rotate-mobile
L'intervista / Carpaneto Piacentino

Perini, campione di gregariato: «Il Tour era la mia corsa»

L’ex ciclista di Carpaneto Giancarlo Perini: «Mi auguro che Piacenza sia all’altezza di gestire un evento come la corsa francese». Come mai non ci sono grandi talenti italiani? «Dovremmo stare qui a discutere una giornata intera». Nel 1992 arrivò ottavo alla Grande Boucle. «Hinault il più forte»

Piacenza si prepara al Tour de France riscoprendo le pagine più significative della grande storia della corsa gialla. La quarta puntata della rubrica è dedicata ad un grande corridore di casa nostra. Le precedenti, invece, erano per Marco Pantani, Vincenzo Nibali e Gino Bartali

Giancarlo Perini, oggi 64enne, ha portato a termine ben dieci edizioni della Grande Boucle, riuscendo ad ottenere, nell’edizione del 1992, l’ottavo posto nella classifica generale. Lo siamo andati a trovare nel suo negozio di biciclette, gestito con la moglie Antonella e con il figlio Mirko, a Carpaneto, suo paese natale.

Ghirotto, Perini e Bontempi-2

  • Perini, quale reazione quando hai scoperto che il Tour de France arriva a casa nostra?

Per uno come me che ha corso dieci Tour, riuscire ad avere la partenza di una tappa del Tour a Piacenza, non è cosa da poco. Sono molto contento, sarà una grossa opportunità un po’ per tutti, per far conoscere tutte le cose belle che ci sono nel nostro territorio. Sicuramente è una grande opportunità, dobbiamo coglierla.

  • Sei più legato al Tour o al Giro d’Italia?

Ho fatto 11 Giri e 10 Tour, ma mi sento più legato alla corsa francese, più adatta alle mie caratteristiche. Mi sono sempre trovato bene con il caldo, su percorsi duri, lunghi. Al Tour c’erano delle cronometro individuali infinite. E sono sempre andato meglio come atleta, il clima influiva sulle prestazioni. Ancora oggi, d’estate, esco all’una del pomeriggio con 40 gradi senza problemi, rispetto ad una giornata fredda.

  • Il Tour del 1992 è stato il momento magico della carriera?

L’intero 1992 fu “un anno di grazia”. Sono andato molto forte al Tour, al Mondiale e in altre occasioni. Quell’estate, se fossi stato libero di fare la mia corsa, avrei anche potuto puntare ad un piazzamento sul podio. Nonostante fossi in aiuto al capitano della “Carrera”, Claudio Chiappucci, che arrivò terzo, e a Stephen Roche (uno che nel 1987 vinse Giro-Tour-Mondiale), che poi giunse nono, dietro di me, riuscì a piazzarmi tra i primi dieci. Penso che sia una bella cosa, perché lavorare per gli altri e portare la bicicletta all’arrivo tra i primi, è dura.

  • Erano i Tour dominati dal “navarro” Miguel Indurain, vincitore incontrastato di cinque edizioni consecutive.

Andava fortissimo a crono e poi si difendeva molto bene in salita. Dicevano che era pesante e che non andava forte con la strada all’insù, ma se si vanno a vedere gli ordini d’arrivo delle tappe di montagna, lui era sempre nei primi cinque. Era potente, un grande atleta. Uno come lui ci vorrebbe in Italia. Purtroppo siamo scarsi di grandi ciclisti così. È un peccato perché i grandi atleti tra gli italiani, guardando gli altri sport, non mancano.

  • Come mai?

Non stiamo investendo in modo giusto, non stiamo facendo le cose corrette per la crescita dei giovani. Sono tante le cose da fare ma dovremmo stare qui una giornata intera a parlarne per affrontare l’argomento e per riuscire a incentivare il ciclismo di casa nostra, riportando i ragazzi ad andare in bici.

  • Bugno e Chiappucci potevano marcarsi meno e vincere di più al Tour?

Sono due persone diverse. Gianni aveva molta più classe, con numeri eccezionali. Però era debole di testa. Claudio non aveva questa classe, ma di testa era forte, un attaccante nato, anche quando sapeva di non poter vincere, partiva. Due ciclisti differenti, ma Gianni ha comunque vinto un Giro e due Mondiali. Se la testa di Chiappucci fosse stata sul corpo di Bugno, avremo avuto uno dei più grandi ciclisti della storia.

  • Al leggendario Mondiale di Benidorm del 1992 avevi realizzato subito che saresti entrato nell’immaginario collettivo del ciclismo? Quell’azione di gregariato a favore di Bugno viene ricordata da tutti anche a distanza di oltre trent’anni.

Quando mi sono fatto da parte speravo che Gianni ce la facesse a vincere quel Mondiale. Anzi, lo speravo già quando ci trovammo nel finale in 16. Però sai, c’era Jalabert che era fortissimo nello spunto finale, c’erano Indurain e Konychev… È sempre difficile vincere e Gianni, con il mio aiuto, ha dato la zampata vincente. L’arrivo, d’altronde, era molto adatto a lui: lungo e con una leggera salita del 3-4%, perfetto per uomini dalla grande potenza, come era. È riuscito nella volata alla grande. Quell’anno aveva vinto poco: era il campione iridato in carica, ci puntava molto su Benidorm, così come la Nazionale. Per vincere però servono alcuni ingredienti, tra i quali la fortuna. Quel giorno il cerchio si è chiuso alla perfezione.

  • Quando hai messo via la maglia da professionista è prevalso il rimpianto per non essere diventato un grande campione e c’era la soddisfazione per aver corso 15 anni con i migliori al mondo, stimato da tutti.

Essere un campione fa sempre piacere a tutti, però non ho avuto grossi rimpianti. Sono sincero: non ero un vincente, non avevo la zampata nel momento giusto. Ero un buon gregario, sapevo fare bene il mio mestiere, in un’epoca nella quale non c’erano le radioline. Nella squadra della Carrera, dove ho militato per 12 anni, bastava uno sguardo per capirsi, c’erano affiatamento e armonia. Non ho mai avuto grossi rammarichi: ho sempre fatto quello che mi piaceva fare. È vero, ho ottenuto poco, ma sono contento di tutto.

  • Alcuni tuoi ex colleghi, una volta appesi gli scarpini al chiodo, si sono trovati in difficoltà. Un atleta si allena tutta la vita ed è spesso via da casa, reinventarsi a carriera finita non è facile.

È dura smettere per uno che ha sempre fatto dello sport la sua vita. Innanzitutto, secondo me, molti sportivi sbagliano a “smettere di colpo”. Ci sono ciclisti e calciatori che proprio non vogliono più salire in bici o dare un calcio al pallone. È uno sbaglio enorme. Tutt’oggi, a quasi 65 anni, pedalo 10-12mila km all’anno. Non ho mai smesso di andare in bici. Per il resto, avevo già le idee chiare: ho aperto il negozio qualche anno prima di ritirarmi, per avviarlo, con mia moglie. Ancora adesso è un’attività familiare.

  • Nel ciclismo di oggi cosa ti piace e cosa non ti piace, rispetto a quello dei tuoi tempi.

Apprezzo il modo di correre delle nuove leve, da Pogacar a Van Aert passando per Van der Poel e Vingegaard. Negli ultimi anni abbiamo assistito a dei Tour de France fantastici, che facevano venire la pelle d’oca. Questi corridori sono sempre all’attacco, è bello guardare i campioni attaccare o andare in difficoltà. Lo stesso Pogacar, all’ultimo Tour, lo abbiamo visto in entrambe le situazioni. Questi giovani entusiasmano gli appassionati di sport. Quello che non mi piace, come già detto, è il fatto che siano telecomandati a distanza. Le radioline andrebbero tolte subito. Non è giusto stare davanti ad una corsa e sapere tutto quello che succede attorno. Bisognerebbe tornare ai metodi vecchi: il ciclismo diventerebbe ancora più bello.

  • Il ciclista che hai più ammirato nella tua carriera, il più forte?

Bernard Hinault. Uno dei più grandi in assoluto della storia. Quando decideva di partecipare ad una corsa, la vinceva. Mi fa impressione che odiasse la Parigi-Roubaix e l’unica edizione alla quale partecipò, la vinse. Ci andò e demolì tutti. Comunque gli ho visto fare dei “numeri” incredibili, spingeva dei rapporti mostruosi.

  • Perini, il 1° di luglio cosa farai? Chiudi il negozio e vieni a Piacenza?

Per una giornata lo possiamo tenere chiuso, visto che mio figlio Mirko, che lavora con me, è un grande appassionato: anche lui avrà piacere a venire. Anzi, tutta la provincia sarà in città o nei dintorni per vedere la corsa e vedere questa bellissima partenza. Mi auguro davvero che Piacenza sia all’altezza di gestire questa cosa, non da poco. Non sarà facile. Ma dobbiamo raggiungere l’obiettivo di far vedere nel mondo il nostro territorio. Si pensi che quando correvo io al Giro d’Italia c’erano 100 giornalisti accreditati, al Tour erano 1000. Gli organizzatori francesi sono sempre stati bravi a far crescere questo evento.

Giancarlo e Mirko Perini

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Perini, campione di gregariato: «Il Tour era la mia corsa»

IlPiacenza è in caricamento