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Alla Dante Alighieri, memoria e simbolismo del Pascoli in un'intrigante conferenza del prof. Dossena

Questo il profilo poetico delineato dal professor Giuseppe Dossena, già docente di Materie Classiche e Letteratura presso il Liceo "M. Gioia" di Piacenza, nella conferenza con la quale la "Dante Alighieri" piacentina, dopo la pausa estiva, ha ripreso la sua benemerita attività culturale

Pascoli non è il poeta del pianto, come qualcuno lo ha, cinicamente, definito. Giovanni Pascoli (vincitore di ben 13 Medaglie d’Oro a Concorsi letterari ad Amsterdam, Cattedratico di Letteratura Italiana alle Università di Bologna, Messina, Pisa, e ancora di Bologna dopo il Carducci), è il Poeta che trascina nell’animo sofferenze dure che riesce sempre far riaffiorare con elevato senso poetico, fino a toccare “vertici altissimi” soprattutto in “Mia Madre” e “Commiato” (entrambe del 1903), composizioni che si legano strettamente in un “addio” alla propria madre e nella celeberrima struggente “X Agosto”: una poesia in cui “ciascun verso” è “una” poesia”. Non, dunque, poeta del pianto, ma poeta capace di far sussultare l’“anima” ad un “vero” lettore della sua “autentica” poesia.

Questo il profilo poetico delineato dal professor Giuseppe Dossena, già docente di Materie Classiche e Letteratura presso il Liceo “M. Gioia” di Piacenza, nella conferenza con la quale la “Dante Alighieri” piacentina, dopo la pausa estiva, ha ripreso la sua benemerita attività culturale. Il folto pubblico ne ha seguito i contenuti con attenzione  e partecipazione  nonostante l’”overdose” pascoliana abbia superato le due ore.

Il merito dell’attenzione mai sopita è della erudizione e della capacità di dialogo del prof. Dossena oltre che della sua versatile capacità interpretativa di poesie e versi letti in alternanza al presidente del Comitato piacentino della “Dante” Roberto Laurenzano. Un “tandem” d’eccezione, il loro, che ha dato voce a versi poetici con voce incisiva, anche aiutata da mimica espressiva capace di suscitare nel pubblico riflessioni personali sul senso della vita intrinseca alla poetica e alla simbologia pascoliana.

Attraverso un’esposizione dettagliata e ricca di “contenuti”, Giuseppe Dossena, ha evidenziato con efficacia, ruolo e fondamento della poesia pascoliana che poggiano saldamente su una “reminiscenza e ricerca del tempo passato”. Pascoli si abbandona costantemente al suo “passato”, sotto forma di “visioni” che portano alla luce un “fondo sedimentato” nel suo animo, visioni che riaffiorano sempre, smosse come acqua di un piccolo intimo stagno, costituendo pertanto il meccanismo “essenziale” della sua poesia intrisa di “Natura antica” e di proprie profonde “tristezze” di vita vissuta.

La violenta morte del padre nel 1867, la susseguita morte della madre l’anno dopo, quella di una sorella e di un fratello nel giro degli altri due ulteriori anni, lasciarono nel Pascoli-Uomo lacerazioni profonde per sempre. Reminiscenze di “visioni”, dal “nunc” (l’infelicità del suo “adesso”) al “tunc” (la felicità del suo “allora”) . “Visioni” che si traducono in un tessuto di figure, di atmosfere, di suoni di “antica Natura” interiorizzati, e che il Poeta riproduce volutamente in forme onomatopeiche, facendone “sentire” la realisticità: lo “sciabordare” delle lavandare, lo “scilp” del verso del passero, il “chiù” del verso d’una piccola civetta, il “vìd-videvìtt” dello stormo di veloci rondini nel cielo, sono solo alcuni degli “onomatoipeismi” che il Pascoli poeticamente trasporta in composizioni che vanno dolcemente, benché tristemente, ammirate. 

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