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Venerdì, 26 Aprile 2024
Cronaca

Dimesso due volte dal pronto soccorso muore per un'infezione, tre medici a processo

Imputati tre medici del pronto soccorso di Piacenza per omicidio colposo. I fatti risalgono al 2017 quando il 42enne di Castellarquato, Cristian Benedetti, morì in terapia subintensiva a poche ore dal ricovero

E’ iniziato il 14 luglio il processo davanti al giudice Gianandrea Bussi che vede imputati tre medici del Pronto Soccorso di Piacenza per omicidio colposo. I fatti risalgono al 2017 quando il 42enne di Castellarquato, Cristian Benedetti morì in terapia subintensiva a poche ore dal ricovero. La famiglia fece denuncia e intervenne la procura. Il sostituto procuratore Antonio Colonna coordinò le indagini della polizia, dispose l’autopsia e il sequestro delle cartelle cliniche.  L’autopsia stabilì nell’arresto cardiaco da infezione da streptococco di ordine muscolare la causa della morte.  

Successivamente vennero indagati i medici per i quali però il pm Colonna chiese per due volte l’archiviazione del procedimento a loro carico per mancanza del nesso causale tra il loro comportamento e la morte dell'uomo. Il gip Stefania Di Rienzo le rigettò e ordinò l’imputazione coatta. Di lì quindi l’apertura del processo per Enzo Gregoriano difeso da Cosimo Pricolo, M’Puto Bulabula difeso da Giovanni Capelli e  Annunciata Tenchini difesa da Paolo Fiori. La famiglia di Benedetti fu risarcita dall’Asl mentre la compagna Silvia Canavelli, si è costituita parte civile con l’avvocato Carolina Arata che ha rigettato, perché ritenuta insufficiente, un’iniziale proposta risarcitoria da parte dell’azienda ospedaliera. Toccherà al legale dimostrare infatti che i due convivevano stabilmente e che quindi la sua assistita ha diritto al «giusto risarcimento», «oltre a questo vogliamo far emergere che c'erano tutti gli elementi per diagnosticare in tempo quanto stava accadendo al 42enne», ha sostenuto Arata.  La mamma di Benedetti ha dichiarato che il figlio vivesse in un'abitazione diversa da quella di Canavelli contrariamente a quanto - è emerso - aveva dichiarato in sede di denuncia. Il processo è stato rinviato ad ottobre. 

Cristian Benedetti morì a 42 anni, era molto noto a Castellarquato anche perché presidente della sezione Avis di Vigolo Marchese. In aula (pm Monica Bubba) hanno parlato tre testi: il medico di base del paese della Valdarda Sofia Casali, la compagna e la mamma della vittima. Le tre donne hanno ricostruito quanto accaduto a fine maggio 2017.  «Quando Silvia, mia paziente, quel giorno portò in ambulatorio Cristian ho visto subito che faceva fatica a respirare e che aveva il braccio destro molto gonfio, notai anche una coscia gonfia. Era freddo, sudato: ho capito che stava accadendo qualcosa di grave e che si doveva intervenire quanto prima perché da quello che avevo visto poteva trattarsi di uno schock settico. A quel punto non riusciva più ad alzarsi dalla sedia. Gli ho provato i parametri: la pressione era bassa ed era desaturato. Arrivò il 118 e fu ricoverato immediatamente». A dirlo Sofia Casali, medico di base di Castellarquato che ha visitato Benedetti  su insistenza della compagna a seguito dei due accessi in pronto soccorso a Piacenza e Fiorenzuola avvenuti il giorno prima.

 «Ho visionato gli esami del sangue e ho visto alcuni valori riguardanti il fegato alti. Sicuramente andavano studiati ed indagati perché poteva appunto esserci un’infezione in atto. So che l’uomo era stato in cura da un otorino il quale gli aveva prescritto antibiotici anche potenti e antinfiammatori perché lamentava un dolore alla gola», ha detto. A febbraio 2017 Benedetti fu sottoposto ad un intervento al naso a Parma «Convivevamo da un anno. L’intervento al naso era andato benissimo così come i controlli successivi – ha detto la compagna -. Però non stava bene da qualche tempo, un po’ di febbre a intermittenza, male alla gola e per questo il medico gli aveva prescritto una terapia antibiotica, poi nei suoi ultimi gionri di vita ha accusato un fortissimo dolore ad un gomito e a una gamba. I dolori erano sempre più acuti e la situazione è degeranata improvvisamente. A quel punto siamo andati in pronto soccorso a Fiorenzuola dove gli fasciarono il braccio e lo dimisero con la diagnosi di artrosinovite».

«Le cose non sono migliorate ma peggiorate tanto da trovare sangue nelle urine – ha proseguito la donna -. Abbiamo deciso, sempre lo stesso giorno, di andare di nuovo in pronto soccorso ma questa volta a Piacenza. Arrivati in triage abbiamo spiegato tutto, gli hanno preso i parametri e disposto gli esami del sangue. Successivamente Cristian è stato visitato da un primo medico (Gregoriano) e poi da un secondo (M’Puto Bula Bula): entrambi hanno confermato la diagnosi del ps della Valdarda dopo una lastra e dopo la rimozione della fasciatura che svelò un arto gonfio e già cianotico. Il mio compagno stava malissimo e solo dopo la mia insistenza gli fu dato un antidolorifico». L'uomo fu poi dimesso perché non furono ravvisate particolari criticità e la coppia tornò a casa. «Quella notte fu un inferno. Era in condizioni pietose. La mattina  - ha proseguito - l’ho portato dal mio medico curante, poi la corsa in ospedale: eravamo partiti con l’ambulanza in codice rosso ma in ospedale poi era stato trattato come un giallo. La situazione era già critica, i reni erano compromessi e sarebbe stato dializzato, tuttavia dopo la somministrazione di antibiotici ad ampio spettro, stava un po’ meglio. Mi disse: finalmente stasera mi posso riposare. Mai avrei pensato che morisse: era un uomo forte, sano, un donatore di sangue, era sempre impegnato, lavorava come meccanico e non si lamentava mai senza un motivo».

All’alba la famiglia ricevette la telefonata nella quale veniva spiegato loro che Cristian era deceduto in terapia subintensiva, le sue condizioni già critiche erano peggiorate irreversibilmente. I testi hanno risposto alle domande del pm, del giudice e anche degli avvocati degli imputati (alcuni hanno prodotto anche documentazioni) e dell'avvocato di parte civile. Una di questa era se la compagna non avesse pensato che i dolori alla gola che si sono protratti nonostante le varie visite dall’otorino (che diede – così ha dichiarato la donna – antibiotici senza però fare analisi) potessero essere riconducibili all’intervento di febbraio. «Eravamo felici. Ci siamo conosciuti nel 2016 e dopo poco è venuto ad abitare a casa mia con mio figlio a Castellarquato. Lo adorava, erano legatissimi e alla fine ha preso il posto del padre naturale che abitava lontano. Volevamo un altro figlio a stretto giro, la nostra era una bellissima storia e avevamo progetti. Avevo fiducia nelle persone ma ora non è più così. La vita non è più la stessa anche se dopo mesi di dolore ho dovuto reagire per il bene di mio figlio. Passavo le giornate al cimitero ed ero seguita da una psicologa. Anche mio figlio, all’epoca alle elementari, accusò il colpo: le maestre mi dissero che a scuola piangeva, per mesi fu tutto molto difficile per lui, vedermi distrutta l’ha fatto soffrire, così come la mancanza di Cristian fu un enorme shock per un bambino di quell’età».

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