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«Minacciarono due addetti alla sicurezza della Tnt»: chiesta la condanna per 11 facchini

Verso la conclusione il processo che vede imputati 12 facchini egiziani aderenti a Usb all’epoca dei fatti impiegati alla Tnt di via Dei Dossarelli: «Basta lettere, altrimenti quando ti trovo fuori ti spacco le gambe»

Si avvia verso la conclusione il processo che vede imputati 12 facchini egiziani aderenti a Usb all’epoca dei fatti impiegati alla Tnt di via Dei Dossarelli accusati di violenza privata e minacce nei confronti di due addetti alla sicurezza della coop Alice, consorziata con la Intel-Alba, che forniva la manodopera. I due, italiani, erano finiti nel mirino e minacciati di ritorsioni se non avessero smesso di segnalare alcuni lavoratori all’azienda che non si sarebbero comportati in modo corretto sul lavoro. Dal canto loro, i lavoratori e il sindacato avevano sempre negato ogni addebito: «Ci sembra che attorno a questa vicenda ci sia un teorema repressivo. Pensiamo che ci sia una volontà politica dietro a questi fatti e che ci sia anche la volontà da parte delle multinazionali di colpire e reprimere i lavoratori e le sigle sindacali conflittuali che in questi anni hanno contribuito a far uscire questo segmento dell'economia da una situazione di illegalità». Dichiarò durante una conferenza stampa, Roberto Montanari. 

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I dodici, residenti a Piacenza, erano stati raggiunti dalla misura cautelare del divieto di dimora in città spiccata dal gip e chiesta dal sostituto procuratore Matteo Centini. Nell’ordinanza si spiegava che le versioni degli addetti (che fecero denuncia) non erano diffamatorie, che l’impostazione della procura era condivisibile, perché la situazione era influenzata dagli episodi «la cui sistematica ripetizione contribuisce a creare condizioni di lavoro instabili e preoccupanti». Il gip parlava anche di «livello acceso dello scontro» e che gli episodi avrebbero potuto ripetersi. Il giudice sottolineava «un clima pesante di omertà e condizionamento, derivante da un uso distorto dello strumento della lotta sindacale, teso unicamente a creare contrapposizioni tra gruppi di lavoratori dello stesso settore». La difesa aveva poi fatto appello e la misura era stata revocata. All’epoca il sindacato aveva espresso «soddisfazione per questa revoca che riconosce la sproporzione della misura adottata, ma anche determinazione nel rivendicare i diritti dei lavoratori della logistica, accusati in modo pretestuoso dall'azienda ma in realtà colpevoli solo di aver intrapreso iniziative di lotta contro le ingiustizie che i lavoratori subiscono».

IL PROCESSO – Nell’udienza del 27 settembre il pm Paolo Maini ha formulato le richieste di pena ritenendo provata la responsabilità penale: per otto facchini 4 mesi di reclusione, per due cinque mesi, per uno sei mesi e per il 12esimo il non il doversi procedere. Due erano difesi dagli avvocati Alberto Lenti e Annalisa Cervini, mentre la maggioranza era rappresentata dall’avvocato del sindacato Usb, Marco Lucentini del Foro di Roma che ha posto il dubbio sulla procedura di identificazione dei facchini poi imputati e sostenuto che la vicenda sia in poche parole «da ricondurre nell’alveo, seppur molto conflittuale, della dialettica propria della lotta sindacale sul posto di lavoro e non surrettiziamente condotta nella rilevanza penale». Secondo la difesa «le minacce non sono state tali da impedire la libertà dei due, tanto che questi hanno continuato a produrre segnalazioni disciplinari». Il giudice Ivan Borasi si è riservato e il processo aggiornato per la sentenza.

L’ACCUSA E LE MINACCE - Diverse le situazioni in cui i due – secondo l’accusa - sarebbero stati avvicinati da singoli lavoratori, o anche in gruppo (in un caso uno sarebbe stato circondato da numerose persone) che li avrebbero minacciati, promettendo loro ritorsioni a causa delle segnalazioni che i due facevano all’azienda per il comportamento non corretto di alcuni di loro. E le numerose lettere di segnalazione o di contestazione della ditta avrebbero fatto da detonatore alle minacce. Le prime avvisaglie risalgono a quel dicembre, quando tre operai avrebbero avvicinato uno degli addetti accusandolo di avere atteggiamenti mafiosi «basta lettera, tanto tu hai finito, ti faccio rimanere a casa, tu sei il problema che scrivi». Uno del gruppo, poi, avrebbe rincarato la dose: «Basta lettere, altrimenti quando ti trovo fuori ti spacco le gambe». A uno dei due era stato detto che gli sarebbe stata «esplodere la Vespa». In questo caso, a pronunciare la frase sarebbe stato un iscritto al Si Cobas. L’operaio, però, avrebbe poi chiesto scusa all’addetto alla sicurezza. Comunque, allo scooter una settimana prima era stata tagliata la sella. Uno dei momenti di maggior tensione si sarebbe avuto alla fine di gennaio, quando un addetto alla sicurezza sarebbe stato circondato da almeno otto persone che gli avrebbero detto che lo avrebbero «cacciato, denunciato e intimandogli di non fare più segnalazioni disciplinari altrimenti gliel’avrebbero fatta pagare».

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