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«Asporto, consegne e senso di comunità: i bar di paese tengono duro grazie alla solidarietà dei clienti»

Elia Tinelli del bar BarBa di San Nicolò e Alessandro Fornari del bar Paola di Rottofreno commentano la difficile situazione degli esercenti: «Un anno da buttare, tra perdite e dipendenti in cassa integrazione. Ma i clienti vogliono darci una mano»

A causa dei contagi da Covid-19 in continuo aumento, da domenica 15 novembre anche l’Emilia-Romagna è diventata zona arancione, dopo una breve parmanenza in area gialla. Un cambiamento che ha portato a maggiori restrizioni dal punto di vista personale, della collettività e delle attività economiche. A rimetterci di più, bar e ristoranti, una delle categorie più colpite insieme a centri sportivi e palestre.

Ma se nelle città il caffè al bar può essere un rito pre-shopping, una coccola prima di iniziare a lavorare o semplicemente voglia di gustarsi un prodotto di qualità, nei paesi della provincia spesso assume tutt’altro significato. Nelle piccole realtà territoriali il bar è infatti in grado di svolgere una funzione sociale, diventando punto di riferimento e aggregazione per giovani e anziani, contribuendo a creare quel senso di comunità e di “calore” tipico dei paesi.

«Il passaggio da zona gialla ad arancione in modo così rapido mi ha stupito, in quanto il giorno prima dell’annuncio era uscita un’ordinanza con nuove norme di comportamento proprio per evitare questa cosa. In un modo o nell’altro si lavora, anche se è tutta un’altra cosa: in settimana facciamo take away, mentre nel weekend ci organizziamo con le consegne a domicilio per effettuare colazioni, pranzi, aperitivi e cene su prenotazione» commenta Elia Tinelli, titolare del bar BarBa di San Nicolò. «Avrei voluto evitare di mettere i dipendenti in cassa integrazione o in ferie, ma alla fine sono stato costretto a farlo. Ogni giorno è diverso, anche a livello di semplice organizzazione con la spesa: se prima ero sicuro di avere un ricircolo, adesso è sempre una corsa ad acquistare solo ciò che mi serve in base alle prenotazioni che ricevo».

Una batosta non indifferente, vista anche la buona ripresa che si era registrata nei mesi successivi al primo lockdown e durante l’estate: «Nonostante le limitazioni e gli accorgimenti che avevamo dovuto prendere, ero molto contento, in quanto stavamo lavorando bene per poter riuscire a tappare i buchi che avevamo lasciato scoperti nei 3 mesi di chiusura. Non si parla di guadagno, perché quest’anno è buttato via, ma ero sollevato dal poter pagare fornitori e fatture che per forza di cose avevamo lasciato indietro, non avendo incassato nulla. Da giugno a dicembre il nostro calcolo era di riuscire a rientrare, invece mi trovo a dover chiudere i buchi del primo lockdown e anche di questo secondo, trovandoci nella stessa situazione di prima».

Tra tanti aspetti negativi, però, anche un barlume di luce dalla solidarietà del paese: «Sono felice per la risposta della gente, i clienti sono molto affezionati e vedo una grossa mano anche da amici e conoscenti. Inoltre, trovo fondamentale collaborare con altre attività locali e territoriali, come abbiamo fatto con il ristorante La Colonna, Sosushi e l’Antica Trattoria di Statto. Siamo tutti sulla stessa barca e lavorare in sinergia è l’unico modo per darsi una mano».

bar Paola rottofreno11700742_1024756770898386_4475545238384453843_o-2Spostandoci qualche chilometro più in là arriviamo al capoluogo del comune, Rottofreno, dove Alessandro Fornari e la moglie Greta Bramieri sono i titolari del Bar Paola, uno dei principali punti di riferimento del paese: «Il problema non è tanto il passaggio da giallo ad arancione, quanto la situazione generale che ci tiriamo dietro da marzo, fatta di incertezza, mancanza di organizzazione e programmazione», confessa Alessandro. «Siamo un locale aperto dalla mattina alla notte, e adeguandoci alle varie chiusure anticipate abbiamo via via perso sempre più fette importanti della nostra giornata lavorativa. Iniziamo ad essere affranti e demotivati, in quanto nel nostro settore si stanno accumulando cose che iniziano a pesare».

Anche in questo caso, una nuova chiusura che arriva dopo una ripartenza non senza qualche ostacolo: «Come un po’ tutti, durante il primo lockdown ci eravamo attivati con le consegne a domicilio, che abbiamo dovuto interrompere presto perché ci siamo ammalati di Covid e abbiamo dovuto affrontare l’iter preposto. Con le riaperture di maggio la gente aveva voglia di uscire e stare insieme, per cui siamo riusciti a riprendere un buon giro di clienti, che si è poi stabilizzato dall’estate fino al periodo attuale, dove iniziava ad essere un po’ in calo», continua. «Anche a livello economico, ad agosto e settembre sono arrivate le tasse di marzo e aprile, mentre quelle di ottobre e novembre sono rimaste tali: in pratica le tasse di tutto l’anno le ho pagate in 4 mesi, di cui l’ultima rata il 16 novembre».

Inutile dire come, nella solidarietà, Rottofreno non sia da meno: «Ci siamo organizzati con le consegne a domicilio sulle colazioni e sui menù, e siamo aperti dalle 5 alle 10 della mattina per il take away. La gente del paese ci sta aiutando molto: ci siamo resi conto che anche chi non viene al bar spesso ci ordina qualcosa una volta in più, ed è una cosa che apprezziamo tanto in quanto abbiamo capito che lo fanno per darci una mano», commenta Fornari. «Naturalmente i numeri sono irrisori e nulla è paragonabile rispetto al normale, infatti i due dipendenti che abbiamo sono attualmente a casa. Spero che l’anno prossimo sia migliore e che la situazione possa risolversi il più in fretta possibile: cercando di essere ottimisti, alla nostra categoria farebbe bene lavorare durante il periodo natalizio, per cercare di tirare su qualcosina. Gli aiuti che abbiamo ricevuto sono delle prese in giro, nemmeno sufficienti a pagare una rata delle tasse».

Infine, per entrambi gli esercenti dei due paesi, unanime il pensiero sull'accanimento che bar e ristoranti ha avuto e sta avendo tuttora: «Dal momento in cui sono state riaperte le scuole e il lavoro nelle città è ricominciato ad essere frenetico, i contagi sono tornati ad aumentare: è palese che il problema non sia l’aperitivo o la cena fuori», concludono. «Abbiamo ridotto il numero dei clienti, distanziato i tavoli e fatto degli investimenti per rispettare le normative in modo da garantire la sicurezza nostra e dei clienti, installando plexiglass, sanificando i locali e mettendo a disposizione dispositivi di sicurezza e igienizzazione. Invece di bloccare tutti, sarebbe stato giusto effettuare più controlli e impedire di lavorare a chi non si è adeguato».

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