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Stop alle pubblicità sessiste, Girometta: "Non è censura, è dignità dei corpi"

Il consiglio comunale lo scorso 22 aprile ha approvato il regolamento sulle pubblicità. La soddisfazione della Commissione delle elette per la mozione sulla pubblicità sessista

In Consiglio Comunale, il 22 aprile, è stato approvato, a larga maggioranza, il Regolamento dell’Imposta sulla pubblicità. L'articolo che disciplina la pubblicità discriminante nei confronti delle donne è l'effetto dell'attuazione di una mozione, presentata dalla Commissione delle Elette, e rivolta all'assemblea, discussa e approvata il 18 gennaio. «E' una grande soddisfazione – spiega Maria Lucia Girometta, presidente della commissione - per la Commissione delle Elette e, in particolare, per la sua presidente, avere raggiunto tale risultato concreto.

La Commisssione, composta dalla sottoscritta, e dalle Consigliere Laura Rapacioli, Miriam Bisagni, Annalia Reggiani, Sandra Ponzini e Lucia Carella, aveva chiesto al Sindaco, attraverso la presentazione della Mozione sopra citata, di “porre in essere tutte le azioni necessarie per evitare la diffusione sui bus cittadini e sui cartelloni di pubblicità offensiva della dignità della donna”…

Il congelamento degli stereotipi di genere nelle pubblicità e l'utilizzo dell'immagine della donna come oggetto sessuale sono, spesso, espedienti che nascondono una profonda mancanza di idee; siamo lontani anni luce dal periodo florido degli anni '80, quando alcune pubblicità erano addirittura una forma d'arte.

Ma che cos'è che permette di definire "sessista” una pubblicità? E' sessista una campagna che usa il corpo femminile per promuovere, in modo non pertinente, un prodotto. E' sessista usare in maniera intensiva stereotipi che riducono l'identità delle donne all'essere dedite alle attività domestiche e nulla più. Poi ci sono le pubblicità ipersessualizzate, a volte, perfino, grottesche, che cercano la visibilità attraverso lo scandalo, tra doppi sensi grevi, giochi di parole imbarazzanti, sbattuti sui manifesti, ragazze scosciate messe lì solo per catturare l'attenzione. Non si tratta di essere bacchettoni, di censurare o di avere a tutti i costi la fobia del corpo nudo: si tratta invece di fornire, anche attraverso i media e la pubblicità il pudore e la dignità dei corpi. Per far pubblicità ai reggiseni si può mostrare una ragazza in reggiseno; ma se la pubblicità è di una linea di traghetti o di una marca di pompelmi, l'esibizione del nudo femminile non è appropriato. I messaggi pubblicitari discriminatori rispetto al genere sessuale o rappresentativi di immagini violente e degradanti ledono gravemente la dignità di donne, ma anche degli uomini e contribuiscono  a determinare un impatto negativo sulla parità fra i sessi nella sfera privata, come in quella pubblica e lavorativa. Su 135 Paesi, l'Italia è all'ottantesimo posto nella classifica della parità di genere stilata dal World Economic Forum, dopo l'Uruguay, il Botswana, il Perù e Cipro; ci dimostra che i media e la pubblicità nostrani riflettono il clima generale del Paese. E’ per questo che la soddisfazione per tale Regolamento è rilevante ed è giusto valorizzare il contributo determinato offerto dalla Commissione delle Elette in questo senso».

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