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L’isola che non c’è (ma che c’era) nel Po

E' proprio quella che ha avuto sulla sua sponda uno dei celeberrimi porti d’epoca medievale del Comune di Piacenza

Sono le mappe disegnate dai grandi ingegneri topografi che ci dirigono direttamente dentro alla conformazione del Po, facendoci capire come nei secoli sia cambiato il percorso dell’alveo. E quello che subito colpisce è vedere come siano segnalate notevoli isole che erano accarezzate dal correre delle acque dei classici due rami di fiume.

Solitamente uno di questi è maggiore e l’altro minore e non raramente finisce per essere indicato come “Po morto”. Le sabbie, invece, con il deposito naturale di detriti, diventano una lanca, una sorta di piccolo lago d’acqua morta ricco di pesce da “fondo”.

Questi isolotti sono detti “ballottini”: uno di notevoli dimensioni, che a volte viene contornato da due rami del fiume, è ad esempio l’Isolotto “Maggi” davanti a Piacenza e già conosciutissima spiaggia balneare in decenni non troppo lontani.

Un altro ballottino grande è quello tra il Mezzano calendaschese e la sponda lombarda che fa capo a Valoria di Guardamiglio. Poi c’è quello compreso tra queste due particolarissime anse tra il Boscone Cusani e le Gabbiane, che arriva addirittura quasi al Veratto di Santimento, ricchissimo di vegetazione e boschine naturali.

L’isola che non c’è (ma che c’era) è proprio quella che ha avuto sulla sua sponda uno dei celeberrimi porti d’epoca medievale del Comune di Piacenza: il “portus qui dicitur Lambro et Placentia” che si immetteva sulla sponda piacentina da Corte S. Andrea dove mappe ottocentesche indicano un porto con il nome di questa località.

Quest’area di fiume al nord ovest della città ricade oggi in comune di Calendasco e bisogna leggerne l’evoluzione nei secoli secondo il criterio storico e non ultimo il passo francigeno che collega le due sponde, un fatto meritevole di attenzione per capire l’evoluzione del fiume. Le isole del Po sono oggetto di controversia per il loro possesso già dal XII secolo e ne leggiamo chiara documentazione nel “Registrum Magnum” di Piacenza. È chiaro che esiste anche altra documentazione storica nei fondi d’Archivio degli Enti Religiosi quali proprio ad esempio il monastero di San Sisto.

Le decine di mappe topografiche che vanno dal 1500 al tardo 1800 parlano chiaro: tra i due rami del Grande Fiume esisteva un enorme isola, nel 1587 chiamata Isola del Mezzano (oggi il Mezzano è parte dell’ansa est) che invece nel 1828 è indicata come Isola della Corte.

Nella mappa dell’ingegner Bolzoni del 1587 si vede chiaramente quest’isola con tutto il meandro (la sinuosità del corso del fiume che declina lentamente verso la foce scorrendo in piane alluvionali) e poco più sopra l’isola immensa di Villa Botto circondata dal Po morto a formare quasi un cerchio perfetto.

L’Isola della Corte (di Sant’Andrea) è ancora “viva” nel Po nel 1828 come indica una mappa storica dell’archivio AIPo (l’Agenzia Interregionale del Po che cura tutta la gestione del reticolo idrografico principale occupandosi di sicurezza idraulica, demanio idrico e navigazione fluviale).

L’isola è lunga oltre un chilometro e mezzo e con una verticale nord-sud di oltre 700 metri, è toccata a sud dal ramo principale del Po e a nord dal ramo stretto detto “molente”, perchè la parte del fiume che scorreva più lentamente.

Questo avveniva quando ancora non erano stati costruiti gli argini imponenti e definitivi del nostro tempo e fino ad allora solo piccole arginelle fungevano da protezione per terreni al di là della golena (terra tra l’alveo principale e l’argine).

Il corso del fiume ha subito variazioni ed i sedimenti delle piene in poco più di un secolo hanno unito l’isola saldamente alla riva lombarda facendo sparire quello che era il ramo morto e il Po scorre nel largo e sabbioso letto in un unico alveo. La frazione lombarda Corte S. Andrea è tappa francigena citata da Sigerico nel suo diario del 990 e l’Isola della Corte è divenuta una unica enorme golena accogliendo ben due porti visibili nella mappa del 1828: quello del Boscone Cusani e l’altro del Botto.

L’alveo di Po che da Piacenza risale a monte fino al Lambro è trattato in decine di documenti che partono dal VIII secolo relativi a dispute, possessi di diritti di porto, pescagione, navigazione, concessioni e riscossione di dazio. Quest’isola posta tra le due anse di fronte a Calendasco era parte in causa. Sebbene quindi sappiamo di isole nel tratto piacentino, questa per le sue dimensioni, per l’epoca storica in cui è esistita, e per le vicende che nel medioevo hanno interessato questo tratto di fiume, assume un valore notevole. Oggi la possiamo scrutare nella sua ampiezza dall’alto dell’argine della località Masero di Calendasco, che si raggiunge dalla via Po che è posta dritta davanti al palazzo comunale e con un ben minimo sforzo d’immaginazione storica rivedere sul territorio quello che le preziose mappe e polverose carte d’archivio ci testimoniano.

Umberto Battini

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