rotate-mobile
Arrampicata / Via Gabriele Villani

Dalla “nicchia” al boom post Covid (e Olimpiadi): «Nati come scommessa, ora siamo 750»

Negli anni la crescita graduale d’interesse per la Macaco climbing di Piacenza, poi l’esplosione dal 2021, tra scelta fitness e socialità: «Se tenessimo aperto di più, avremmo un numero ancora maggiore di frequentatori»

«È un’attività molto sociale; come vedi ci sono momenti di pausa, le persone chiacchierano o bevono qualcosa. Siamo in tanti ma ci conosciamo un po' tutti». I “tanti” ad oggi sono 750 alla palestra Macaco climbing di via Villani – una delle due realtà sul tema presenti a Piacenza, insieme al Cai della Cavallerizza - un terzo dei quali comparsi all'incirca negli ultimi due anni, con il graduale ritorno alla libertà di movimento del primo periodo post-Covid.

La segnalazione dell’aumento d’interesse per la disciplina fa da input all’intervista. Anche perché pare rilevante a chi, da profana, pensa ancora all’arrampicata come ad uno sport di nicchia e mette piede per la prima volta nello spazio gestito dall’associazione sportiva dilettantistica (senza scopo di lucro), nata nel 2007 da alcuni volontari «come una scommessa».

La sede era in via Torta, nel 2017 il trasloco nella zona artigianale di Montale, dove è stata allestita la parete con zone per arrampicata con la corda e boulder. Nella fila di capannoni che costeggiano la strada indicano la direzione i passanti in tenuta sportiva. Sono da poco passate le 19 e ad accogliere chi arriva, nel gabbiotto all’ingresso della palestra, c’è Paolo Antoniotti (nella foto sotto) uno degli “scommettitori”. «Molti dei primi soci sono ancora presenti, inizialmente eravamo una dozzina e i frequentatori un centinaio. La crescita negli anni è sempre stata costante, poi si è un po' cristallizzata; l’ambiente non poteva accogliere più persone e come tutti abbiamo avuto lo stallo pandemico. Nell’ultimo anno e mezzo, invece, il boom è stato clamoroso». Nella zona boulder, tra materasso e parete, la gente non manca: ragazzi e ragazze, persone più adulte, qualche bambino.

                                    Paolo Antoniotti (FILEminimizer)

«Abbiamo un po' di tutto» spiega Paolo, partito da appassionato e divenuto istruttore Fasi (Federazione arrampicata sportiva italiana). «In media si tratta soprattutto di giovani, poi la fascia 30-40 anni, ma ci sono anche over, in particolare la “parte storica”, più legata all’attività su roccia. Chi si dedica alla competizione è un piccolo gruppo. Noi non possiamo insegnare all’aperto, la formazione è tutta in palestra. Poi ci sono gruppi che si organizzano autonomamente per fare delle uscite». Distinzioni di genere, a colpo d’occhio, non se ne vedono. «C’è stato un grosso aumento della frequentazione femminile, forse perché l’arrampicata nel tempo si è svincolata dall’apparire come uno sport da uomini o estremo, soprattutto staccandosi dalla parte su roccia, e questo rende più inclini a mettersi alla prova, a capire che si può fare, creando il passaparola».

Cosa ha fatto la differenza nell’ultimo periodo? «Probabilmente tante cose: una nuova scoperta del mondo esterno dopo le chiusure della pandemia, la visibilità alle Olimpiadi di Tokyo (dove l’arrampicata sportiva era presente per la prima volta come disciplina, nda) e il cadere del tabù che l’associava a qualcosa di pericoloso. La parte più importante che si è aggiunta è quella di chi la vive come semplice attività di fitness, senza magari praticarla mai all’aperto».

                                    Palestra Macaco Climbing (4) (FILEminimizer)

«Non richiede capacità straordinarie, l’essere particolarmente coraggiosi o super in forma - continua Paolo - tutto dipende dal livello. In roccia il senso è salire in cima, sull’impianto boulder i percorsi che creiamo ti costringono a fare dei movimenti in obliquo, a scendere a volte più a basso o a salire più in alto, c’è maggiore creatività. Ogni mese e mezzo circa modifichiamo gli appigli, il ricambio è infinito. Si fa molto gruppo, nel mezzo si riposa e si fanno due chiacchiere con gli altri, è una dimensione molto sociale».

Le domande superano l’attuale possibilità dell’offerta: «A volte collaboriamo con le scuole, i piccoli iniziamo ad accoglierli dai 6 anni, ma non abbiamo le risorse per gestire tutte le richieste, anche perché servono una certa organizzazione e il giusto spazio. In generale se riuscissimo a tenere aperto di più, avremmo un numero ancora maggiore di frequentatori. Per farlo però - conclude Antoniotti - dovremmo trovare uno spazio più ampio o provare a usare al massimo quello che c’è attuando delle modifiche».

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Dalla “nicchia” al boom post Covid (e Olimpiadi): «Nati come scommessa, ora siamo 750»

IlPiacenza è in caricamento