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Cosa c’era in un porto sul Po a Piacenza nel 1803

L’inventario del porto in un documento

A Piacenza pochi giorni fa si è tenuto un convegno importante relativo al potenziamento della navigazione fluviale del Nord Italia ed ovviamente in primo piano spiccava il Grande Fiume, puntando l’attenzione circa il far progetti di sviluppo di tra-sporto merci e turismo fluviale.

Ed in effetti sul Po a Piacenza c’era da secoli un porto antico del quale traiamo notizie della sua fitta vitalità ancora durante la dominazione napoleonica, e dalle carte dell’Archivio Storico Comunale cittadino abbiamo letto la documentazione circa un “Inventario del porto del Po alla Romea” fatto nel 1803.

È una lista dettagliatissima e interessante di tutto quello che faceva parte materiale del porto: si fa inventario e stima in denaro di tutti gli strumenti utili e delle dotazioni di suppellettili e l’ordine arriva dal “Supremo Magistrato delle Finanze”.

Senza entrare nel dettaglio della stima economica di ogni “pezzo” in elenco leggiamo tra le oltre cento voci più curiose e quindi del porto “alla Romea di Piacenza” (a Porta Borghetto) vengono messe in inventario anche le cose minute e più insignificanti. Per prima ovviamente si stimano le “due barche che formano esso porto... chiodi per dette barche... travi per selicato (il pontile di legno per l’approdo”, ed ancora “n.2 colonne di rovere... n.10 colonnotti... il timone del porto con riggia di ferro (l’asta del timone)... due scale che servono per chiudere il porto... pece”.

Entra in stima anche il piccolo casottino in legno che dava riparo ai lavoranti e che serviva per consumare i pasti in loco “il casino coperto di legno forte e tela impegolata con cassapanche, antiporto e 4 finestrini con vetri... e il casino di abete che serve per cucina con portichetto”. Il pontile galleggiante mobile è in elenco come “batello del carattone della piarda verso San Rocco” ed un altro “carattone della piarda di città” mentre si elencano pure “due schelmi” (che è una barca piccola), la “sparavera” (la mezzaluna del timone) e “lo scagnello del detto timone”. I “carattoni” erano le piattaforme poste sulle due sponde del Po da dove si svolgevano le operazioni di carico e scarico delle merci dalle barche in transito.

Addirittura si inventaria “il timone”, “il zovello” (passerella), “una ponticella dolce”, “la colonna per assicurare la catena del porto” e “i sei battelli aderenti al suddetto porto” dei quali si dà per ognuno la grandezza e larghezza. Anche le piccole cose, tutta la minutaglia viene conteggiata con precisione: numero e peso ad esempio di “chiodi” “pece” “assi dolci” “stoppa di canapa” infatti le falle delle barche si toppavano con stoppa imbevuta di pece; si elenca “una braga consunta” (la braga è la corda uncinata che serve per sollevare materiale pesante), e “una taglia che serve per la braca con quattro tampagni” (la taglia è la teleferica e il tampagno la carrucola).

E si mettono in stima pure gli utensili dati a servizio del “casottino” degli operatori del porto piacentino, che servono per l’uso comune e la cucina: “una padella de aciaro... un tavolino di noce... un lenzuolo da letto... una mescola e una paletta da padella... un mescolo da legno con tagliere... una secchia d’abete... 5 scodelle di terra e 5 tondi, due piatti e uno stuvone (una teglia), una grattaruola (grattugia)”.

Addirittura leggiamo di “una scure per schiappar la legna”, per la stufa dei lavoranti supponiamo, “una marazza” ed “una scranna di pallera (di paglia)” e l’ultima voce riguarda il censo di “quattro remi di braccia 12 cadauno” cioè lunghi circa 6 metri, infatti la misura del “braccio” per legno e laterizio era diversa da quella per stoffa od altro.

In questo inizio di ’800 il porto di Piacenza era vivace e ancora ampiamente attivo, qui ogni giorno attraccava un buon numero di imbarcazioni provenienti dal pavese, dal cremonese e addirittura dal ferrarese e dal veneto, con vari carichi di merci e tra le più svariate. Era ancora il tempo nel quale la navigazione fluviale era tenuta in grande considerazione ed il grande Po era assimilato, né più né meno, alle grandi strade di commercio italiane e che vedevano in Piacenza uno snodo vincolante.

Umberto Battini

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