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La mobilitazione

«Finanziaria incapace di dare una svolta sociale», venerdì 17 novembre Cgil e Uil in corteo

I sindacati confermano le 8 ore di sciopero nazionale per i comparti pubblica amministrazione, scuola, conoscenza, sanità, trasporti, logistica e poste. Concentramento alle 9,30 in piazza Cavalli, le motivazioni

«Finanziaria incapace di dare una svolta sociale e ai salari», venerdì 17 novembre Cgil e Uil in corteo. Confermato lo sciopero nazionale della durata di otto ore per i comparti pubblica amministrazione, scuola conoscenza, sanità, trasporti, logistica, poste e altri settori affini soggetti alla legge 146. A Piacenza ritrovo in piazza Cavalli alle ore 9.30, con interventi dei vari delegati, e a seguire un corteo diretto in Prefettura, dove alle 11 è previsto un flash mob per la pace. Replica per gli altri settori la settimana successiva, venerdì 24 novembre, «sempre con le fasce di garanzia previste, perché siamo sindacati responsabili».

A illustrare ragioni e dettaglio della mobilitazione - slogan "Adesso basta!" -  i segretari generali di Cgil, Ivo Bussacchini, e di Uil, Francesco Bighi, nel corso della conferenza stampa di questa mattina alla Camera del lavoro di Piacenza. (Nell'immagine sotto il volantino dell'iniziativa)

«Arriviamo da un percorso lungo di contestazioni per i mancati provvedimenti del governo in rapporto a quelli che sono i problemi concreti del Paese» spiega Bussacchini. «La legge finanziaria diventa l'elemento in cui tu puoi programmare determinate iniziative sotto il profilo economico ma anche giuridico-normativo, che noi però intravediamo come una situazione peggiorativa, da un punto di vista delle prospettive di sviluppo di questo Paese. Come ha scritto tra l'altro il governo, è una finanziaria molto risicata, di 22-23 miliardi, che si sostanzia in mille interventi che non daranno una prospettiva di sviluppo, tant'è che lo stesso governo dice che l'attesa di crescita del Paese per questa finanziaria sarà dello 0,2% in rapporto al Pil». «Occorre contestualizzare il momento - prosegue il segretario di Cgil Piacenza -; noi oggi siamo in una condizione in cui i lavoratori dipendenti e i pensionati arrivano da un'emergenza salariale che risale da anni e non è un problema di mancati rinnovi, che ci sono stati. Il problema, dal nostro punto di vista, è che il lavoro non è più al centro della discussione politica, c'è una svalorizzazione. Non è un caso che politiche neoliberiste in questo Paese abbiano scelto la riduzione dei costi come la via d'uscita per la soluzione delle imprese. Non ne esci, se non impoverendo complessivamente il Paese».

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«Siamo in un contesto di due anni cumulati d’inflazione oltre il 18% - precisa Bussacchini - e quindi, anche se il Governo tenta di replicare la decontribuzione dentro alle buste paga, i famosi 100 euro, in realtà le buste paga di dicembre e di gennaio saranno identiche. Non è sufficiente quindi, questa sicuramente importante risorsa di 8-9 miliardi che viene riconfermata, perché non risponde al vero problema della perdita del potere d’acquisto dei salari e delle pensioni. Per questo, in primo luogo, noi diciamo che questa è una finanziaria che non ha respiro sociale e prospettiva dal punto di vista dei soggetti più deboli».

«Nei documenti di analisi economica e finanziaria si parla di una riduzione dal 6%- 7% del finanziamento per la sanità pubblica, addirittura c'è qualcuno che parla di sanità privata e di pronti soccorsi privati, tendando quindi di ribaltare un modello di welfare certamente costoso e che andrebbe finanziato con la lotta all'evasione fiscale» sottolinea Bighi. «Per le donne addirittura c’è un peggioramento. Già “Opzione donna” è un sacrificio non piccolo, perché chi vi accede vuol dire che ha in casa una persona fragile, che va curata, per cui le lavoratrici accettano purtroppo un sistema completamente contributivo, che riduce la pensione che si sono guadagnate con anni di contributi del 30-40%.  Non c’è nulla per i giovani, anzi addirittura si è trovata una formulazione molto scivolosa e pericolosa, il cosiddetto “occupabili”: tu non lavori perché non ne hai voglia. Noi sappiamo invece che dal nostro Paese scappano ogni anno centomila giovani diplomati e laureati, che vanno a lavorare altrove. Per di più giovani formati dal nostro sistema scolastico, con un costo medio calcolato di 150mila euro, che poi regaliamo alla Francia e alla Germania, perché in quei Paesi trovano lavori e retribuzioni più interessanti. C’è un problema di rivalutazione delle pensioni, di difesa anche del lavoro pubblico; per quest’ultimo il famoso Tfs, è previsto dopo sette anni e se lo vuole percepire in anticipo deve pagare una tassa a una banca; siamo al delirio economico».

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