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Cultura

«”Il Cappello di Nonno Gesuino”, un affresco letterario notevole». Pupi Avati elogia il giornalista Romagnoli

Dal noto regista di "Regalo di Natale" un messaggio di apprezzamento per l'ultimo libro del piacentino Giuseppe Romagnoli

Il popolo con le sue fatiche quotidiane, il delitto Murri, lo scandalo della Banca romana, i complicati rapporti tra Stato e Chiesa, il terremoto di Messina, la prima guerra mondiale, l’inizio del Fascismo. Nell’ Italia post-unitaria, che sembra lo specchio della realtà di oggi, lacerata tra aspirazioni al cambiamento e burocrazie impenetrabili, lobbies e comitati d’affari, passato e futuro si confrontano.
Su questo sfondo due vite autentiche si intrecciano. Carriere, passioni, aspirazioni, scelte. Quelle sempre ricorrenti nella vita di uomini e donne. Con uomini, luoghi ed avvenimenti anche della storia di Piacenza.

Una storia intensa e coinvolgente, che sorprende nel suo sviluppo e che attrae il lettore per una narrazione capace di rendere straordinariamente attuali contesti storici apparentemente lontani e questioni private che hanno una dimensione universale.

Scrive il regista Pupi Avati all’editore Franco Ghilardi: «Caro Ghilardi,
ho molto apprezzato il romanzo di Giuseppe Romagnoli, è un affresco letterario
notevole che, dentro un’ispirata cornice familiare, raccoglie un ampio raggio di
storia italiana tra Otto e Novecento. Nella tradizione autorevole di grandi autori cui si può accostare senza imbarazzi, penso – i primi nomi che mi vengono sono di area meridionale - a un De Roberto, a uno Jovine, a un Raffaele Nigro.  Un’opera cui vanno i miei apprezzamenti più sinceri. Con molti cari auguri, un forte abbraccio».
 
Pupi Avati

«Il libro – aveva scritto il prof. Carlo Giarelli in una presentazione alla Famiglia Piasinteina - parla di un cappello ma non ha nulla a che vedere con una bella donna. Semmai con un parente dell’autore, il nonno Gesuino, scovato nel visionare certe antiche fotografie di famiglia, che con i loro ricordi hanno stimolato la fantasia dell’autore ad identificarsi con tali immagini fino a condividere le emozioni ad esse connesse, reali o inventate che siano. Il libro - ha detto Giarelli - è scritto fin troppo bene; nessuna critica può essere rivolta allo stile. Semplice, corretto, sostenuto da frasi brevi senza inutili divagazioni, privo di appesantimenti di natura troppo intellettuale, vanta una sua chiarezza che rimanda all’eleganza e alla musicalità dei testi classici». 

«Il contenuto non è da meno della forma. Trattasi infatti di due storie che si intrecciano frequentemente, anche se riguardano due personaggi e due mondi diversi. Il primo uomo del popolo, di poco studio ma di molta volontà e capacità lavorativa che di nome fa Giuseppe Donati di Castel d’Argile e di professione falegname. Socialista e fedele alle sue idee come se la sua ideologia fosse una fede religiosa, uomo tutto d’un pezzo anche per la sua caratura morale, si trasferisce a Piacenza e successivamente diventa imprenditore nel restauro di mobili antichi. Per il salto di qualità nel lavoro, si avvale del secondo personaggio del libro con il quale si stabilisce un rapporto di conoscenza, se non di vera amicizia, causa le diversità di ceto sociale e di cultura, maturata dalla stessa condivisione di idee politiche e fortificata poi dalle rispettive stime. Trattasi di Emilio Fantoni di Cento, provincia di Ferrara che diventa un celebre avvocato a Bologna e poi trasferitosi a Roma chiamato dalle istituzioni per meriti professionali, si inserisce negli ambienti più influenti della capitale, diventando amico di persone altolocate e di ministri fino ad essere chiamato a redigere codici giuridici. Nel romanzo si descrivono anche le rispettive vite sentimentali di questi due protagonisti, spesso di natura turbolenta e quindi, per ragioni diverse, mai pienamente realizzate, causa le rispettive visioni, pulsioni ed esigenze poco compatibili con la stabilità degli affetti».

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