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Venerdì, 26 Aprile 2024
In tribunale

Tentato omicidio di Sariano, in aula ripercorse le indagini tra tracce di sangue e tabulati telefonici

Prosegue il processo che vede sul banco degli imputati per tentato omicidio Lyamani Hamza, ex informatore dei carabinieri della Levante. Con lui è imputato (in abbreviato) un complice. In aula parlano i carabinieri che fecero le indagini

Prosegue il processo che vede sul banco degli imputati per tentato omicidio Lyamani Hamza, il giovane marocchino che con le sue rivelazioni diede l'abbrivio alla maxi indagine di finanza e polizia locale che portò al Caso Levante e all'arresto di carabinieri e pusher il 22 luglio 2020. Lo straniero che si trova detenuto in carcere, è accusato di aver picchiato a sangue e ridotto in fin di vita  un connazionale a Sariano di Gropparello il 7 agosto 2021. Con Hamza era stato anche arrestato Bouchaib Youssef - difeso dagli avvocati Paolo Lentini e Alida Liardo, che aveva scelto poi di essere processato con rito abbreviato (l’udienza è fissata per le prossime settimane). Se Bouchaib fu trovato dai carabinieri in casa, Lyamani fu raggiunto poco dopo da una misura di custodia cautelare in carcere mentre si trovava a Massa Carrara.

Sono accusati entrambi di aver attirato in una trappola il loro connazionale e, sotto l'effetto di psicofarmaci e alcol, di averlo pestato a sangue in un appartamento per poi abbandonarlo in strada poco lontano convinti che fosse morto. Lì una volta soccorso dal 118, si precipitarono i carabinieri che iniziarono ad indagare, seguendo anche le tante tracce di sangue. Secondo l’accusa Lyamani era ospitato a Sariano dall'altro imputato e quel giorno incontrarono la vittima a Piacenza e tutti e tre poi presero un bus per arrivare nell’appartamento. Hamza è difeso dall’avvocato Andrea Bazzani, mentre la vittima è parte civile con l’avvocato Monica Malchiodi. Nella mattina del 29 settembre hanno sfilato in tribunale davanti al collegio di giudici presieduto da Stefano Brusati (a latere Camilla Milani e Alessandro Rago) nove testi del pm Matteo Centini, che coordinò le indagini. Altri hanno già parlato, altri ancora lo faranno nelle prossime udienze e poi il processo di primo grado si avvia alle battute finali. 

Per prima ha parlato il medico del Pronto Soccorso dove la vittima fu portata quel giorno: «Era gravemente ferito e aveva un'emorragia cerebrale, se si fosse aggravata il trasporto a Parma era inevitabile». A raccontare invece nel dettaglio le indagini tecniche ci hanno pensato alcuni carabinieri in forze all’Aliquota Operativa del Norm di Fiorenzuola. Uno ha spiegato il repertamento di tutte le tracce ematiche trovate nell’appartamento ma anche già nelle pertinenze esterne, sia da gocciolamento sia da trascinamento. «Abbiamo rinvenuto sangue – ha spiegato - sullo zerbino, sui muri, sulla tv, sulla cucina e la caldaia. Quando ci ha aperto la porta (l’altro imputato) abbiamo notato immediatamente che aveva alcune ferite alle nocche delle mani e un occhio gonfio nonché l’orologio parzialmente scheggiato con alcune piccolissime tracce ematiche, all’ingresso invece subito la nostra attenzione è stata catturata da un ventilatore a piantana spaccato a metà e ammaccato e sporco di sangue e di una stampella». «Sotto il letto abbiamo poi rinvenuto un tubo metallico, sempre sporco di sangue, e infine abbiamo dedotto che ci fu un tentativo di pulire le stanze dalla presenza di un mocio e un secchio con stracci sporchi e di un flacone di candeggina». Al collega invece è toccato spiegare l’analisi dei tabulati telefonici sui cellulari e delle celle agganciate dai dispositivi: «Lyamani e il complice si conoscevano perché abbiamo trovato 108 contatti tra loro nelle settimane precedenti. Quel giorno i loro cellulari hanno agganciato le stesse celle negli stessi orari, ossia Piacenza circa in via delle Benedettine per poi “prendere” quella nei pressi di Sariano al termine del viaggio in autobus».

Hanno poi proseguito altri due carabinieri che hanno invece raccontato l’arresto a Massa e i successivi sviluppi: «Lo abbiamo trovato in un ripostiglio di una pensione, arrestato e portato in caserma dove ha cominciato ad agitarsi dicendo che i carabinieri di Piacenza lo perseguitavano e che per questo si era allontanato, infine, terminati gli atti è stato condotto in carcere». Nei mesi successivi è stato posto ai domiciliari dove i carabinieri sono stati costretti ad intervenire per la notifica di un aggravamento di misura: doveva tornare dietro le sbarre perché accusato di aver picchiato la sua compagna, a casa della quale stava trascorrendo i domiciliari. I militari si presentarono quindi in quell’abitazione: «Era molto agitato, non voleva tornare in carcere, ha chiamato il suo avvocato che lo ha invitato a collaborare, sembrava essersi un po’ tranquillizzato quando – ha spiegato un militare – ha preso di scatto un coltello e si è ferito il collo. A quel punto siamo stati costretti ad ammanettarlo anche perché nel frattempo aveva sputato in faccia ad uno di noi per due volte». L’avvocato Bazzani ha chiesto se fossero a conoscenza del fatto che il suo assistito fosse un tossicodipendente e la risposta è stata negativa. Infine sono stati ascoltati un vicino di casa che quella notte ha sentito urla e rumori, l’autista del bus («li ricordo alticci, uno di loro ha sputato addosso ad una ragazza che ho aiutato) e un collega di lavoro del cognato dell’altro imputato.

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