti a giudicare tenendo separati i fatti dalle opinioni dipendono da un meccanismo mentale di autocensura, dal timore di veder raccontata una realtà fastidiosa che non si vuole sentire né vedere e che si preferisce rimuovere. La sentenza non si limita a giudicare i fatti ma descrive il contesto, l’humus, nel quale si sono sviluppati muovendo da un osservatorio privilegiato. E ricorda che questi fatti sono solo gli ultimi, che altri gravi episodi analoghi, troppo velocemente rimossi, si sono verificati nella storia recente della nostra città. Nel momento in cui si sta per decidere il futuro di Piacenza in un vuoto di consapevolezza civile e istituzionale impressionante occorrerebbe essere grati a chi cerca di aprirci gli occhi per consentirci di approntare adeguate strategie di contrasto al ripetersi di vicende analoghe. È assolutamente necessario scuotere in primo luogo il torpore intellettuale diffuso dagli accomodamenti sull’isola felice in cui si vive meglio o comunque non peggio che altrove partendo dalla conoscenza dei fatti specifici. Non sorprendono invero le risentite e confuse parole di chi si ritiene offeso non già da giudizi morali quanto dall’inquietante realtà riscontrata. È quasi un postulato ideologico in questi casi la difesa tenace dello status quo anche di fronte ad evidenze contrarie. Ed è già accaduto spesso che la presunzione di verginità di territori interessati assai più pesantemente del nostro da gravi penetrazioni criminali abbia trasformato regolarmente gli autori delle denunce nei veri nemici della collettività, colpevoli di offuscare l’immagine di una città, di denigrare una cittadinanza sistematicamente “perbene”. Ancora una volta siamo di fronte alla sindrome di Grimilde. La paura di guardarsi allo specchio che “colpisce chi non si piace, che lo spinge a non guardarsi mai allo specchio per evitare di trovarsi di fronte all’amara realtà”. Paradossale che tutto questo accada in un territorio governato da un movimento politico, così geloso di costumi e identità, che della sicurezza aveva fatto la propria bandiera».

Michele Giardino, consigliere comunale del Gruppo Misto ed esponente di “Buona Destra”, si vuole invece soffermare suMichele Giardino-2 un altro aspetto. «Ora che la vicenda della caserma Levante ha prodotto la sua prima sentenza – interviene Giardino - vorrei fare una considerazione. Tanti immagino siano stati gli informatori delle forze dell’ordine intervistati in questi mesi. Molti di essi posso facilmente presumere siano extracomunitari irregolari di ogni continente. Sono ancora a Piacenza? Se sì, chi li ha fatti rimanere e a che titolo? Il tribunale per ragioni di giustizia? O la questura per motivi di solidarietà? Pongo queste domande perché pare che Piacenza sia piena di questi soggetti in odore di espulsione, addirittura più di ogni altra città della zona. Sono stati davvero tutti decisivi per sgominare organizzazioni criminali? Io penso che meriterebbero la nostra riconoscenza soltanto coloro che, dissociandosi dal contesto delinquenziale e pentendosi in modo autentico, abbiano assicurato la piena e incondizionata collaborazione alle forze dell’ordine. Per tutti gli altri, invece, non sussisterebbero i motivi premiali necessari per accoglierli nella nostra comunità. Eppure, con lo strumento del permesso temporaneo, possono essere mantenuti tutti a Piacenza con una certa quale indulgenza. Comprendo il ruolo rilevante dell’informatore nello svolgimento delle indagini penali. Però, se dobbiamo ospitare in città una pletora di soggetti che vivono nel sottobosco dell’illegalità e della marginalità - solo perché possano continuare a garantirci occasionali spiate per l’arresto di qualche pescetto da spendere sul giornale - forse sarà il caso di riaccompagnarli lì da dove sono venuti».

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